In cucina - Akjoujt - Mauritania - febbraio 2025 |
La strada continua rettilinea verso Atar. Dopo una prima fase di dune basse e continue, seguite da una parte arbustiva di alberi secchi che ancor di più sono l'immagine della siccità pura e definitiva, il deserto si è trasformato in un reg roccioso e giallognolo, in compenso è scomparsa completamente la polvere e la visibilità è diventata perfetta. Nel deserto questa purezza dell'aria ti consente di aumentare la visione in profondità ed ogni cosa ti sembra perfettamente a fuoco anche a chilometri di distanza. Una casupola, un tronco secco, un gruppo di capre appaiono molto più vicine di quanto non lo siano nella realtà, quasi avvenisse una distorsione dello spazio-tempo che modifica i punti di vista e inganna la mente. Il deserto è ambiente alieno alla natura dell'uomo e le sue sirene, le sue morgane sono lì per ingannarlo e condurlo alla rovina. Solo chi lo conosce a fondo si salva, anche senza l'aiuto del GPS. Le distanze a te che non sei abituato appaiono molto diverse, deformate e difficili da interpretare. Oltre a ciò, l'aria più calda sulla superficie dell'asfalto e sui punti maggiormente piani, producono quella sorta di miraggio riflettente che sembra mostrare un sottile strato di acqua su cui le rare auto che incroci, da lontano sembrano galleggiare sull'acqua e congiurano per portarti alla rovina. Ma più procediamo e più il traffico diminuisce fino a scomparire del tutto; fino al punto che quando si incrocia un mezzo, qualunque sia, uno dei pickup stracarico di masserizie o i vecchi camion malandati che arrivano dal nord, ci si saluta al passaggio.
Evidentemente il deserto unifica i suoi abitanti e li rende partecipi di un destino comune solidale. Solo i posti di blocco ci fanno compagnia, col solito soldato che emerge dal suo gabbiotto e viene a darci un occhio meravigliato, raccoglie la fotocopia deli passaporti e ci fa un sorriso benevolo prima di ritornare a sonnecchiare al fresco della baracca dopo aver alzato pigramente la sbarra. Poi facciamo lo slalom tra i conetti bianche e rossi, qualcuno sbrecciato o rotolato di fianco senza che nessuno si preoccupi di rimetterlo in piedi al suo posto e riprendiamo il rettilineo. Rarissime le casupole bianche diroccate con il tetto a forma di tenda bianca o le tende stesse dei pastori, quando non vedi invece delle specie di capanne di rami secchi, evidentemente ricoveri notturni di fortuna per gli stessi pastori che traversano queste lande desolate da millenni, sempre allo stesso modo. Ci fermiamo un attimo ad una casa che ha sul fianco quella che sembra una piccola pompa di benzina che forse funziona a mano. Un poco più in là un'altra casa un po' più grande di recente costruzione di lamiera ondulata. con la scritta pretenziosa: Mosquée. Fuori una pompa dove lavarsi i piedi e poco più in là, un casotto per la toilette, con una cordicella per trascinarsi dietro la porta sbilenca. Una raffinatezza nel deserto. Ahmed e Brahim entrano a dire una preghiera, visto che è l'ora, anche se nessuno l'ha annunciata dal moncone di minareto che occupa un angolo della costruzione. Poi riprendiamo la strada e dopo pochi chilometri arriviamo a quello che si può definire un paesotto, abitato credo da qualche centinaio di persone, Akjoujt.
Pare che qui intorno si estraggano oro e rame, visto che l'industria estrattiva è l'asse portante della economia mauritana da secoli, infatti si dice che si siano ritrovati reperti che provano che il sito fosse abitato fin dal V sec. a.C., appunto nell'età del rame. La sensazione è sempre la stessa, una serie disordinata di costruzioni parallelepipede, semplicissime a un piano, che circondano cortiletti dove ripararsi all'ombra di tende tese tra i muri. Siamo in viaggio da circa 3 ore e siamo arrivati più o meno a metà strada dopo aver fatto circa 250 km. Quindi secondo i canoni mauritani è l'ora di prendere un tè. Così entriamo in una casa al centro del paese, attrezzata a questo scopo, che dispone nel cortile appunto di una sala grande, col pavimento coperto di stuoie e di tappeti ed una serie di panche contro le pareti. Ci togliamo le scarpe, anche se pare che gli stranieri siano esentati da questa norma, ma si vede che il gesto viene comunque apprezzato, anche se si rimane sulle parti periferiche della stanza, vicini alle panche e non sulla parte centrale, dove poi ci si siede direttamente a terra.. Subito arriva un ragazzo con l'occorrente e comincia la preparazione, una serie di operazioni che diventerà una costante per i prossimi giorni, visto che questa condivisione del tè, è una delle tradizioni più seguite nel deserto e qui credo non si facciano troppe distinzioni da paese a paese, visto che le frontiere sono semplici righe rettilinee tracciate sulla carta durante qualche trattato in Europa, lunghe centinaia di chilometri che dividono il nulla dal nulla, ideabili solamente in un mondo che questi luoghi neppure li immagina e che rimangono linee senza valore per popoli che questi deserti hanno abitato per millenni.
Comunque quella che potremmo definire una vera e propria cerimonia, prende forma davanti a noi e il tè che si è colorato nel bricco di rame, cola nei minuscoli bicchierini, dove viene arricchito di zucchero e il liquido denso e ambrato continua a passare da un bicchierino all'altro con un preciso movimento che lo fa scendere con destrezza senza che una goccia cada sul grande vassoio di ottone che li contiene. La schiumetta che si forma per lo sciogliersi dello zucchero a contatto del rimescolamento del liquido bollente aumenta, questo è il segreto dei molti e continui passaggi, mentre l'aroma fresco e penetrante della menta riempie l'aria. Tutti gli astanti osservano le operazioni, di certo viste mille e mille volte come se fosse la prima e di tanto in tanto fanno cenni di approvazione col capo quasi ad compiacersi della perizia del manovratore. Poi ci viene passato il nostro bicchierino e il liquido dorato che nel frattempo ha un poco perso della sua temperatura di piombo fuso e si riesce ad avvicinare alle labbra, può essere finalmente accolto in bocca e assaporato come si conviene. Certo questo è il tè del deserto, costante assoluta che fa parte della vita di tutti i giorni. Una pausa che ogni volta viene accolta con piacere. E' il momento della condivisione in cui gli sconosciuti si guardano e si misurano l'un l'altro. Poche parole a raccontare il viaggio che si sta compiendo, perché nel deserto si è costantemente in viaggio, nomadi perenni in direzione diversa che si spostano da un punto all'altro e questo momento è condivisione e accoglienza.
Questo è uno dei cardini della cultura del deserto ed essere chiamati a farne parte, ti consente di avvicinarti per cercare di comprenderla. Il tè si prende come minimo tre volte al giorno, al mattino prima di partire, a metà giornata quando ci si ferma per il caldo o quando i bambini tornano da scuola e infine alla sera, quando finalmente ci si ferma prima della cena, quando si è tornati a casa e la moglie finisce di preparare e ci si racconta come è andata la giornata o come è andato il viaggio se si è appena arrivati da lontano. Anche negli avvenimenti importanti, se ci sono da discutere delle questioni e ci sono contrasti si dice che bisogna andare a prendere il tè assieme. E' insomma il momento fondamentale della vita attorno al quale tutto ruota e si risolve. E' anche il tempo della chiacchiera e della discussione e anche qui trovi sorprese che magari non ti aspettavi. Si chiacchiera di filosofia e di politica e il nostro Ahmed, mette subito in chiaro che se non hai letto tutto e ben meditato il Principe di Macchiavelli, è inutile che parli di politica, non hai le basi insomma. Mi affretto a dire, mentendo, che l'ho letto tutto con attenzione e lui annuisce compiaciuto. Poi mi parla di Spinoza e della sua visione della società. Finiamo con un po' di considerazioni su Schopenhauer e il suo discorso sulle donne e sulla libertà, visto che abbiamo iniziato con qualche osservazione sulla condizione femminile del paese che appare alquanto più libera, per tradizione, di quella di altri paesi islamici. Questo ve lo dico tanto per farvi capire la caratura dell'amico Ahmed che ci accompagna e del suo livello culturale che peraltro esula dal suo corso di studi visto che è laureato in scienza, che magari qualcuno pensa che perché siamo in Africa, sono tutti appesi agli alberi.
Comunque la bevanda è deliziosa e benché bollente, rinfresca assai soprattutto per quel profumato sentore di menta che la accompagna, anche se in effetti allappa un po'. La norma prevede che se ne bevano almeno tre bicchierini, mostrando apprezzamento verso la abilità di chi lo sta facendo. Ma intanto arriva qualche cos'altro. Infatti ecco che dall'altra parte del cortile, dalla cucina, arrivano due piattoni di ottone con quello che nel frattempo è stato preparato. Una magnifica grigliata di capretto, in proporzioni generose, che sembra esagerata per noi due ed i nostri due accompagnatori. Ne addenti subito un bel pezzo prendendolo per l'osso che sporge e accidenti, una squisitezza mai sentita, tenerissimo e croccante, saporoso e succulento, vien subito d adire che è il più buono che abbia mai mangiato, altro che il cordero patagonico di novembre scorso, coriaceo e duro da masticare, questo è una vera delizia, a cui cominciamo a dare dentro senza vergogna, come fossimo timorosi di vedercelo portare via dai predoni. Alla fine la quantità giudicata esagerata per uno spuntino, viene spazzolata via completamente. Insomma abbiamo fatto onore visto che, essendo accompagnato con la più classica delle baguette, croccantissima come si conviene alla tradizione che i francesi hanno lasciato quaggiù, è andato via tutto senza lasciare alle spalle morti e feriti. Saziata la più grossa, vado a fare un giro in cucina e a complimentarmi con la mamma che credo abbia fatto il lavoro più importante. In fondo c'è un altro capretto scuoiato e appeso in attesa di essere sembrato e passato alla griglia, qui evidentemente passano in diversi e il luogo è noto, forse anche nel deserto i camionisti si passano la parola. Poi è ora di andare abbiamo ancora quasi 200 km prima di arrivare ad Atar.
Aisha |
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