mercoledì 7 maggio 2025

M06 - Lasciando Nouakchott

Deserto dell'Adrar - RN 1 - Mauritania - febbraio 2025



Le città di notte sono tutte uguali, spazi vuoti e bui, male illuminati da fioche luci, quasi che chi le popola di giorno sia temporaneamente scomparso o  rapito da ignoti e malevoli mostri della notte. Eppure la città ha sempre un suo respiro, come fosse un gigantesco essere vivente che vive una sorta di  letargo notturno e del quale senti comunque, se porgi l'orecchio con attenzione, un sordo brontolio sotterraneo, un ronfare sottinteso, una pausa di sospensione prima della non vita, che lascia  spazio a creature malvage e aliene. Nouakchott non fa eccezione, anche qui senti un torpore profondo, una assenza di rumori forti, ma solo un borborigmo lontano che inquieta e insinua morbidi malanimi. Ma qui c'è qualche cosa di più. Le strade circondate da cubi informi, di costruzioni abbozzate, alcune non finite o già malandate per una costruzione di poca cura, si allungano all'infinito, tra cancelli accostati e serrande chiuse, mentre intorno materiali abbandonati di ogni tipo, attendono il ritorno dei proprietari appena questi si saranno risvegliati per riprendere le attività giornaliere. Però su tutto grava un'aria pesante, un alito di vento, non forte ma continuo e imperioso, che arriva dal deserto e ti impasta la bocca e deposita a terra, polvere pesante e sabbia gialla che, come non parere, rimane negli angoli e mostra la sua voglia inespressa di ricoprire tutto, senza fretta naturalmente, col tempo, basta che glielo si lasci fare. Il deserto detesta la civiltà, può addirittura sembrarti amico, se non lo importuni, se lo vuoi traversare, ma senza pensare di disturbarlo, fermandoti, scavando pozzi e tentando di coltivarne tratti e spazi anche limitati o peggio cercando di creare insediamenti stabili. 

Questo non piace al deserto. Per carità, non te lo dice apertamente, anzi ti lascia fare ma, poco per volta, senza avvisaglie, lui continua il suo lavorio incessante anche se lentissimo. Come tu non riesci a scorgere il movimento delle lancette dell'orologio anche se il  tempo avanza comunque in maniera implacabile e senza possibilità di essere arrestato, anche il deserto muove le sue leggerissime armate e con soffio leggero ed inavvertibile accumula sabbia negli spazi nascosti negli interstizi, contro i muri. Non lo vedi e non lo senti, ma quando torni a distanza di tempo non riesci neppure a sorprenderti per il fatto che intere costruzioni elevate a fatica, barriere di frasche costruite a difesa di giardini e spazi verdi, superfici spianate e ricoperte di cemento e di asfalto, siano state via via coperte, seppellite, mangiate dall'avanzare della sabbia che tutto ha occupato e cancellato sostituendo le superfici rettilinee e gli angoli netti, con curve sinuose, e onde rastremate tra di loro, come l'opera di un artista sopraffino. Così la città, sorta in questo deserto antico da qualche decennio e che sopravvive solo per il fatto che cresce continuamente ad una velocità infinitamente superiore all'azione distruttiva delle sabbie, sembra vivere senza problemi, ospitare genti che arrivano da ogni parte e con mille intenti diversi, stanziarsi, commerciare, costruire cose o semplicemente trasportarle al di là delle pianure sconfinate, oppure semplicemente qui arrivate in cerca di sopravvivenza, di opportunità e di miglioramento di vita. 

La città è immensa ed il suo sviluppo totalmente orizzontale la rende ancor più anonima, un quadro di architettura cubista, di superfici bianche, che tali appaiono anche durante le notti afose e apparentemente silenziose e senza luna. Avremo tempo di vedere le parti più interessanti e segrete della città, più avanti, mercati, palazzi del potere, aree centrali più accoglienti. Per il momento contentiamoci di scorrere questo agglomerato di locali del commercio minuto, così tipici delle mille città africane senza nome che spuntano in ogni angolo di questo immenso e variegato continente, alla ricerca di una loro specificità. Al mattino la luce ha cambiato tutto e la vita pulsa attorno all'albergo come non mai; gente che si muove, carretti e mezzi motorizzati trasportanti di tutto, vagano già da tempo per rifornire i negozi delle merci necessarie. L'omelette ed il caffè coi croissant dell'albergo sono molto buoni, l'imprinting francese si nota decisamente e il tutto ti mette subito di buon umore. Saltiamo sulla nostra Toyota pickup 4x4, quasi nuova, che dovrebbe essere la nostra compagna fidata per tutto il tempo. Questa macchina ormai e non più la vecchia Land Rover regina delle sabbie di un tempo, ha ormai colonizzato completamente l'Africa e le zone desertiche in particolare, economica, leggera e probabilmente facilmente riparabile in caso di necessità. Praticamente vedi solo queste in giro, ci sarà un motivo. 

Non perdiamo  tempo a subire lungaggini burocratiche in banca, per cambiare qualche spicciolo, a parte che è praticamente tutto pagato, a girarci un po' di ouguiya, la impronunciabile moneta mauritana, ci pensa Brahim, tirandole fuori dalle saccocce segrete dalla sua ampia veste blu, che il vento gonfia come una mongolfiera appena esce allo scoperto. Quindi percorriamo ancora le strade della periferia per uscire dalla città, tutte praticamente uguali ed irriconoscibili tra di loro e finalmente imbocchiamo l rettilinei di oltre 500 chilometri che ci porterà in pieno deserto dell'Adrar, in direzione nord est verso il confine marocchino per raggiungere la città di Atar. Contrariamente alla stagione, le tempeste di sabbia dovrebbero infatti essere terminate da tempo, l'aria è invece completamente pregna di una nebbia caliginosa, che il vento ha alzato da giorni e tutto sembra avvolto da uno smog giallognolo che impedisce di distinguere nettamente l'orizzonte, ma neppure le cose non troppo lontane che appaiono così come leggermente sfocate. Anche il sole è nascosto. Brahim e Ahmed si sono completamente avvolti la testa con i loro cheche che qui chiamano anche haouli, le lunghe sciarpe di mussolina trasparente lunghe da quattro fino a dieci metri, parte integrande dell'abbigliamento obbligatorio mauritano e di tutte le genti del deserto. Ormai abbiamo lasciato la città e anche le ultime case al bordo della strada sono scomparse, assieme alle persone, anche le auto sono diventate rare presenze che percorrono la RN1, uno stretto nastro di asfalto, dal fondo accettabile, che tira dritto verso l'infinito, senza che tu riesca a percepirne la fine. 

Il terreno attorno è completamente pianeggiante, terroso con radi cespi di vegetazione aridofila o, dove indovini la maggiore presenza di umidità nelle profondità della terra, gruppi di acacie spinose che protendono i loro rami contorti all'intorno, quasi cercassero aria da respirare. Di tanto in tanto gruppi di capre e qualche dromedario isolato, vagano in cerca di qualche cespo di erba secca e poi si dirigono verso il nulla. Se cerchi bene e con attenzione riesci a scorgere anche un pastore che li accompagna distanziato. Ormai i pastori sono rimasti gli unici abitanti di questo paese che stiano al difuori dei centri abitati; popoli che da secoli incrociano le dune e le piste di questi spazi privi di riferimenti visibili, percorrendo itinerari di cui solo loro riescono a riconoscere direzioni e segni apparenti. Il resto della popolazione, da qualche decennio è diventata una società completamente urbanizzata che ha completamente rinunciato a questa cultura millenaria a cui ormai ha cessato di appartenere. Il problema è che qui piove sempre di meno, ultimamente sono passati anche dieci anni senza acqua e quando qualche raro rovescio arriva, tutto il deserto si ricopre di una leggera e quasi invisibile tappeto di sottilissimi steli verdi che durano fino a quando la poca acqua caduta è stata riassorbita. Capita spesso che queste greggi, non resistano e se la siccità si prolunga tutti gli animali muoiano e il pastore sia costretto ad andare a rimpinguare ulteriormente la folla inurbata in cerca di un lavoro purchessia. 

La strada intanto prosegue, interrotta ogni pochi chilometri da posti di blocco, stabili o provvisori, di polizia armata. Sono tutti gentilissimi per la verità, buttano un occhio nella macchina, stupiti di vedere qualche volto occidentale, poi il nostro Ahmed porge loro una fotocopia dei nostri passaporti che provvidenzialmente ha già tirato in una cinquantina di copie e che serve soprattutto a guadagnare tempo, diversamente ogni volta bisognerebbe scendere, andare nella tenda o nel baracotto a trascrivere tutti i dati. Quindi sapevatelo, portatevi dietro anche voi un po' di copie, che non si sa mai. Finite le acacie il deserto si fa evidentemente più arido e al reg roccioso si sostituiscono le prime serie di dune, giallo ocra già verso le dieci di mattina, destinate a cambiare continuamente colore durante tutta la giornata. Contemporaneamente e per fortuna, anche il vento deve essere completamente cessato da un po' di tempo e la nebbia è scomparsa man mano che procediamo verso nord. L'erg di dune che man mano diventano più alte si perdono ai nostri fianchi fino all'orizzonte. Ci lasciamo cullare quasi fossimo sulla groppa di un dromedario che segue la sua lunga carovana. Una tenda bianca lontana segnala la presenza di un pastore, il suo gregge non è neppure in vista lontana. Anche il vento è cessato. 

Verso Atar

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