mercoledì 27 febbraio 2013

Un giorno tra i Datoga. Fenomenologia dei mercati.



Una donna Datoga
Vi chiedo scusa, ma fatemi tornare in Africa, almeno per ancora qualche giorno. Non so, ma mi sento un po' meglio. Dunque eravamo rimasti in una zona un poco remota attorno al lago Eyase, uno dei grandi specchi d'acqua della Rift Valley, che si allargano e si restringono ciclicamente di molti chilometri secondo le piogge. La vista, possibile solo dall'alto, durante il momento della diminuzione della superficie è piuttosto deludente e non molto significativa, ma la parte interessante deriva appunto dal fatto che tutto attorno ad essi vivono molte popolazioni ancora poco toccate dallo sviluppo moderno e che persistono nei loro costumi tribali. Di certo non appena ti fermi sulla cima di qualche collinetta per vedere qualche scorcio del lago da lontano, vieni subito avvicinato da qualche gruppetto di bambini, che escono dal bush arrivando dai gruppi di capanne più vicine, deve essere davvero come un tamtam di richiamo, il rumore di avvicinamento di una macchina. Fai una distribuzione di arance per placarne le richieste, i più furbacchioni se le mettono subito in tasca e si riposizionano nella fila, ma fa parte del gioco come in ogni parte del mondo. 

Fuori dal bosco i campi cominciano ad essere coltivati; spazi di terra rossa tra gli alberi delimitati e suddivisi tra diversi i gruppi etnici della zona. I Datoga sono tra i più numerosi e, pare uno dei gruppi a più rapido incremento della zona. Forse perché si sono dimostrati i più adattabili. Poligami accaniti, appartenenti alla grande famiglia Masai, di cui mostrano con chiarezza i tratti somatici e l'abbigliamento, sono ormai completamente stanziali. Allevatori come tradizione, sono però anche buoni agricoltori e vicino ai gruppi di case di fango, noti subito orti rigogliosi e campetti di mais e arachidi. Ma accanto a queste attività ne curano un'altra specifica, quella di fabbri  e lavoratori di metalli per produrre manufatti di diverso genere, molto richiesti dagli altri gruppi circostanti di cultura più primitiva, che alimenta i loro traffici. Lame di coltello, punte di frecce piuttosto complesse, recipienti di vario tipo e naturalmente ornamenti di ogni genere che vanno a coprire un bisogno molto presente in queste popolazioni, che fanno della estetica del corpo un punto essenziale nella vita di relazione. 

Gli Hadza che abbiamo visto precedentemente, ad esempio, entrano in contatto solo con queste tribù e scambiano carni e pelli, frutto della loro attività di cacciatori, appunto con la produzione dei Datoga durante i mercati settimanali che si svolgono all'incrocio delle piste principali. Se ti fermi vicino ad un gruppo di case dalle pareti fatte di rami e di fango, le puoi distinguere immediatamente dalla forma, rettangolare, più regolare e complessa di altri insediamenti. All'interno ci sono almeno due ambienti, uno dei quali funge da cucina e preparazione degli alimenti, con una grande macina concava, su cui viene fatta passare una grossa e pesante pietra ovoidale per ridurre in farina i chicchi di mais bianco, che produce l'ugali, una sorta di polentina, contorno alla base di tutta l'alimentazione dei popoli della Tanzania. Subito dietro la casa, nascosto da un recinto di frasche attorno ad un grande albero, il fuoco della forgia. Qui si alternano i maschi del gruppo, muovendo un grande mantice di pelli di animali a ravvivare un fuoco su cui vengono fatte fondere piccole quantità di rottami di ferro, in minuscoli crogioli per produrre lingottini di metallo, che a loro volta vengono trasformati in lame o punte di freccia, attraverso un gran batti e ribatti dei giovanissimi fabbri che li martellano fino a ridurne i bordi in superfici taglienti e punte acuminate. 

Le donne hanno vesti ornatissime di perline, casacche di pelli di capretto ben conciate e sottilissime dalla morbidezza della stoffa, avvolte poi dai grandi mantelli rossi o blu. Ricchissimi e sovrabbondanti le collane, i braccialetti e soprattutto i barocchi orecchini pendenti dai lobi sformati e grandissimi. Spesso la forma artistica si estende alla geometria dei tatuaggi e delle scarificazioni del viso, in grandi cerchi attorno agli occhi. Alla fine sei un turista e rimani volentieri a vederli ballare, quando ripropongono i movimenti tipici e i grandi salti degli incontri di corteggiamento dei gruppi Masai e naturalmente indugi a comprare i loro prodotti offerti alla vista, cosa che, anche questa è ormai diventata ormai parte obbligata del loro mercato e buona integrazione economica, senza alla fin fine incidere troppo sul loro stile di vita. Le guide locali portano i turisti che arrivano fin qui, alternando le visite nei diversi villaggi per dare a tutti quanti questo reddito accessorio e non gravare troppo su punti specifici che potrebbero snaturare l'andamento quotidiano. 
Certo è molto curioso il fatto che fino al secolo scorso chi andava ad esplorare terre lontane e lo faceva chiaramente per conoscere, ma anche per trovare e sfruttare, depredando spesso, prodotti ritenuti rari e preziosi, portasse con sé quantità di perline e specchietti da scambiare appunto con oro e pietre. Adesso le parti si sono invertite ed è il viaggiatore ad essere riempito di perline colorate, mentre lascia in cambio rettangoli verdi di carta, piuttosto graditi in verità, sebbene assai più sporchi e sgualciti dei monili dati come  scambio. Sono i corsi e ricorsi della storia, non ci si può opporre o criticarli. Alla base di ogni transazione, c'è sempre la soddisfazione reciproca dei due contraenti dello scambio stesso; ognuno se ne deve andare convinto di aver guadagnato qualcosa dal baratto avvenuto. 

E' appunto il mercato bellezza, si è sempre partiti così per arrivare ai derivati obbligazionari, ma il meccanismo è immutabilmente lo stesso. Sarà questo che ti attrae così irresistibilmente nei mercati, al di là dei colori, degli odori, del senso di essere davvero dentro la vita reale dei luoghi che attraversi, che ti spinge ad inoltrarti negli stretti spazi tra i banchi. Eccoci di nuovo a Mto wa Mbu (il fiume delle zanzare); come non lasciarsi trascinare allora dal dedalo di offerte, tra verdure e banane rosse, ananas, papaye e radici, spezie colorate e ancora oggetti, ornamenti, quadri, maschere. Andiamo a fare il nostro dovere di turisti. Ci aspettano, fin da quando il motore della Toyota si spegne al lato della strada, sarà difficile venire via a mani vuote anche questa volta.





Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

4 commenti:

Sandra M. ha detto...

Posso venire con te? Almeno con il pensiero...ma , poi, chissà...

Enrico Bo ha detto...

@Sandra - Mia cara è che anche io ormai ci vado solo col pensiero!

Unknown ha detto...

Che belle 'ste donne!
Come il tuo racconto.
Cristiana

Enrico Bo ha detto...

@Cri - Queste Datoga poi sono alte e molto belle davvero.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!