volte di legno
antiche forme a botte -
son pescatori
Hotel Eden Chinguetti -Mauritania - febbraio 2025 |
Capirai, ci si ostina a programmare tutto con grande e puntigliosa precisione, che poi non si sa mai cosa possa accadere, stai attento ad ogni cosa, perché per carità, l'imprevisto è sempre in agguato e poi si sa se sei all'estero son sempre grane, ma cari miei è inutile farsi tutte 'ste paturnie, alla fine se tutto è già scritto nel grande libro del destino, è inutile affannarsi, l'ombra nera, l'appuntamento che stai cercando in tutti i modi di evitare è già là al mercato di Samarcanda dove tu sei fuggito inutilmente per evitarla, cavalcando per tre giorni e tre notti con il cavallo più veloce che c'è. Così Ahmed ha insistito ancora una volta per portarci al camping tra le dune nel palmeto fuori città, ma no, che in fondo si sta così bene nel nostro alberghetto Eden, nomen omen, anche in questo caso. Così eccoci in camera, con la possibilità di riposarci ancora un po' distesi in un bel letto comodo, la voce lontana del muezzin ormai svanita come un eco tra le dune. Sono le otto ormai, andiamo a mandar giù un altro po' di stufato di cammello che così si ricordi che fine si fa se non si ha voglia di portare i turisti in groppa tra le dune. Il giardinetto del patio dell'albergo è ormai buio, la notte scende in pochi minuti nel deserto e tutto intorno tutto si mescola quando il cielo è senza luna. Tiziana è già andata nella sala dove si cena, io mi soffermo ancora un poco a mirare il chiarore delle stelle e anche questo è un segnale del destino in agguato. Che bello il cielo africano. Mi incammino traversando il cortile di ghiaia, ancora con la testa per aria. Le casette delle sale comuni sono in fondo, tra le palme che lo bordano.
C'è solo una luce piuttosto fioca sul fondo che non riesce ad illuminare più di tanto. Il personale, poco in questa stagione è disperso in giro a prepararsi per la cena. Anche la porta della sala è buia e da dentro non escono rumori, evidentemente non è ancora arrivato nessuno, ma il minimo di luce che fuoriesce rende semplice orientarsi per arrivare, quindi il cammino non richiede particolare attenzione: Così, come tutti gli anziani che pensano ad altro invece di concentrarsi su quanto sarebbe importante, proprio al limitare della soglia di ingresso dove alcuni gradini scendono verso il basso, un dislivello di qualche centimetro, un paio o poco più, separa il marciapiede dall'ingresso. L'occhio del vecchio, di solito attento ai gradini di normale altezza, che rappresentano una insidia da valutare sempre con accortezza, invece, non ravvisa queste asperità minime, non le valuta come pericoli e le tralascia in quella fascia di subconscio a cui il corpo dovrebbe reagire con gli automatismi della normalità della vita. Ecco che quindi il mio passo, già di norma piuttosto strascicato e pesante, inciampa nella lieve ed insignificante asperità ed il corpaccio pesante e privo di tonicità, precipita verso terra come corpo morto cade, senza il minimo tentativo di difesa o protezione. Da buon anziano cado spesso, proprio per le ragioni suddette, ma i lunghi decenni trascorsi in palestra mi hanno dotato di una sorta di automatismo di difesa che ha sempre fatto sì che cada senza farmi danni importanti, salvo lievi escoriazioni. Questa volta, prima che il sacco di patate da quintale, arrivasse a raggiungere il suolo cercando, magar nella ultima fase della caduta di attutirla in qualche maniera facendo almeno che si limitasse il danno, ecco che ho incontrato lo stipite in cemento dell'ingresso, uno spigolo vivo che neppure le trivelle abbattitrici delle costruzioni abusive avrebbero avuto la forza di abbattere.
I miei sensi hanno percepito prima di qualunque altra cosa un rumore nuovo per le mie orecchie, un crack, sinistro ed inequivocabile, poi ho incontrato il suolo oltre i gradini e sono svenuto. Solo per pochi secondi è vero, poi sono riemerso dai fumi della botta in uno stato semi confusionale, ma con la perfetta sicurezza di essermi rotto il braccio destro, vista anche la posizione assolutamente anomala dello stesso e del dolore assolutamente insopportabile. Dopo un tempo che non sono riuscito a calcolare con certezza, è arrivato qualcuno e si è cercato di mettermi quantomeno seduto. Mentre prendevo fiato, Ahmed è corso a cercare un medico che è arrivato poco dopo e con una gentilezza e una partecipazione che ricorderò a lungo, non ha potuto fare altro che constatare la frattura, avvolgermi il braccio nel mio cheche, che quindi a qualche cosa in fondo è servito, mi ha consigliato di arrivare all'ospedale più vicino quello di Atar, il più presto possibile, visto che lì, anche il piccolo dispensario esistente era chiuso e non aveva a disposizione neanche un analgesico. Briga e tira, tra il povero Ahmed in ambasce, che non sapeva più cosa fare per consolarmi, Brahim e mia moglie che ha fatto su le masserizie, mi caricano alla meglio sulla macchina e alle 9 ci accingiamo a fare nel cuore della notte i quasi 100 chilometri di pista che ci separano da Atar, col braccio ciondolante malamente appeso al collo. I primi chilometri sono nella pista di sabbia per un percorso di un'oretta, nel quale non ho neppure avuto la preoccupazione che ci perdessimo per sempre tra le sabbie, tanto mi faceva male quel bambino stretto al collo, poi per le altre due ore la pista era battuta e ben riconoscibile anche di notte, ma la frequente tole ondulé da percorrere con una serie di scosse e tremolii, ha fatto sì che con ogni probabilità, mi rimarrà impressa per tutto il resto della vita che comunque spero ancora lunga e fruttuosa.
Ad Atar l'ospedaletto, per fortuna è aperto anche la notte e da buon straniero, vengo accolto con tutti gli onori e due medici mi prendono in carico non appena la sedia a rotelle (senza una rotella per la verità) su cui sono appollaiato ha percorso i lunghi corridoi della struttura che a mezzanotte appare come deserta. Naturalmente mi chiedono se sono caduto dal cammello, cosa che evidentemente capita spesso. Poi mi fanno un paio di lastre, confermandomi quel che già si sapeva, e cioè che trattavasi di trattura composta dell'omero necessitante di immediata operazione, che naturalmente non erano in grado di eseguire nell'ospedaletto, ma che avrebbero immediatamente telefonato nella capitale, dove potevo comodamente arrivare il mattino successivo (i 500 chilometri di ottima strada si possono fare comodamente in 5/6 ore) ed essere immediatamente operato. Per il vero ho cominciato a nicchiare, cercando di ragionare freddamente e stoicamente resistendo al dolore. I due medici, molto bravi e simpatici tra le altre cose, dapprima hanno cercato di convincermi, assicurandomi sulla validità dei medici locali e sulla efficienza del loro sistema sanitario, tra le altre cose tutto gratuito, tranne l'acquisto della protesi di titanio per circa 100 dollari, poi, visto che continuavo a titubare accampando possibilità di eventuali conseguenze di natura diabetica, anche se son stato lì lì per cedere, vi dico la verità, visto anche che i tempi di rientro non erano così perfettamente ipotizzabili, mi hanno fatto una doccia provvisoria di gesso con quello che avevano e poi mi hanno lasciato andare dicendomi, va be' se non ti fidi, fai come vuoi. e mi hanno lasciato libero.
Così passati in farmacia a prendere qualche analgesico, abbiamo passato quel che restava della notte nell'alberghetto dove eravamo stati all'andata e il mattino dopo siamo arrivati la mattina tardi a Nouakchott, dove gli addetti del nostro albergo ci attendevano a braccia aperte, essendo ormai vecchi clienti, Nel frattempo avevo trovato un biglietto via Casablanca che mi ha consentito di raggiungere la Malpensa e la sera successiva ero al pronto soccorso il CTO di Torino che ha confermato tutto quello che già sapevo, salvo che il primo posto disponibile per l'intervento era disponibile dopo tre settimane. L'amico Ahmed che mi monitorava via WhatsApp ogni paio d'ore, non voleva credere alle sue orecchie che in Italia ci volesse tutto quel tempo per un intervento di questo tipo ed era assai dispiaciuto che non avessi voluto seguire il consiglio avuto laggiù, per la serie te l'avevo detto. Va da sé che anche io sono stato per un po' piuttosto innervosito dalla situazione, visto che un braccio rotto che ti ciondola dalla spalla non è divertente affatto, ma poi dall'ospedale mi hanno telefonato che si era liberato un posto dopo una settimana e poi, come vi ho già relazionato abbondantemente, tutto è andato nel migliore dei modi, anzi non posso che ringraziare di cuore sinceramente tutte le persone dai medici agli infermieri e tutti gli incaricati con i quali sono venuto a contatto in questa avventura.
Questo non solo per la grande competenza e professionalità, ma anche e soprattutto per l'aspetto umano e la disponibilità in generale, tanto da farmi dire, per l'ennesima vola e ormai devo dire che di occasioni ne ho ormai avuto diverse, che se uno si lamenta della sanità in Italia, davvero non ha capito niente di come gira il mondo e che si merita sicuramente un bel Trumpo o similari, che tanto adesso il mondo va in quella direzione. Diciamo pure che in tutta l'operazione c'è pure il lato positivo da riscontrare. Infatti questi sono i casi in cui puoi testare l'efficacia della costosa assicurazione medica, che paghi per decine di volte senza sapere se poi, quando ne avrai bisogno risponderà alle aspettative. Ebbene, io, come sempre, mi ero affidato alla polizza Globy rosso Plus, della Allianz e che in questo caso ha dimostrato una efficienza ed un efficacia encomiabile, biglietto immediatamente autorizzato all'acquisto e rimborsato in pochi giorni assieme a tutte le poche altre spese che avevo avuto, ma disponibili a coprire le altre eventuali, non solo rimborsate anche una piccola somma di cui non potevo avere la dimostrazione. Più di così, direi non si può chiedere altro, per cui la consiglio vivamente. Comunque insomma è andata così. Grazie all'amico Ahmed, a Brahim e a tutti gli altri laggiù che mi hanno aiutato con cura e affetto e che continuano a seguirmi chiedendo assicurazioni sulla mia salute, assicurando loro, che siccome la Mauritania, mi è rimasta come una spina piantata nella gola, bisognerà presto ritornarci, per, come si dice, finire il lavoro. Grazie a tutti-
Dune a Chinguetti - Mauritania - febbbraio 2025 |
Sfatiamo subito un mito, la cosiddetta cammellata nel deserto, alla fin fine è un must semi obbligatorio a cui tutti i turisti che si trovano catapultati in qualunque area desertica del mondo, devono soggiacere volenti o nolenti. Ogni agenzia che si rispetti ha cura di inserirla nel programma, evidenziandola in grassetto nel dépliant e qualcuno a cui avevo, una volta, manifestato le mie perplessità, mi aveva detto che se per caso non la proponevano, i clienti poi si lamentavano sempre di essere stati deprivati di una cosa vitale, per cui diciamo che la passeggiata sul dromedario, più o meno lunga, diventa alla fine un obbligo certo. Per la verità è anche comprensibile che, dopo aver tanto parlato di carovane e di favolosi itinerari tra le dune, quando sei lì e per la prima volti vedi quei musi lunghi che masticando boli di rigurgito di erbe, ti guardano con occhi acquosi ed espressioni un po' dubbie, magari ti viene voglia di provare, ma l'effetto finale di questa esperienza è nella maggior parte dei casi un po' deludente. Tutto questo non tanto per scoraggiarvi a provare l'emozione, almeno una volta nella vita, ma poi anche basta così. Io, avendo già dato, come già vi ho relazionato, e anche parecchie volte e in diverse parti del mndo, non sono morbosamente affezionato a questa pratica, anche se sono sempre del parere che tutto quanto fa spettacolo e quindi avanti Savoia, quando capita.
L'ultima esperienza la ebbi nella terrificante salita all'Erta Ale in Etiopia, con una tre ore notturna su un terreno costituito da masse di lava cordonata su cui sarebbe scivolato anche un bradipo, figuriamoci un povero dromedario caricato di 100 chili di turista maldestro, ma che tuttavia aveva la sola alternativa di farsela a piedi, quindi in questi casi bisogna fare di necessità virtù e quindi arrivare in cima con le terga piagate e zitti senza un lamento e dir che è dolce, anche se poi la discesa me la sono beccata a piedi, pensando di avere così concluso la mia esperienza cammellifera, ma qui, il vedere i ragazzi pronti e sorridenti con le briglie in mano e le bestie che facevano finta di niente, guardando dall'altra parte, mi ha messo nella condizione di non voler dare un dispiacere e soprattutto togliere quella minima frazione di reddito su cui i tizi avevano ormai fatto conto, visto che stazionavano sotto il palmeto da almeno un'oretta e visto anche che avevamo aderito alla soluzione breve. Fatto sta che Brahim parcheggia la Toyota sotto le palme e noi andiamo a sottoporci di buon grado all'agone facendo il nostro prevosto dovere di turisti. D'altra parte come ci assicura Ahmed, il paese è solo ad un'oretta di distanza ed il percorso tra le dune molto affascinante.
L'animale destinato a me è un bel maschione robusto, visto che evidentemente è stata calcolata con cura la mole da trasportare e mi sembra che lui stesso la valuti con occhio piuttosto critico, visto che mentre mi avvicino, comincia a ragliare, non so se si dica così, come un matto, mostrando chiari segni di non aver nessuna voglia di togliere il muso dalla sacca della biada e andare a farsi una passeggiata come dice il mio amico Giulio in piemontese stretto, en gnùn post, visto che di sacchi di soma o lastre di sale da trasportare non ce ne sono in vista. Infatti mi sembra che di norma i dromedari delle carovane portino solo poche decine di chili di peso, se no, il sindacato protesta. Almeno così avevo visto nel deserto della Dancalia. La mia bestia, a cui mi avvicino per tentare di fare amicizia, mi guarda subito di sbieco, come se volesse far finta di non avermi visto, verso di me ha solo un occhio enorme, di un azzurro intenso come giustamente lo sono tutte le vesti degli abitanti dei deserti e vanta ciglia lunghissime e folte che lo fanno apparire come un personaggio di un cartone animato disneyano, vecchio stile. Cerco di accarezzarlo, tanto per creare un contatto, vorrei dire umano, ma lui non se ne dà per inteso, anzi, distoglie il muso con disdegno e continua a lanciare sonore proteste di quello che è un misto tra un muggito, un miagolio e peggio un rauco e ansimante raglio contestativo.
Il suo conducente non se ne dà per inteso, anche se io gli faccio capire che se non ne ha voglia, per me è lo stesso e lo abbranca per la cavezza, che è attaccata con un robusto anello al naso e, poveraccio, adesso capisco perché sbraita, lo costringe a tener la testa bassa. Poi tocca a me tentare di salire in groppa nell'incavo che sta quasi sul cocuzzolo della gobba (ma non gli farà male a sta povera bestia) dove è posizionata e ben fissata, almeno spero, una sella berbera atta alle mie delicate terga. La salita è abbastanza impegnativa comunque e per nulla semplice, infatti la posizione della colorata sella di legno è piuttosto alta e issarsi a cavalcioni della stessa, impone acrobazie inusuali per l'anziano, che di norma è già in difficoltà a scalare i gradini di media misura. Intanto mentre Tiziana ha compiuto invece con la classica agilità che contraddistingue l'atleta abituata a ben altre tenzoni, io prendo le distanze e raccolte le forze, naturalmente con debito aiuto, non mi ricordo in questo momento se fornito anche di sgabellino per fare il primo balzo con adeguata spinta posteriore, mi isso con una certa eleganza in arcione, pur se l'animale, che evidentemente non gradisce affatto, continua a dichiararlo a gran voce. Comunque sia, mentre mi abbranco all'apposito sostegno cruciforme della sella, non è certo finita qui, ma bisogna passare alla seconda fase, nella quale la mala bestia tenta di alzarsi.
Cosa che fa in due tempi, dapprima sollevando, dopo intense sollecitazioni ed inviti stentorei del suo padrone, le zampe posteriori, cosa che mi pone in condizione di precipitare in avanti, visto l'angolo assurdo che si forma con quella parte anteriore di dromedario che non sembra abbia nessuna voglia di alzarsi e poi quando finalmente si solleva anche davanti, ecco che si produce un identico contraccolpo all'indietro, di certo volontario, che l'animale pone in essere nella speranza di sbalzarti via, liberandosi definitivamente dello sgradito ospite. Ma non ha fatto certo il conto con le abilità cavalcatorie del suo cliente e giocoforza, alla fine, mi deve tenere in groppa. A questo punto, avendo forse compreso che tanto non c'è niente da fare ed è assolutamente inutile protestare chiude il becco e si mette in assetto di marcia. Tiziana è già in sella da tempo ed aspetta solo il via alle danze; alla fine partiamo verso l'infinito. La sua bestia è femmina e decisamente più pacifica e si trascina dietro anche un piccolo che evidentemente sta imparando il mestiere dalla madre, anche se pure lui, avendo capito cosa lo aspetterà nella vita, non sembra felice, ma alla fine questa è sempre la stessa espressione che mostrano tutti camelidi del mondo, dal lama alla vicunia, gliela hanno fatta così che ci possiamo fare.
Intanto comincia un tortuoso percorso tra le dune, il piccolo palmeto subito lasciato alle nostre spalle è definitivamente scomparso e noi, circondati dalla sabbia, possiamo con buona ragione sentirci ormai persi per sempre, anche se i nostri cammellieri vanno con passo sicuro e leggero, lungo le curve delle dune, per fare un percorso il più possibile piano e riducendo al massimo le differenze di quota per renderlo meno faticoso. C'è poco da dire però, i viaggi in questi spazi dei quali non avverti quale sia la direzione, né il punto di arrivo, dopo aver subito perso dietro di te il riferimento della partenza, non possono che dirsi comunque fascinosi e poco importa se non trovi la giusta posizione sulla sella e lo strusciar del coccige sul pur morbido tappeto, ti ricorda che stasera dovrai giocoforza ricorrere a qualche crena lenitiva, non essendo abituato a questi stravizi e né a questo modo di viaggiare, ma basta buttare intorno l'occhio, al sole che cala davanti a te, dietro una duna più alta delle altre, le ombre che si allungano dietro, mostrandoti immagine antiche che hai apprezzato tante volte sul National Geographic, e devi concludere che è pur sempre una bella emozione. I colori mutano adagio adagio. Le parti in ombra delle dune alla tua sinistra, abbandonato ormai l'ocra intensa, quasi rossa del pomeriggio avanzato, cominciano a mostrare sfumature di viola sempre più carico, anche il cielo al di sopra assume una colorazione indaco pesante e simile ai proverbiali mantelli degli omini del deserto.
Il vento è completamente cessato e non si sentono altri rumori se non la posa morbida delle zampe degli animali che le appoggiano con sapienza sulla sabbia pe non affondare e fare meno fatica possibile così come i conducenti, che sembrano procedere senza fatica alcuna. Non senti più il minimo rumore oltre al fruscio delle larghe vesti. Si è vero la mia gamba destra si è un po' addormentata, causa probabilmente la mancanza di afflusso di sangue, forse per una improvvida posizione, anche se la tengo incrociata attorno a quello che pare un timone davanti alla sella, passandola sul collo della mala bestia, come ho letto sia la giusta posizione prescritta per il bravo cammelliere, ma decisamente le vertebre cervicali del camelide continuano a strusciare su e giù, lungo la mia caviglia e non so se stiamo andando bene o meno. Comunque resisto stoicamente cercando di mantenere un ondeggiamento ritmicamente collegato all'andatura della mia cavalcatura, come tutti i manuali del neofita consigliano di fare. Tiziana mi precede, più leggera ed il piccolo segue la madre con andatura irregolare, girandosi di tanto in tanto verso di me come a chiedermi: ma dove stiamo andando, eppure vorrei dirgli, mi sa che sto giro te lo becchi quasi tutti i giorni, dunque smettila di lamentarti che siamo quasi arrivati, visto che è un'ora che stiamo scavallando dune. Forse ci siamo persi, in fondo è sempre questo il pensiero che accompagna il viaggiatore degli spazi deserti; tra un po' scenderà la notte e dagli anfratti nascosti tra le dune usciranno i malefici jinn in cerca delle paure profonde nascoste nella parte peggiore delle nostre anime.
Non so, ma intanto ecco di fronte a noi una grandissima altura, che mi sembra subito la duna grande che sta alle spalle di Chinguetti e sulla quale già ieri eravamo saliti a vedere il tramonto. Non vorrei illudermi, visto che alla fine come in ogni bravo miraggio, ogni duna sembra uguale all'altra, come facessero apposta per ingannarti e farti definitivamente perdere la strada di casa, ma questa volta ci ho preso e giunge quindi il momento di scendere. Il mio animale, ormai neppure protesta più, forse ha capito che la corvée per oggi è terminata e una volta scaricatomi, si gira subito, andando via senza salutarmi. Noi invece saliamo in alto per abbracciare con lo sguardo la bellezza straordinaria che ci circonda. Dopo una mezz'ora l'ovale giallo è sceso definitivamente dietro l'orizzonte. I colori si sono via via annullati in una tovaglia di velluto nero, trapuntata di paillettes luccicanti. Camminiamo verso la Toyota per ritornare in città, per aspettare l'ora di cena. Ahmed veramente propone anche l'alternativa, dato che mi ha visto affascinato dalla stellata che si sta esibendo sopra di noi, di dormire nel campo tendato fuori città, che tra l'altro è di Mohammed, lo stesso proprietario della nostra struttura, per avere l'altro classico richiesto da tutti i turisti, la notte in tenda o meglio ancora alla belle étoile, nel deserto, ma il destino forse, non è una sliding door davanti alla quale tu puoi scegliere, quale futuro avere. Forse tutto è già segnato e la tua scelta è solamente una ingannevole illusione, ogni cosa è già scritta nel grande libro, devi solo avviarti verso quel destino segnato, portando con te la sicurezza di avere tu stesso, da solo scelto quello che sta per accaderti.
La biblioteca Habbot - Chinguetti . Mauritania - febbraio 2025 |
Tra le case |
Finisci la colazione ed il sole è già alto nel cielo, sembra strano, ma nel deserto ci si alza tardi, sembra che ci sia sempre tempo, la fretta non esiste, è una nemica del benessere della mente e nelle solitudini delle sabbie, la mente devi rimanere lucida, deve essere sgombra dai fantasmi della notte, aspettando che i jinn, gli esseri malvagi che durante la notte escono dalle sabbie per fare impazzire i conduttori delle carovane, si siano rintanati nei loro anfratti segreti. D'altra parte non c'è nulla che un buon tè alla menta non possa guarire, neppure le ansie di chi segue la carovana che col suo ritmo lento e costante procede secondo un disegno superiore, la via delle sabbie. E poi diciamo la verità, cosa vuoi che ti capiti nel deserto, al massimo caschi nella sabbia e nessuno si è mai fatto male con questo, mi sembra così evidente! E allora andiamo di nuovo a fare un giro mattutino nella città antica, dove i negozietti del pane stanno ancora aprendo e solo qualche donna frettolosa scivola via dietro gli angoli in ombra, scomparendo poi negli usci bassi sbarrati da antiche serrature di legno. Avranno fatto tardi anche loro ieri sera, visto a che all'una erano ancora tutte al campo a ballare e cantare e poi chissà quanto tempo ci avranno ancora messo per struccarsi per bene. In effetti del fatto che la donna mauritana abbia uno status ed un comportamento generale molto diverso e più libero delle sue compagne delle altre regioni dell'Islam, ce ne aveva già fatto cenno il nostro Ahmed.
Il sig. Ould Habbot |
Ma basta pensare a cosa ne raccontava il celebre viaggiatore arabo Ibn Battuta che nel suo libro "Il viaggio", quando riporta con stupore negli incontri fatti proprio in Mauritania nel XIVsecolo, dove dice che "..le donne non si velano il capo ” e “hanno amici e compagni estranei alla loro famiglia, così come gli uomini hanno per amiche delle donne che non sono loro familiari". Robe da matti, insomma tradizione antica. Noi sgusciamo tra i vicoli, come ladri, spuntando dietro alla moschea. Butto uno sguardo in alto per cercare di scorgere le famose uova di struzzo che troneggiano sulla cima dei merli del minareto. Devi guardare con attenzione, perché da giù sembrano davvero piccoli piccoli, quegli ovali bianchi fissati su sottili asticelle fissate nella malta, una delle curiosità di questo edificio. Le uova di struzzo sono, nel deserto e nel mondo arabo, simbolo di prosperità, ma anche di ricchezza e potere e non potevano essere collocate in altro posto che qui per dimostrare l'importanza della città nel suo periodo d'oro e inoltre sono state messe anche per dimostrare l'unione dei popoli del deserto con la natura. Per la verità c'è anche una leggenda che lega queste uova all'Islam, visto che si trovano spesso esposte anche all'interno di diverse moschee come ad esempio ad Istambul. Si racconta infatti che il Profeta nascostosi in una grotta sia stato salvato da chi lo cercava per ucciderlo, perché un ragno aveva ricoperto l'entrata con le sue tele e per questo era proibito togliere le tele di ragno negli edifici sacri.
La biblioteca |
Ma negli effetti pratici queste rappresentavano un problema e allora invalse l'uso di porre negli angoli uova di struzzo che emanavano nel tempo un cattivo odore, che teneva lontano i ragni, che saranno pure sacri e meritevoli di rispetto ma le ragnatele rimangono sempre un bel problema. Mi dicono che adesso sono generalmente sostituite da uova di marmo, che mantengono la simbologia, ma quantomeno evitano la puzza; l'uomo alla fine è sempre pragmatico. Intanto sbocchiamo proprio davanti alla biblioteca Habbot, una delle più famose della città, che vanta il possesso di oltre 1500 libri manoscritti, conservati da questa antica famiglia di sapienti. Il curatore, discendente dei vecchi fondatori che risalgono a Mohammed Ould Habbot el-Kebir, calzati i soliti guanti, ci mostra subito qualcuno dei suoi pezzi più belli, con splendide miniature, estraendoli ad uno ad uno da scaffali ricavati tra i mattini dei muri. Uno è un trattato di geometria e nei margini larghi lasciati dalla scrittura, che si concentra di solito ordinatamente al centro del foglio, forse consapevole del fatto che i margini sono la parte più deperibile essendo esposta all'esterno, si allineano schemi con la dimostrazione di teoremi sui triangoli. In effetti larga parte della nostra matematica moderna è debitrice a questa parte del mondo per la trasmissione ed il progredire di questa scienza nel medioevo. Il esto più antico è scritto su carta cinese e risale addirittura all'XI secolo, pensate un po' alla globalizzazione che era presente nel tempo antico e a come si muovevano le merci attraverso il mondo.
Il museo |
Leggi negli occhi dell'anziano l'orgoglio di essere qui a svolgere un compito importante e il suo sorriso si allarga quando racconta che dopo il riconoscimento delle Biblioteche del deserto come patrimonio Unesco nel 1996, le cose sono un po' cambiate e ci sono progetti in essere di digitalizzazione di tutti i volumi, che in città sembrano superare i 40.000 pezzi. Certamente lo stato di conservazione agli occhi nostri è terribile, così come appaiono coperti di una patina di polvere, insidiati dagli insetti e soprattutto dalle termiti; ce ne mostra infatti uno con tutto il blocco delle pagine completamente cosparso di grandi buchi erosi che lo trapassano completamente senza salvare neppure le preziose copertine di cuoio animale. C'è stato, è vero, un progetto per costruire una moderna biblioteca che con criteri moderni di conservazione radunasse tutti i volumi presenti, ma alla fine le famiglie dei proprietari non hanno voluto rinunciare a quello che loro considerano un patrimonio inalienabile dei loro progenitori. Così questa straordinaria ricchezza rischia di consumarsi definitivamente tra le sabbie di questa città agonizzante, soffocata dal deserto che a poco a poco se la sta seppellendo. Guardando gli occhi di questo uomo che sfoglia con estrema cura le pagine fragilissime senti certamente un grande e sincero orgoglio, ma anche l'assoluto diniego a separarsene, anche se questo potesse garantire un futuro a questa inestimabile ricchezza.
Manoscritto del XII secolo |
Nel cortile della antica casa ci sono altri ambienti che costituiscono un altro piccolo museo che racchiude, come quello visto ieri, una serie di oggetti tradizionali che raccontano la vita degli abitanti della città nel ultimi due secoli. Il consueto ammucchiarsi di manufatti, molti curiosi e dei quali non ti sai neppure spiegare l'uso, altri che descrivono le tradizioni agricole e pastorali, vestiti, giochi, contenitori e così via, come sempre, il tutto è ricoperto dallo spesso strato di polvere che è la costante di questo mondo. Usciamo e continuiamo a percorrere le strade dove la sabbia si accumula, alcune case mostrano ormai solamente i muri perimetrali sbrecciati, altre sono rimaste solo in piedi come stazzi a riparo delle capre; fuori intanto il vento soffia leggero e la curva della sabbia, un asintoto perfetto, si unisce al muro con una crescita costante ormai in procinto di superarlo ed invaderne l'interno. Le capre belano dietro di noi, mentre entriamo in un localino, con delle stuoie a terra. E' tempo di mandar giù qualche boccone, stufato di cammello e pane arabo, mentre Brahim passa il tè da un bicchierino all'altro con cura instancabile e la schiumetta monta adagio adagio. Poi usciamo dalla città per fare un giro nei dintorni, dove il deserto è bellissimo e ne puoi godere la distesa dorata e senza confini, espressione che qui davvero riesci a comprendere definitivamente.
A casa di Ahmed |
Saliamo ad un altra piccola moschea da cui vedi la città lontana e confusa tra le dune, qualche palma negli avvallamenti che sembra discesa in cerca di umidità, poi, percorso ancora qualche chilometro, ma se ti guardi intorno ti sembra di averne già percorsi mille, avendo ormai perso ogni riferimento e vedi solo gobbe dorate che si allungano tutte uguali, tutte diverse a confonderti la mente e annichilirti il pensiero. Finalmente un'altra piccola oasi. Qui è nato il nostro Ahmed e ovviamente andiamo alla casa dei suoi genitori che ci accolgono con calore. Qui abitano ormai poche decine di persone, tutti i giovani sono andati in città e tornano solamente ad agosto per la raccolta. La mamma di Ahmed sta facendo il cuscus e scorre veloce le mani nella ciotola con la farina bagnata fino a che cominciano a formarsi i piccoli pallini grigi che costituiscono uno degli alimenti base del paese. Il padre, ancor giovane è palesemente contento della visita del figlio e si fa raccontare notizie della città e ragguaglia il nostro sui fratelli e parenti vari. Una famiglia da cui traspare una grande serenità, come se vivere qui nel deserto, circondati dal nulla più assoluto ed in fondo privi di ognuna di quelle comodità che oramai noi consideriamo indispensabili non fosse neppure nei pensieri più lontani. Respiri una serenità piena e definitiva. Da fuori un chiocciare di una gallina e poi più lontano qualche belato sommesso., come probabilmente accadeva mille anni fa o duemila, in fondo non importa molto la differenza. Andiamo a fare un giro negli orti dell'oasi che mi sembra si chiami Entkemkent.
Al ristorante |
In effetti vista dall'interno appare molto più rigogliosa che vista dalle dune. Ogni appezzamento è circondato da palizzate di foglie di palma ed all'interno sotto gli alberi su cui vedi i frutticini che stanno crescendo sui lunghi steli che costituiranno poi in estate il ricco casco di datteri, ci sono piccoli appezzamenti di orticole, pomodori, cipolle e altre verdure e in quelli più grandi, cereali quasi pronti alla levata. Ci sono pozzi da cui escono tubi che portano nelle varie direzioni. La distribuzione evidentemente è regolata minuziosamente e vedi anche buttando l'occhio intorno, che l'agricoltura anche qui non ha più i metodi antichi, ma si è dotata di una certa attrezzatura che consenta una produzione minimamente efficiente. In giro vedo solo un paio di persone che lavorano, sicuramente non proprietari, ma vi ricordo che in Mauritania, la schiavitù è stata formalmente abolita per legge nel 1980 ma che nella pratica non è cambiato molto nei rapporti tra proprietari terrieri e i cosiddetti Haratin, che anche oggi hanno un rapporto particolare con quelli che sarebbero i loro "datori di lavoro" se si può dire, a vita. D'altra parte è molto difficile liberare anche psicologicamente persone abituate a dipendere in tutto da quelli che venivano chiamati i "maestri", i loro padroni a tutti gli effetti e che, anche se ufficialmente liberi di andarsene, non lo fanno perché essi stessi non si sentono in grado di provvedere a se stessi. E' un problema complesso e molto lontano dall'essere risolto. Noi intanto salutiamo la famiglia di Ahmed e riprendiamo la strada del deserto lungo una valle infinita che si adagia tra le dune il cui colore dorato comincia a scurirsi per diventare un ocra ammaliante. Dietro una duna, sotto una palma, die dromedari con due ragazzi che sembrano aspettarci.
Il pozzo dell'oasi |
Chinguetti |