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lunedì 30 agosto 2021

Sorgo nero

immagine dal web

E' una campagna apparentemente serena quella che scorre veloce dietro i finestrini dell'auto, mentre vai senza soffermarti troppo se non coda dell'occhio, sulle fughe di colori ed i quadri regolari dei campi. In realtà è soltanto apparenza, se ti fermassi a guardare meglio scorgeresti una sofferenza nascosta, poco appariscente, che tuttavia permea il territorio in maniera abbastanza uniforme. Dietro alla campagna rigogliosa della tarda estate, avverti, se vuoi interessarti davvero di come stanno le cose, un senso di mancanza e di deprivazione che si va facendo sempre più forte e pericolosa, una insoddisfazione sorda che incide sullo stato delle cose in profondità. C'è una siccità insistita che prosegue da mesi e l'acqua, che non arriva se non a scrosci inutili e violenti, comincia a mancare. Le stoppie dei frumenti e dei cereali a paglia corta, sono ormai sterili spuntoni che a malapena coprono campi seccagni nei quali la superficie si spacca dopo essersi ritorta e asciugata; quelli arati sono oramai privi completamente di umidità e non hanno avuto più la forza di far crescere che qualche raro stelo di erbe dure e filose. 

Gli appezzamenti di mais che dovrebbero essere al loro massimo vigore, visti da lontano paiono distese di oro puro, ricchezza gioiosa, ma da vicino si mostrano gialli e secchi con qualche misera striatura di verde che sta ormai scomparendo. Le foglie avvizzite si sono accartocciate le une sulle altre e se le le penetri si spezzano scrocchiando come bende rinsecchite di mummie antiche che emanano sbuffi polverosi. Anche la piralide ha fatto poco danno nel cercare un poco di umidità nelle spighe quando ancora erano tenere e dolci. Lo sviluppo si è arrestato e sono rimaste piccole e stortagnole, di certo i chicchi radi e striminziti. Il vento che sfiora la coltura ne fa gemere i fusti che scricchiolano come chiedendo aiuto. In mezzo a qualche campo emerge qualche orgoglioso fusto di elianto, residuo evidentemente di una coltura precedente, che è rimasto inutile parassita a marcare la differenza di bisogno d'acqua, ma con una capocchietta piccola e insignificante, segno della perdita della vigoria dell'ibrido dei suoi genitori. 

C'è invece qua e là, qualche campo di girasoli che tuttavia hanno perso la solare corona di petali gialli, cedendo la bellezza vana in favore di un abnorme disco centrale ormai carico e gremito di semi neri, ricchi di olio e sostanza, che stanno ancora gonfiando a dismisura. Loro hanno bisogno di poca acqua e si adattano anche a questo clima più difficile. Quest'anno poi, ci sono anche diversi campi di sorgo, molti di più che in passato, questi invece rigogliosi e forti mostrano con orgoglio una pannocchia apicale grassa e turgida, al massimo della sua possibilità. E' il cereale dell'Africa, abituato a vivere di poco o nulla, poco nutrimento, poca umidità, poca cura. Laggiù sopporta ogni genere di stenti, ma resiste e ce la fa quasi sempre ad arrivare a maturazione. Qui, non gli sembra vero di trovare quello che agli altri sembra misera micrania. Il pretenzioso e nobile frumento, il mais arrogante, faticano assai, devono avere tutto al meglio, se no è tutta una lamentela, non ce la fanno proprio, una fatica di vivere che li rende sempre più deboli e lamentosi, che pena. Loro no, sono abituati a farsi bastare il poco che c'è e a riuscire a sopravvivere quando gli altri faticano. Il girasole del lontano est che si fa bastare la poca umidità che trova e il nero sorgo africano a cui è sufficiente anche meno, abituato com'è a ben altra sofferenza. 

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giovedì 3 settembre 2015

Il colore di settembre

Qual è il colore di settembre quando il mare è ancora liscio e tiepido?  Non c'è  più l'afa ocra dell'agosto di fuoco o il giallo vivo che si specchia sulle onde a luglio. Neppure l'azzurro del giugno voglioso di sentirsi estate, che sta per mutare lentamente al verde chiaro della trasparenza. Gli alberi sono stanchi di caldo, chiedono tregua, che arriva quasi di soppiatto la notte, quando nell'ora tarda senti quel fresco che ti equilibra la giornata e tiri su il lenzuolo, continuando a dormire. Ma l'acqua é ancora calda e ti abbraccia con le sue membra di ametista e sembra non ti voglia più lasciare. Acqua, madre, amante e sorella che vuole solo farti sentire bene, che insiste perché tu rimanga li in quello stato sospeso che cancella il pensiero, in un torpore placido e amniotico. Un brodo primordiale a cui tornare o rimanere per sempre, se non fosse che non si può. Così  puoi andare a fare un giro, per vedere se le cose sono sempre uguali o qualcosa cambia nel pendolo della vita sulla costa. Apparentemente nulla. Ai Balzi rossi son rimaste tre tende scolorite e molti striscioni. Una decina di neri sotto gli alberi, che rimangono qui per onor di firma, molti di più gli alternativi rasta che cercano l'occasione per un'altra battaglia. Come ovvio chi voleva è passato senza problemi, per il monte. Qui non è rimasto neppure il doganiere di ordinanza tanto per far vedere che ufficialmente non si può. Tanto tutti lo sanno che l'acqua non si ferma con le mani, anche quegli squallidi che vogliono farne un problema che generi voti sulla paura  cieca, senza avere soluzioni da proporre, ma solo grida e strepiti. Forse il colore di questo settembre è il nero dei poveri corpi annegati su altre coste.

mercoledì 26 agosto 2015

Cronache di Surakhis: Immigration

Risultati immagini per ragni
Da Wikipedia

Tempi duri anche a Surakhis. Pur essendo alla fin fine, con le sue miniere, uno dei pianeti più ricchi di questa parte periferica della galassia, da qualche anno la crisi intergalattica mordeva anche qui; gli schiavi ormai non avevano più nulla da impegnare se non la loro vita e le banche non accettavano più in pegno gli organi oltre alla terza generazione. Tuttavia anche questa situazione era vista come una posizione di privilegio dai pianeti vicini ancora più miserabili, dove ormai da anni infuriavano guerre senza quartiere che inducevano tutti quelli che ancora ne avevano la forza a fuggire verso lidi più sicuri e Surakhis era un buon luogo di passaggio per arrivare verso i pianeti più ricchi del centro della galassia. Erano nate così delle compagnie specializzate che si occupavano di utilizzare portali di teletrasporto clandestini per superare le vie ufficiali degli spazioporti, controllatissimi e ormai invalicabili, facendo arrivare a gruppi i fuggitivi nelle zone più aride del pianeta, lasciandoli poi al loro destino per proseguire la loro odissea. In cambio trattenevano tutti gli averi delle famiglie in partenza, gli organi non essenziali e almeno una figlia vergine da piazzare sui mercati della galassia orientale, sempre affamati di quegli articoli. Soprattutto i fuggitivi dai sistemi periferici di Andromeda erano quelli che subivano le peggiori angherie fisiche. I mercanti di carne umana, si giustificavano col fatto che essendo i fuggitivi, per la maggior parte appartenenti a specie aracnidi, anche se venivano mozzati loro due o tre arti, ne avevano in ogni caso altri cinque o sei e per la più parte ricrescevano, ma gli amputati non erano molto d'accordo. 

C'era anche il problema che essendo i portali quantici di pessima qualità e spesso guasti, la rimolecolarizzazione non avveniva e la materia di cui era costituito il migrante si disperdeva nello spazio interplanetario, ma in fondo chi li contava quei disgraziati, comunque se ne perdessero nello spazio, sempre altri ne arrivavano. Inoltre la popolazione surakhiana, pesantemente provata dalla crisi, non ne poteva più di queste orde che, sempre più numerose, almeno a detta dei media e dei partiti di opposizione, si affacciavano dalle dune del deserto sudoccidentale. Per la verità nessuno faceva notare che la maggior parte dei fuggitivi, saltellando sulle poche zampe che erano loro rimaste dopo la traversata, cercava di raggiungere i portali di Surakhis Nord da dove filarsela nei pianeti vicini, ma tant'è la sensazione della gente comune era che che fossero comunque troppi e fastidiosi, con quelle loro zampacce nere e pelose e la bava che lasciavano dietro per tessersi un giaciglio durante le notti fredde dell'inverno surakhiano. Paularius si barcamenava abbastanza bene in fondo, in quanto aveva preso una partecipazione in una società di "traghettatori" e riceveva un organo ogni dieci asportati, e inoltre aveva anche una compartecipazione nella spedizione dei portali ai pianeti vicini, a cui inviava quelli fallati, prodotti nella sua fabbrica e che venivano rifiutati dalla commissione di vigilanza, che non era riuscito a corrompere meglio del suo concorrente di Arturus IV. Inoltre aveva creato una cooperativa che convinceva i nuovi arrivati a concedersi come schiavi temporanei senza paga nella sua miniera di Rufus 2, con la promessa di avere al termine di una ferma di 3 anni, il passaggio su un pianeta vicino a scelta, in cambio di un occhio (tanto ne avevano otto) o qualche altro organo non vitale. 

Accettavano quasi tutti di buon grado, anche se là sotto la vita media era al massimo di un paio d'anni, ma si sa le regole le detta il mercato, diceva sempre Paularius allargando le braccia e scrollando la testa sconsolato. D'altra parte era tutta gente che rendeva poco, scansafatiche pretenziosi, ma con la manodopera oggigiorno è così, devi prendere quello che trovi. Merdini invece, il capo delle Gilde, spalleggiato dalle Sorelle di Minchia, un gruppo di sacerdotesse dei postriboli di stato, cavalcava l'onda e ad ogni nuovo arrivo di un gruppo di disperati dal deserto, lanciava proclami alla folla, preannunciando malattie tremende, calo del cibo locale, senza ricordare che quelli venivano fatti cibare delle loro feci, scatenando l'odio popolare sul fatto che quella gentaglia avrebbe portato via il lavoro con la cessione degli organi, che comunque a loro ricrescevano. Anche Kricket che era in calo di voti e cercava disperatamente qualche argomento per riconquistare il consenso, aveva scatenato una battaglia con lo slogan Dagli al ragno, sperando di coinvolgere tutti gli aracnofobici, ma la base rumoreggiava e per poco temette di essere dato in pasto alla folla per avere denunciato uno scontrino di caviale e champagne durante uno dei suoi soggiorni di vacanza, come spesa di rappresentanza. Non stavano simpatici a nessuno quei ragnacci, neri e pelosi come la pece come si ritrovavano, inoltre pur cercando di mangiarseli tutti, lasciavano sempre parte dei loro escrementi qua e là e ogni giorno i consensi per le Gilde aumentavano. Già era stata approvata la caccia sportiva libera, per cui ogni fine settimana, i rampolli della jeunesse dorée di Novigorad, andavano tra le dune a sparare al ragno, ma il pericolo per Paularius era che alle prossime elezioni, Merdini passasse in maggioranza e gli togliesse la licenza ufficiale di usare i clandestini, costringendolo a lavorare in nero sui neri, in sostanza a pagare ulteriori tangenti sugli utili al nuovo governo. Sia come sia, gli immigrati continuavano ad arrivare. 

Hibblaha era in viaggio da un anno. Era partita incinta da un piccolo pianeta di un sole alla periferia di Andromeda devastato dalla guerra. Il suo compagno,  prima di lasciarsi divorare completamente, l'aveva abbracciata dicendole, vai almeno tu e cerca di farcela. Mentre lei gli sgranocchiava la testa per ultima, il boccone migliore, sentiva ancora la tenerezza del suo messaggio, quello di renderla il più forte possibile per portare a termine il viaggio. Aveva partorito quasi cinquecento piccoli aracnidi quando era arrivata, gonfia come un otre, sulle scogliere di Aldebaran VI. Nessuno dei passeur aveva cercato di violentarla per la verità, dopo aver visto l'ampiezza delle sue trance boccali, ma avevano preteso tutte le femmine della nidiata e gli organi della metà dei rimanenti, molto richiesti essendo ricrescenti, dagli anziani ricchi che se li cambiavano ogni dieci anni per non avere rughe. Le rimanevano ormai solo più una sessantina di piccoli, che si teneva stretti per paura di perderli, al massimo, quando era allo stremo, ne mangiava uno ogni tanto, ma ormai la meta era vicina. Pochi chilometri la separavano ormai dalle dune di Chot Vipit, dove c'era la base di un trasporto verso il nord, la libertà e la vita. Dovette cederne altri dieci ai mercanti di organi per salire sul trasporto. Dopo alcune ore le tre lune di Surakhis scesero dietro l'orizzonte e il trasporto piombato, lentamente si mise in moto. Ancora poche ore e sarebbe stata la salvezza. Poi un colpo secco, uno stridore di cinghie e tutto si fermò. Per un attimo rimase nell'aria solo un silenzio irreale. Hibblaha si strinse ancora di più ai suoi piccoli, poi le porte si spalancarono di colpo e nel buio della notte, la milizia dei Sardar di Paularius irruppe all'interno. Li trascinarono via in pochi minuti. La nuova merce per le miniere era pronta.


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La notte del Sabba.

sabato 25 aprile 2009

Acciughe salate.

Nel bel seminario "Mestieri e Migrazioni" organizza-to dall'associazione del Museo d'agricoltura del Piemonte che si è tenuto ieri a Torino, si sono succeduti una serie di interventi di grande interesse, che al di là della illustrazione degli specifici argomenti hanno dato anche, a chi lo desiderasse, degli spunti di riflessione molto attuali. In particolare le relazioni sulle figure dello Spazzacamino, quella sui Colporteurs e l'intervento finale di Riccardo Abello sugli acciugai della Val Maira. Supportato da una splendida iconografia, ne è emerso un tratteggio a tinte forti di questi bambini, nati nelle nostre valli alpine poverissime, che a fine ottocento, tra i 6 e 7 anni, venivano venduti a padroni che li portavano in giro per l'Europa a pulire camini, incitandoli a sporcarsi bene la faccia di nerofumo, sia per mostrare la loro capacità lavorativa che per impietosire i clienti; mentre di pari intensità è il personaggio del colporteur, un mercante di sogni e girava per il mondo con una cassetta appesa al collo e sulla schiena, piena di piccole cose da vendere nei paesi, nelle fiere, nei luoghi dove si radunava gente. Si faceva anche 20 o 30 chilometri al giorno a piedi, illustrando le proprie povere cose, invitando all'acquisto; se ne partiva dal suo povero paese alpino o dalla Lunigiana e magari tornava a casa dopo due o tre anni. Anche ad Alessandria c'era memoria di questi personaggi che giravano per le cascine dei paesi gridando: "strenghi, frisa, buton da camisa". Nei paesi anglosassoni era conosciuto come "Will you buy", come possiamo tradurlo, così sui due piedi mi viene in mente solo vu' cumprà. Ma la storia degli acciugai è ancor più interessante. Come nasce l'acciuga salata ed in montagna, poi? Sembra dal fatto che il sale, nella repubblica di Genova fosse gravato da una forte gabella. Per aggirarla, oggi diremmo una via di mezzo tra evasione ed elusione, si riempivano botticelle piene a metà di sale, di pesce povero, le acciughe. Con la scusa di conservarle e col fatto che non pagavano gabella, si poteva tranquillamente contrabbandare il sale stesso oltre i monti verso la pianura. Alla fine anche le acciughe venivano vendute e queste presero un posto importante nella gastronomia del Piemonte e non solo. Molti abitanti della Val Maira si sparsero così per tutta la pianura padana ed oltre. Quale la mia sorpresa, chiacchierando col relatore Riccardo Abello, scoprire che il famoso Anciuè di piazza Marconi proveniva proprio da quella valle. Era costui, con la compagna, un altro dei personaggi iconici del panorama alessandrino del dopoguerra. Per decenni, dal suo banco malandato, distibuì agli alessandrini che si affolavano spintonandosi, acciughe, olive, baccalà e il miglior tonno sott'olio che abbia mai mangiato. Ovviamente si dice sempre così dei sapori che hanno caratterizzato la tua giovinezza, ma questo tonno era altro che insuperabile, era l'anciuè che lo rendeva tale. Potrebbe ancor oggi, essere oggetto di una tesi sullo studio del mercato e delle metodologie di marketing in generale. Come tale lo sottopongo all'attenzione degli studenti interessati. In breve, il suo tonno era noto oltre che per essere il migliore del mondo anche per essere in assoluto il più caro, costava infatti circa il doppio di tutti gli altri tonni della piazza. Nulla ci sarebbe da eccepire nel senso che la qualità si paga, direte voi, ma bisogna considerare i tempi e la particolarità della piazza di Alessandria e degli alessandrini, che sono poco inclini a questo ragionamento ed in ogni caso poco disposti a pagare di più per un aspetto immateriale della merce, sospettando sempre un sotterfugio, un qualche inganno al loro presunto acume intellettuale, direbbe Eco. Come aveva risolto allora la difficile sfida socioeconomica il nostro? Intano, con grande capacità affabulatoria, attirava, lui le femmine e lei i maschi, attorno al banco e quando era il tuo turno, tu chiedevi due etti di tonno e lui, forbitosi la manona sul grembiule di colore incerto, affondava nella latta la forchetta, cavandone un bel pezzo trattenuto dal pollicione bisunto e lo deponeva assieme alla doppia carta oleata sulla bilancia che segnava invariabilmente dai 3 ai 3 etti e mezzo. Ti diceva con un sorriso, via, buon peso e tu te ne andavi a casa con quasi il doppio del peso, pagato per due etti a prezzo doppio del tonno normale. Sì, la gente riconosceva che quello era migliore degli altri, ma la molla che faceva scattare l'acquisto era proprio il fatto di averne pagato una quantità molto inferiore. Ricordo bene gli occhi soddisfatti di mio papà, quando arrivato a casa, si pesava il pacchetto e si compiaceva di aver portato a casa un malloppo ben più pesante del dichiarato, ridendo di gusto. Psicologia e teoretica della vendita, ecco la disciplina giusta in cui si sarebbe dovuta conferire una laurea onoris causa. Si ritirarono una quindicina di anni fa, accusando improbabili malattie, mentre la diceria popolare, che li faceva ricchissimi, ancorchè apparissero molto male in arnese, li dava in Liguria in mezzo alle innumerevoli proprietà immobiliari accumulate in una vita di tonno ed acciughe salate. Che però, così buone, non ho mai più mangiato.

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