sabato 27 febbraio 2016

Rajastan 22 - Shekhawati


Dundlod - Resti di un palazzo 

 
Dundlod - Haveli trasformata in museo
Lo Shekhawati, come vi ho già raccontato ieri è un'area un po' trascurata del Rajastan, forse perché non ha forti e monumenti così rilevanti e famosi come le città concorrenti che sorgono nelle altre parti dello stato. Qui soltanto paesotti e cittadine da cui partivano i mercanti Marwari alla conquista degli spazi commerciali e delle opportunità di commerci che erano numerose a quei tempi. Tuttavia il fatto che qui affluissero ricchezze consistenti frutto di quei commerci, ha fatto sì che anche ogni piccolo paese vedesse fiorire una miriade di case lussuose che dovevano costituire il buen retiro per le famiglie di quegli uomini che ne rimanevano lontani per mesi. Poi arrivò la decadenza e le famiglie che potevano si trasferirono verso le grandi città in cerca di affari più lucrosi e le magnifiche haveli coperte dentro e fuori di dipinti orgogliosi e raffinate sculture cominciarono a degradarsi ed a cadere in rovina. Attualmente la zona rappresenta un punto di passaggio in tutti gli itinerari del Rajastan, procedendo da Delhi verso ovest e queste piccole località sono state per così dire riscoperte, anche se meriterebbero una sosta più approfondita. Ti muovi un po' al di fuori delle grandi vie di comunicazione e lo spostamento tra una località e l'altra avviene su stradine di campagna a una sola corsia con continue sfide a chi deve lasciare per primo l'asfalto, di solito il più piccolo. 

Dundlod - Cortile interno
In questo periodo si incontrano spesso gruppi di gente che si spostano per partecipare a feste di matrimonio, bardati a festa. Poi solo pastori e donne che vanno a prendere acqua ai pozzi. Dhundlod e Nawalgarh sono due minuscoli paesi a pochi chilometri di distanza tra di loro, dove puoi vedere ancora molte di queste testimonianze del passato fulgore. Templi in rovina e molte case che dalle dimensioni appaiono subito incongrue all'importanza attuale delle località, con poca gente che gira per le stradine sterrate di bazar piccoli e poveri di merci. Le porte sbarrate ed i muri che si stanno sgretolando lentamente, conservano ancora tracce dei dipinti che le ricoprivano nei momenti del loro massimo splendore. Storie sacre mescolate a scene di vita comune e di richiami ai tempi in cui vennero dipinti, macchine, treni, biciclette e addirittura mongolfiere dei nuovi padroni, ingenuamente interpretate, pallide donne con larghi cappellini e velette e altri personaggi occidentali che evidentemente si affacciavano in questi luoghi come dominatori e venivano rappresentati come testimonianza di modernità à la page coi tempi. Qualcuna è ancora aperta, ceduta come abitazione a famiglie di "custodi" dai proprietari che non abitano più lì. Così vedi nugoli di bambini e donne che occupano alla meglio gli spazi al pianterreno, nei cortili interni che convivono in una povertà miserevole accanto a locali ricoperti di affreschi anneriti dal fumo dei fuochi liberi delle cucine improvvisate. Una bimba coperta di stracci ti invita ad entrare all'interno di un cortile attraverso una antica porta di legno scolpito.

Nawalgarh - Haveli in rovina
Il patio interno è incuneato come un pozzo tra le alte mura dei piani più alti della casa, sopra alla quale intravedi terrazze e una fila di camere chiuse con le finestre circondate da cornici multicolori. Sui muri più alti si vedono ancora bene splendide figure di danzatrici che affollano tutte le pareti attorno e poi ancora fiori e serti di fronde, processioni di animali e languide dee. Le colonnine sottili ed eleganti che circondano il cortile invece sono ormai sbrecciate. Tra alcune di esse sono stesi teli colorati come per dividere ambienti, in un angolo un fornello su cui bolle un pentolone. I dipinti più bassi hanno perduto ormai il colore e mostrano soltanto più le linee dei bordi. Una donna esce da dietro una tenda e rimprovera la bambina che forse non avrebbe dovuto farci entrare; me ne esco con discrezione. La casa vicina invece è ancora evidentemente abitata dai proprietari, si nota dalla cura dei particolari e dall'auto lucida parcheggiata nel giardino antistante. Anche qui dei bambini fanno grandi saluti attraverso la porta di casa, ma vengono subito richiamati dentro con modi spicci. Ce ne andiamo come si dice all'inglese. Qualcun'altra casa è stata salvata dal degrado completo e trasformata in museo da un proprietario che mantiene un legame affettivo con la terra di origine e camminare per queste stanze che contengono ancora i residui, ricoperti di polvere di questa vita felice, percorrendo questi corridoi passando di stanza in stanza, ti permette di apprezzare nei particolari degli ornamenti, delle suppellettili, delle decorazioni, una raffinatezza ricca e desiderosa di mostrare se stessa, una affermazione di un successo costruito sul lavoro di anni. Tutto intorno soltanto macerie e degrado. Lo sviluppo è ormai lontano di qua.

Lo stato degli affreschi esterni di una haveli

SURVIVAL KIT

L'interno di una haveli a Nawalgarh
Shekhawati - Per raggiungere questa zona periferica a nord del Rajastan e la sua capitale Mandawa, sono necessarie almeno 6 ore di auto da Phalodi, lasciando l'autostrada che arriva da Bikaner e per stradine di campagna girare per i piccoli paesi della zona. Tutta l'area mantiene comunque un fascino decadente savvero particolare che rende la visita assolutamente interessante.

Dhundlod - A 15 km da Mandawa. Tutte le antiche costruzioni della città sono un misto dell'arte Rajput e Moghul. Rimangono il forte, un tempio in rovina ai margini della città, un pozzo e la Goenkha haveli, ancora ben conservata e trasformata in museo (200 R)

Nawalgarh - A 10 km a sud di Dhundlod. Cittadina un poco più popolata che aveva quasi 300 Haveli. Attorno al centro almeno una decina di Haveli ancora meritevoli di attenzione, quasi tutte chiuse e visibili solo dall'esterno, qualcuna abitata da sedicenti custodi. I dipinti degli esterni sono ancora abbastanza leggibili e di grande interesse. Molte di queste illustrano scene di vita quotidiana e di costume contemporaneo alle costruzioni di grande interesse. La Podar haveli ospita un piccolo museo.

Haveli di Dundlod

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venerdì 26 febbraio 2016

Menton - Fête du citron




Nel panorama dei Carnevali nelle varie parti del mondo che si concretizzano in un periodo di feste e soprattutto sfilate di carri, quello di Mentone ha una sua caratteristica peculiare, quella di voler enfatizzare ed elevare a simbolo della città i limoni, che rappresentavano, un tempo almeno, una delle caratteristiche di pregio di questo frammento di Costa Azzurra, tra i più famosi alla fine dell''800 ed ai primi anni del secolo scorso, emblema di località di vacanza curativa per le esangui fanciulle del nordeuropa devastate dalla tisi, che venivano qui a morire, molte o a guarire, poche, in un ultimo sprazzo di vita che si consumava in lussuosi alberghi in un esagerato clima di eccessi fin de siècle. Nobili russi e anemiche inglesine si incontravano scambiandosi sguardi languidi nei saloni e sulle terrazze ad assorbire i raggi di sole, guardando da lontano le onde invernali del mare, mentre tutte le colline intorno erano ricoperte, tra lussureggianti giardini tropicali delle ville più ricche, da enormi piantagioni di agrumi e soprattutto di limoni. La maggior parte poi finiva nel grande cimitero che domina il paese sulla collina. Però nel frattempo bisogna pur stare allegri. Così si è perpetuata la tradizione di questo carnevale che, ogni anno per quasi un mese, è occasione di una serie di manifestazioni che richiamano una gran quantità di visitatori. 

Quest'anno siamo alla 83° edizione della Fête du citron, (nel link tutti i particolari pratici), cominciata dunque negli anni '30 del secolo scorso, riprendendo il carnevale che teneva le sue sfilate già alla fine dell''800. A quello del 1882 partecipò anche la Regina Vittoria, che un cippo marmoreo posto davanti al porto ricorda ai posteri. Il tema di quest'anno comunque è Cinecittà ed i film di Fellini. Qui potete vedere l'elenco dei temi della festa dal '59 ad oggi. Tutta la porzione dei giardini Biovés davanti al casinò è chiusa e le varie aiuole sono occupate da costruzioni letteralmente ricoperte di limoni ed arance, cosa che crea un bellissimo effetto di infinite superfici giallo arancio, ognuna delle quali illustra un film. Per qualcuna delle costruzioni più grandi pare vengano utilizzate fino a 15 tonnellate di agrumi, tanto per avere un'idea delle dimensioni. Al martedì ed al venerdì sera nel giardino si tiene uno spettacolo di illuminazione tra le varie costruzioni. Ma il clou della festa è la sfilata dei carri che viene effettuata nei pomeriggi delle 3 domeniche del mese e alla sera nei tre giovedì. Quest'ultima ricchissima di luci fiabesche e di colori percorre un lungo tratto del lungomare  e termina alle dieci con una prolungata serie di fuochi artificiali sulla punta del promontorio. I carri sono grandi e divertenti e le strutture sono completamente costruite da limoni e arance. 

Sembra che quest'anno siano state utilizzate in tutto quasi 150 tonnellate di agrumi, che comunque, tanto per tranquillizzarvi non vengono utilizzate per essere tirate in testa agli spettatori come ad Ivrea, ma solo per formare le pareti dei carri e delle diverse costruzioni. La sfilata dura all'incirca un'ora e mezza ed è popolata da un gran numero di figuranti e bande musicali in costume nella più classica tradizione dei carnevali. Ci sono anche diverse manifestazioni collaterali come l'esposizione delle Orchidee nel Palais de l'Europe nello stesso luogo, il Salone dell'Artigianato (entrambi ingresso libero). Potete sbrigare la pratica in un giorno solo, guardando ad esempio il giardino nel pomeriggio e partecipando alla sfilata notturna. L'ingresso ai giardini costa 10€ (12€ per la festa delle luci alla sera), mentre il biglietto per la sfilata è di 10€ lungo la strada e 25 € con posto fisso a sedere nelle tribune, da prenotare anche on line perché la sfilata è sempre piuttosto affollata. Di lì si vede meglio, ma se volete fare belle foto sarebbe più conveniente passeggiare lungo il corso per spostarsi via via nelle posizioni migliori. Niente sconti per gli anziani, tanto in questa stagione sono gli unici a popolare la Côte. Una volta andateci che vale senz'altro la pena, quest'anno avete tempo ancora fino al 2 marzo, ultimo giorno, anche se non ho capito cosa ne fanno alla fine di tutti quei limoni!


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giovedì 25 febbraio 2016

Recensione: Wu Ming - L'invisibile ovunque




Wu Ming, pseudonimo usato spesso in Cina dai dissidenti, in quanto significa appunto Senza nome, comprende un collettivo di cinque scrittori bolognesi (letto con altro accento può anche infatti significare Cinque Nomi) che dal 2000 sono presenti nel panorama italiano letterario e non solo, con diversi libri di cui il più famoso è Q. In questo lavoro, scritto a quattro mani e composto appunto da quattro racconti, il tema è la Grande Guerra ed il filo conduttore è rappresentato dai mutamenti psicologici prodotti sull'uomo che viene coinvolto in eventi disumani come questo. Qualcuno da contadino ignorante si trasformerà Ardito, uomo arma destinato a condizionare come tanti altri il futuro del paese; altri per sfuggire all'orrore fingeranno di perdere la mente per perderla poi davvero; certi se ne allontaneranno fantasticando di piani suggestivi e nuove tecniche di guerra; infine ancora altri cercheranno di diventare invisibili inventandosi per primi l'arte del mimetismo, un ultimo estremo modo per evitare una fine da carne da macello che in quel momento appariva destino così comune ed obbligato. Anche se è un tema che non mi prende particolarmente, rimane comunque interessante questo aspetto costante nell'uomo, forse normale in tutti i tempi, quello di cercare, in una situazione psicologicamente insostenibile, una via di fuga purchessia, per far scomparire il corpo attraverso la strada del pensiero. Dalla trincea, mattatoio insensato, si può scomparire in molti modi, andando a cercare un pericolo ancora più forte o rinchiudendosi in un manicomio o studiando nuove tecniche di battaglia o di camouflage, ma alla fine se si salva il corpo, inevitabilmente si smarrisce la mente.


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mercoledì 24 febbraio 2016

Rajastan 21 - Phalodi


Le finestre del Lal Niwas Heritage Hotel


Il forte di Phalodi
Phalodi persa ai margini del grande Thar, sabbie ondulate popolate di pastori e magri dromedari impastoiati ai margini della stretta striscia di asfalto corroso dal tempo. Phalodi a mezza strada tra Bikaner, antica capitale di raja potenti, col suo tempio dei topi, unicum agghiacciante per noi, normalità assoluta per chi ha fede e Jaisalmer perduta tra le sabbie gialle del deserto, la città d'oro dal colore delle mura che la avvolgono. Phalodi città morente per l'inedia provocata dalla fine degli affari e del commercio, unica linfa vitale di questo mondo, checché se ne voglia dire. Questa, come tante altre della vicina provincia di Shekhawati, base arretrata per legioni di mercanti che percorsero incessantemente per secoli tutta l'area che va dal golfo all'India più profonda, per scambiare merci, tessuti di seta e di cotone, avorio, gioielli e pietre, spezie ricercate dal mondo, manufatti e derrate alimentari, sale, arricchendo se stessi ed il loro territorio di origine, il nord del Rajastan, a cui tornavano, sedi sicure delle loro ricche famiglie. Paesi d'origine insomma, dove chi fa fortuna torna volentieri, per mostrare a tutti il proprio successo personale nella vita, sponsorizzando templi, opere religiose o sociali, pozzi, arredo urbano e soprattutto case, che devono rappresentare soprattutto esteriormente, quella ricchezza raffinata raccolta con la fatica del lavoro, magari di generazioni. 

Un tempietto nel bazar
Così questa zona era tutto un fiorire di haweli, proprio le raffinate abitazioni mercantili, che sorgevano per tutta la città, attorno ai bazar, protette dalla sagoma sicura di un forte. Ma il tempo passa inesorabile e se cessano le condizioni per lo sviluppo del commercio, tutto si inaridisce, man mano che la società si impoverisce, diminuisce la circolazione del denaro, le occasioni di ulteriore lavoro e di servizi richiesti. A poco a poco, la città perde importanza, arriva meno gente da fuori e tutto illanguidisce in una povertà progressiva, in cui non ci sono più le risorse per fare nuove iniziative e poi avanti con l'impossibilità di mantenere almeno l'esistente che comincia a corrodersi, a perdere pezzi, privo di manutenzione. Chi può se ne va in cerca di opportunità migliori. I luoghi che hanno visto ricchezza e splendore si opacizzano e l'abbandono comincia la sua opera lenta ma progressiva. La città continua per decenni la sua lenta agonia. A Phalodi intravedi la presenza di un passato importante, nelle sue viuzze semideserte piene solo di immondizie e di case in rovina e negozi dalle porte scardinate che aprono su spazi dove non c'è più nulla che interessi a nessuno, neppure ai proprietari stessi di quelle abitazioni, trasferiti nel tempo lontano nelle grandi città, ogni tanto scorgi una facciata che porta ancora su di sé gli affreschi sbiaditi, le finestre finemente traforate, le guglie prepotenti, le cupole eleganti dai lunghi spioventi agli angoli, il segno inequivocabile dell'epoca moghul. 

Antica haweli abbandonata
Indovini i deliziosi cortiletti interni circondati di colonne sottili, le fontanelle al centro di patii raffinati, le finestre circondate di sculture di marmo bianco. Nel centro l'antico forte abbandonato, mostra ancora torri angolari possenti, ma il pesante se pur sgangherato portone d'ingresso è sbarrato da tempo, al di là solo rovine. Lo stesso bazar, un tempo centro di vita frenetica è un susseguirsi di bottegucce chiuse per la maggior parte, con qualche vecchio che ancora resiste sui gradini sbocconcellati, tra altre case le cui macerie invadono la strada. Qui il turista di passaggio è merce rara e viene fatto oggetto di attenzione, chi sa mai che non lasci qui qualche cosa di tutta quella ricchezza immaginata che porta con sé, un tempo forse disprezzabile, oggi boccone comunque interessante. Ecco Sanjay, figlio ed erede di una dinastia di mercanti che ancora abita un'antica haweli museo nel centro. Insiste per farti visitare il piccolo tempio jain situato sotto una delle porte della città. E' raccolto e minuscolo, composto di un'unica sala centrale a cui si accede tramite una scala, ricchissima di specchi e rimandi luminosi, vetri colorati e lampade appese, forse per fare apparire l'interno più ricco e spazioso di quanto non sia. Gli odori forti che emana sono forse propri della città stessa, l'anima vera della sporcizia e dell'abbandono che pervadono l'aria. 

Kanooga Haweli
Quando ti porta nella sua antica casa, dalla facciata completamente ricoperta di dipinti e penetri negli stretti ambienti, pieni di antichi manufatti e collezioni di strumenti, dalle forbici, monete, schiaccianoci per il betel e mille altri piccoli oggetti antichi o semplicemente vecchi, di uso quotidiano, quasi un omologo del Museo Guatelli, il grande raccoglitore italiano di cose vecchie, vieni preso dal fascino di questi piccoli ambienti chiusi che illustrano un'India contadina di un tempo, che probabilmente pochi Indiani di oggi apprezzano e probabilmente di certo non rimpiangono. Il vecchio padre che ti accompagna rimarca soprattutto il suo essere jainista, quindi costretto di default ad una correttezza morale che lo costringe, pur essendo mercante, ad essere assolutamente corretto nelle trattative, sottintendendo che insomma lui non dà bidoni a nessuno anche per rispondere al suo obbligo etico, quindi se ti dice che un pugnale ha più di cento anni per giustificarne il prezzo, non c'è ragione di dubitare. Quando cala la sera comminare lungo le stradine spopolate del bazar, tra vacche magre, caprette, cumuli di macerie, case chiuse da anni, dà un senso indefinito a metà strada tra la tristezza del'abbandono e la magia di un mondo passato che mostra di sé soltanto più una flebile fiammella di sopravvivenza, una brace che sta per spegnersi sotto la cenere, ma che ancora può scaldare se soltanto la ravvivi un poco. Un paese fascinoso coperto dalla polvere del tempo come quei castelli delle fiabe che la strega cattiva ha sepolto sotto la polvere e le ragnatele di un incantesimo maligno che invece è soltanto il cambiamento dei tempi che, e qui non ci si deve fare illusioni, può capitare dappertutto, in qualunque parte del mondo oggi florida e viva, domani chissà, coperta solo di polvere, con i topi morti negli scoli all'angolo dei vicoli.


Un patio dell'Hotel Lal Niwas
SURVIVAL KIT

Negozio nel bazar
Phalodi. Cittadina di poche migliaia di abitanti, dal passato ricco e importante, sulla strada verso Jailsalmer dall'atmosfera assolutamente particolare di malinconico abbandono. Merita assolutamente una tappa.

Lal Niwas Hotel - Dadha's mohalla - Sui 50/55 Euro la doppia. Un Heritage Hotel di grande impatto, ricavato nella più bella haweli della città. Grandissimo e restaurato molto bene, è un'enorme edificio, composto da cortiletti, patii, corridoi, e camere successive, dai tetti del quale potrete vedere la città dall'alto. Posizione centrale molto comoda. Base per visitare la città e soprattutto il parco delle gru demoiselle di Khishan a soli 5 km. Davvero affascinante negli ambienti e nella varietà delle camere, tutte arredate con mobili antichi dalle porte di legno scolpito. Le camere sono tutte diverse ed essendo molte e l'albergo poco popolato, guardatene qualcuna scegliendo quella che più vi aggrada se ci sono dei problemi di funzionamento nelle varie dotazioni. AC, Ventilatore, Frigo, TV. Il free wifi c'è solo alla reception ed è molto debole. I bagni sono quasi tutti nuovi e ben dotati. C'è anche un piccolo museo interno dove sono raccolti oggetti antichi appartenenti alla famiglia dei proprietari. Piscina e ristorante interno dove si mangia discretamente a prezzi ragionevoli (150/200 R per portata principale). Il lato negativo è che l'apparenza è un po' di trasandatezza e di scarsa pulizia (qualcuno parla di topi morti, ma io non ne ho visti). Non c'è dubbio che basterebbe un po' di cura maggiore per renderlo un luogo davvero affascinante e unico. 
Un ambiente dell'albergo

Jain Temple - All'ingresso della città nei pressi della porta. E' normalmente chiuso e dovete trovare l'incaricato che ha la chiave. Chiedete nei negozi vicini e ve lo andranno a cercare. Tempio degli specchi, è letteralmente ricoperto di specchietti grandi e piccoli che lo rendono molto particolare. 

Kanooga Handicrafts - Vicino al tempio jain. Vale la pena vedere questo negozio museo situato nella haweli di famiglia, già di per se stessa una meraviglia anche dall'esterno. Cose vecchie e antiche e ricche collezioni di oggetti curiosi, non in vendita. Il proprietario, il signor Kanooga, tiene molto a mostrare i suoi tesori che meritano assolutamente una visita al di là dell'intenzione di acquisto

Ingressi di case abbandonate

Una porta
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martedì 23 febbraio 2016

Umberto Eco, un alessandrino


Voglio anche io partecipare al ricordo del mio grandissimo concittadino che se ne è andato venerdì. Non mi ha stupito che con l'acredine spocchiosa che è propria di noi alessandrini, molti abbiano postato su feisbuc (cosa che gli sarebbe senz'altro piaciuta) una serie di considerazioni velenose che trasudano l'odio nostrano verso chi, tra di noi, andandosene, ha dimostrato le proprie qualità al mondo, apprezzato universalmente, molto meno che a casa. Lui se ne sarebbe assolutamente fregato, è ovvio, considerandola cosa normale, forse ancor più specifica per la nostra città del cui carattere malmostoso aveva abbondantemente raccontato. Ho letto con gusto la Bustina di Minerva: Come prepararsi serenamente alla morte, che compendia bene il suo pensiero sull'argomento e che possiamo considerare appunto serenamente dedicata post mortem a questi signori. Invece io voglio approfittare dell'occasione per ricordare quanto ho già raccontato qui, il 16 maggio 2011, concludendo la storia che allora avevo lasciato in sospeso e che oggi penso di poter ricordare. Dunque in occasione dell'uscita del mio primo libro, la raccolta dei post dei miei primi due anni di blogger Soffia il vento dell'est, scrissi ad Eco questa mail:

Egregio Prof. Eco
Mi permetto di disturbarla in qualità di suo lettore, ammiratore, concittadino e di vecchio studente, come Lei, del Liceo Plana di Alessandria, cosa di cui meno gran vanto tra gli amici. 
Riferendomi ad una Sua intervista da Fazio, se non erro, mi sembra di ricordare che Lei abbia detto che, ricevendo una gran numero di libri assolutamente inutili e non interessanti, sarebbe giusto che chi pretenda di occupare uno spazio nella Sua ben nota biblioteca dovrebbe avere almeno la creanza di pagare una quota a titolo generico di rimborso spese, quantificandolo in 40 Euro circa per un dorso di 3/4 cm. 
Poiché anche io appartengo alla schiera di pubblicatori a proprie spese (genia che Lei ha ben illustrato nel Pendolo) sarei interessato, non certo per ambizione letteraria, dacché non ho l'anello al naso e la frequentazione del Liceo Plana mi ha reso conscio della mia limitatezza (avevo 4 in italiano scritto in terza liceo), ad essere ospitato nei suoi scaffali, anche se dello scantinato. 
Nel caso volesse accettare questa mia richiesta, sarei ben lieto di inviarle, unitamente all'assegno di 40 Euro, il mio libro Soffia il vento dell'Est che nonostante possa sembrare incredibile, ha già venduto 1 (una ) copia nel primo mese di pubblicazione. 
Anche se mi manca ancora un po' per avvicinarmi alle sue normali tirature, ringraziandoLa dell'attenzione, alessandrinamente divoratore di bellecalda, Le porgo i più cordiali saluti.


Il giorno dopo il professore mi rispose, confermando la sua nota vena ironica:


Mi invii pure il suo libro e se mi promette di non farne parola con nessuno, le abbuono i 40 Euro.


Gli ho spedito il libro e credo che adesso io possa rivelare questa mail senza se ne dispiaccia, anche se allora mi aveva chiesto discrezione. Così amo credere che il mio libro, che dopo di allora vendette altre 5 copie, modestamente, sia presente in quella famosa biblioteca, infilato tra qualcuno di quei 50.000 volumi di ben altro spessore. Se come credo, questo monumento rimarrà nel tempo, passerò anche io, irriverentemente, alla storia. Grazie Professore e non si crucci troppo, ma so che non se ne avrà a male, conoscendo i suoi concittadini, se qui non gli dedicheremo né il Liceo in cui abbiamo studiato, né la biblioteca della città, altri nomi più importanti si impongono, capirà, siamo pur sempre Alessandrini. Intanto sono certo che lì dov'è in questo momento, avrà altro da fare che non rammaricarsi per queste piccolezze da cittadina di provincia, sicuramente starà cercando Savino per vedere se è possibile gustare anche lì la sua famosa bellecalda. Io per parte mia, questa sera me la faccio in casa, certo non all'altezza, e la mangerò alla sua salute.


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