giovedì 10 ottobre 2024

Caucaso 23 - Tra templi, chiese e natura

Il tempio di Garni - Armenia . Caucaso - Maggio 2024 )Foto T.Sofi)


 

Nartece

Prendiamo la strada verso sud est, risalendo colline aspre e siccitose. Pochi chilometri e siamo a Garni, zona dove sorse una fortezza strategica nel controllo della piana che si estende davanti all'Ararat. E su una specie di sperone di roccia che si spinge sulla valle, ecco spuntare una piccola ma deliziosa gemma. Proprio sulla punta estrema, sollevato da una serie di gradoni piuttosto alti, forse appositamente disposti per far sentire più piccolo chi li saliva e indurlo, stanco per l'ascesa, a genuflettersi ancora di più di fronte alla potenza della divinità, ecco ergersi una costruzione piccola, se paragonata ad altri grandi esempi religiosi, un tempietto che forse, anche per il fatto di essere stato rimesso in piedi una cinquantina di anni fa, pur con tutti i materiali originali rimasti per tre secoli nella polvere a causa di un terrificante terremoto, appare adesso come nuovo. Per la verità la storia del tempio è avvolta nel mistero, non è chiaro neppure se si tratti davvero di un edificio religioso o di una costruzione civile. Tutti gli altri templi pagani sono infatti stati distrutti nella furia cristiana dei primi secoli e quanto meno sostituiti da basiliche del nuovo culto, invece questo non è stato toccato, non si sa se per il voler mantenere un raro esempio di bellezza classica o se per caso. Certo, il fatto che una basilica di piccole dimensioni sia stata eretta accanto farebbe propendere per l'assenza di sacralità riferita al luogo, fatto sta che non è neppure chiaro, se si trattasse di un tempio, a quale divinità fosse dedicato, forse al Sole, per uno di quei tanti culti orientali che stavano sorgendo in quel periodo di confusione mediorientale, dove sotto ogni pietra trovavi un predicatore o un santone. 

I mosaici

Certo che l'edificio è architettonicamente perfetto con le sue linee eleganti e le decorazioni pur fitte ma non barocche o esagerate. Vedetela come volete, ma il periodo classico ha comunque lasciato ovunque nell'area mediterranea e oltre, segni incancellabili del suo passaggio e ben si può affermare che, comunque abbia condizionato tutta la storia successiva. Anche il mosaico che è venuto alla luce nei vicini bagni termali, ha una eleganza davvero unica e anch'esso marca il livello raggiunto anche da queste parti per un impero che era riuscito comunque a livellare culturalmente ed economicamente ogni zona controllata, anche se era molto lontana dal centro del potere. E' una capacità non secondaria, ancora più importante di certo di quella della facilità di conquista e che probabilmente, è anche uno dei segreti che ha contribuito a tenere insieme un impero così vasto per quasi quattro secoli. Insomma siamo stati bravi, mi sento parte di questa storia e quindi voglio arrogarmi una piccola parte di merito come discendente, anche se lontano, ma sì, diciamolo pure, abbiamo insegnato tanto al mondo e un po' di orgoglio ci sta tutto. Dunque andiamo pure a mangiarci un paio di spiedini di carne con vista tempio, che qui sembra proprio di essere in campagna, tra orci di vino e griglie che crepitano, anche se i prezzi sono condizionati dalla vicinanza delle rovine, temo, come si usa in tutte le parti del mondo. Ad un tavolo vicino un gruppo di gente festeggia qualche ricorrenza, cantano, qualche ragazza si alza e volteggia attorno al tavolo al suono di una canzone tradizionale. 

Torsioni laterali

Sembra di essere nel nostro sud, con le vestigia di pietra sullo sfondo. E pensare che dagli anni trenta in poi i Soviet volevano spostare tutto nella capitale per arricchire qualche piazza di Yerevan con questa bellezza, poi per fortuna (o meglio per il costo) ci hanno rinunciato. Benvenute le ristrettezze economiche, a volte riescono ad evitare lo scempio. E' ora di andare ,ma non vogliamo ritrarci da questo luogo particolare e scendiamo nelle gole del fiume Azat, che fa una grande ansa attorno allo sperone di roccia su cui giganteggia, pur nelle sue minuscole dimensioni, il tempio e segue poi la spaccatura della valle e qui in fondo appare uno dei più grandi spettacoli naturali del paese, la Sinfonia delle pietre. Se lo vedi, scendendo la stradina in discesa che porta direttamente sotto alla parete di roccia in questione, capisci subito il perché di questo nome. I basalti colonnari sono formazioni rocciose presenti in molti posti del mondo e dovunque per la loro bellezza attirano visitatori a compiacersi di questo prodigio della natura, che si forma durante una eruzione interna alla crosta terreste, durante la quale le rocce schiacciate da forze titaniche assumono questa regolarissima forma di colonne di diversa altezza che la compressione stessa costringe ad assumere una impressionante forma esagonale. Quando poi l'erosione libera queste rocce più dure dagli strati esterni, la loro bellezza esplode alla vista come una magica costruzione innalzata da giganti di ere perdute. 

Ne ho visti molti. per il mondo, di questi spettacoli, dalla Giant's causeway all'estremo dell'Irlanda del nord, a quelli coreani della costa sud dell'isola di di Jeju, a quelli della Namibia, in una valle selvaggia, alla cascata Svartifoss, in Islanda, proprio per questa presenza detta la cascata nera, per non parlar della Devil's tower americana, ma queste sono per dimensione, quantità e perfezione, assolutamente le più straordinarie che mi sia capitato di vedere almeno fino ad adesso. Per una lunghezza di quasi un chilometro, si allungano in curve successive, alte fino a cinquanta metri, cascate di pietra allineate in un perfetto colonnato che finisce per i fusi più esterni ed esposti alla vista ad una certa altezza da terra formando anfratti, rientranze e grotte che appaiono come gli angoli delle moschee, le affascinanti muqarnas a nido d'ape, le volte a stalattite dell'architettura islamica più decorativa. Cammini avvolto dalla perfezione di questa opera della natura, che poi a tratti si contorce come fosse stata schiacciata da forze sovrannaturali, formando archi, diagonali, disegni complessi, pur senza perdere mai la sua struttura perfettamente geometrica, apparentemente diresti artificiale, tanto è precisa. Alla base i frammenti di pietra che sono via via piombati giù a causa delle dilatazioni termiche della roccia, appaiono come piastrelle esagonali posate lì, in attesa di qualcuno che venga a ripristinare un pavimento devastato da qualche titanica devastazione. 

Il rumore dell'acqua del torrente suona la sua musica lieve, un arpeggio di strumenti antichi che accompagna il tuo passaggio, mentre dall'altra riva, altri spettacolari rilievi si alzano verso il cielo, creando altre quinte grigie, altri fondali destinati nei prossimi millenni a spezzarsi, un frammento alla volta, precipitando in basso e formando coni di deiezione dalla forma anch'essa perfetta, come per non turbare le forme di colore ardesia che splendono sulle pareti in verticale. Santo cielo, che bello e che privilegio poter essere qui. Insomma fatichi a venir via, in verità mi piacerebbe davvero restare fino al tramonto del sole, per vedere se l'astro rosato, riesce a schivare nella discesa i crinali più alti e a far penetrare i raggi dorati della sera a carezzare il colonnato perfetto, quasi fossero luci che passano le vetrate di rame di una cattedrale eretta da esseri di altri mondi. E forse essere aiutato a capire come mai in questa terra hanno trionfato tanti culti dedicati proprio alla maestà del Sole. Risalgo l'erta verso l'auto a malincuore, tre asini scendono verso il basso cariche di robuste signore velate che vanno anche loro a godersi la vista del fondo della gola, fino a fermarsi davanti all'antico ponte che la sbarra, proprio dove finisce lo spettacolo. Poi ecco ancora scendere anche una cavalla con un puledrino al seguito, di certo nato da pochi giorni. Porta in groppa un'altra signora abbondante, che si guarda intorno con aria incerta, evidentemente non abituata a quel mezzo di trasporto, preso nell'entusiasmo di poter evitare la scarpinata. 

La volta centrale con l'oculo

Il cavallante tira la cavezza per farla scendere più rapidamente, anche questo è lavoro insomma e anche il turismo serve a far girare il mondo. Mentre tiro il fiato alla fine della salita, ho un contatto umano con quattro torinesi che stanno girando il Caucaso dopo aver affittato un'auto, insomma anche così si può evidentemente, ragiono buttando ancora un occhio indietro per imprimermi nella testa un immagine di questa meraviglia, che rimanga indelebile, almeno per un po'. Insomma nel giro di tre ore son rimasto già due volte senza parole e la giornata non è ancora finita. Risaliamo quindi ancora qualche chilometro per arrivare al monastero di  Geghard, incapsulato in una gola secondaria da cui vedi sempre più in basso, il tortuoso corso dell'Azat. E' uno degli insediamenti cristiani più antichi del paese, tipico della cultura rupestre dei primi secoli, con una serie di chiese scavate nella roccia e ricavate da anfratti ingranditi mirabilmente fino a farli diventare ambienti regolari e complessi, dalle semplici grotte da anacoreti che erano all'inizio. Abbiamo visto tante di queste tipologie costruttive in giro per il mondo, dai templi indiani di Ellora e Ajanta, alle meraviglie di Lalibela in Etiopia, alle decine di chiese della Cappadocia e altre ancora, tutte portatrici di questa ansia di sacro che porta gli uomini a scavare la roccia per ricreare quella sorta di ventre materno nella quale la piccola dimensione umana cerca di protezione e rifugio. Nel tempo, qui, tutto si è ingrandito e alcune costruzione si sono allargate all'esterno fino alla chiesa principale, sorta nella forma attuale attorno al 1200, che rappresenta un esempio davvero mirabile di questa tipologia di costruzioni religiose. A parte le dimensioni notevoli e l'armonia delle proporzioni, quello che ti colpisce maggiormente è la complessità degli ambienti interni alcuni dei quali proseguono fin dentro alla montagna. 

Bassorilievi

Sei circondato dalla pietra grigia ricoperta da bassorilievi arcaici e severi, che ricordano i nostri Antelami e i primi scultori medioevali o le figure inquietanti di Wiligelmo. Leoni e pantere a coppie ti scrutano dagli architravi e dagli archi oscuri. Figure dalli occhi rotondi e spenti scrutano lo spazio avvolti dall'ombra. Ma è soprattutto la volta centrale del cosiddetto Gavit, con una ricopertura di stalattiti che richiamano molto le successive muqarnas islamiche, sostenuta da grandi e robuste colonne, anche ricavate dalla roccia. Evidentemente un tipo di decoratività ispirata dalla natura, più legata al gusto geografico che alle tendenze religiose specifiche. Il pavimento è irregolare, formato come appare, da enormi lastroni di pietra, alcune sono lastre tombali ricoperte di scritte e bassorilievi che ricordano il sepolto, mostrandone le fattezze, reali o solamente immaginate. La luce è scarna, penetra da un oculo al culmine della cupola e contribuisce al senso straordinario di mistero, un artificio imparato di certo dai romani e dalla loro capacità architettonica. Tutto attorno alla sala centrale, su una serie di scansie, un letto di ceri, con la flebile luce di gialle fiammelle aggiunge magia alla scena. La devozione popolare contribuisce sempre alla sacralità dei luoghi pur se in forme diverse. Un luogo assolutamente mistico. Fuori, un'altra meraviglia. Appoggiate ai muri di contenimento o addossate alla parete di roccia, ecco sfilare una interminabile serie di Khachkar, le croci della tradizione, uno dei mezzi espressivi con cui si manifesta l'arte religiosa armena. Nella maggior parte dei casi vengono scelte per questo uso delle lastre di pietra morbida, una specie di arenaria, dal delicato colore dorato. rettangolari con il lato maggiore di almeno un metro o più. 

Croci nella roccia

Il colore magnifico della pietra le fa apparire ancor più come oggetti di meravigliosa ornamentazione. Il bassorilievo raffigura una croce inscritta nel rettangolo e in essa ed attorno ad essa, si scatena la fantasia dell'artista, con una ricchezza infinita di disegni geometrici, di trine e di intrecci fantasiosi, delicati e complicatissimi, fino a farla apparire come un lavoro di filigrana nella pietra. Una diversa dall'altra sembrano fare a gara per mostrare un risultato finale sempre più complicato, raffinato e mirabile. Una gara di abilità tecnica artigianale o forse qualche cosa di più. Anche qui, rimanere sul muracciolo a guardare la sfilata delle croci sulla parete, la cupola maggiore che svetta su tutte, le cappelle che emergono dalla roccia, è emozione, non sai da dove distogliere gli occhi per passare alla meraviglia vicina e poi alla successiva. Certo che oggi nel raggio di una cinquantina di chilometri siamo passati attraverso una delle meraviglie della natura di milioni di anni, ai tremila anni di Erebuni, all'arte ellenistica di mille anni dopo di Garni ed eccoci qui dopo un altro millennio a godere della capacità artistica dell'uomo, che riesce sempre a rappresentare la storia che via via si dipana nel tempo, accoppiando la forza mentale agli avvenimenti, capace sì di guerre e violenze indicibili che tutto vogliono distruggere, o per lo meno tentano, ma alla fine qualche cosa rimane a raccontarla questa storia infinita ed appagante, per chi la percorre ed ha il privilegio di poterla considerare. 

Devozione

SURVIVAL KIT


Tempio di Garni - Data di costruzione incerta, verso il termine del I sec. dopo Cristo, citato come Gorneas negli Annales di Tacito e molto famoso anche nell'antichità; rimane l'unico edificio che rappresenta la cultura greco-romana o ellenistica, secondo alcuni non è neppure un tempio in quanto non fu distrutto in era cristiana. Esastico, periptero in stile ionico, contiene una piccola cella dove probabilmente si ergeva una statua. Si ipotizza dedicato al sole e a riti mitridatici. Attualmente centro di neopaganesimo. Crollò invece nel grande terremoto del 1679 e fu ricostruito solo negli anni '70 del secolo scorso. E' una delle meraviglie architettoniche del paese ed era raffigurato anche sulle banconote da 5000 dram. Nell'area visibili anche i resti di una basilica e bagni romani con un bel mosaico ben conservato. 

Sinfonia delle pietre - Fenomeno naturale nelle gole dell'Azat, Imperdibile. Visita che si abbina normalmente col tempio di Garni. Comoda strada lastricata da percorrere tutta per godere l'intero spettacolo delle colonne di basalto scuro. Meglio sarebbe arrivare al mattino presto per evitare la massima affluenza, nelle parti centrali della giornata, anche le ore prima della sera dovrebbero avere una bella luce, prendendo in pieno gli ultimi raggi del tramonto. Ingresso 300 Dram. Calcolate come minimo un'ora per godervi una passeggiata aventi ed indietro.

Monastero di Geghard - A circa 12 km dalle gole, proseguendo sulla H3, è costituito da una serie di chiese scavate nella roccia a partire dal IV sec. La più importante costruita all'inizio del 1200, si dice conservasse la lancia che diede il colpo di grazia a Gesù sulla croce, poi portata ad Echmiadzin. E' la più imponente, Qui sono conservate alcune delle più belle e antiche Khachkar, le tradizionali croci armene scolpite nell'arenaria. Almeno un'oretta per dare un'occhiata alle varie grotte e ambienti e soprattutto apprezzare le croci istoriate.

Le gole dell'Arat

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Sinfonia della pietra
7 -  Kazbegi

giovedì 3 ottobre 2024

Come nascono i viaggi.

Patagonia


Il viaggio nasce per caso. Difficilmente comincia con programmi ben definiti, diciamo così razionali. Al contrario spesso si tratta solamente di una scintilla, magari scaturita in un tempo lontano, magari un tizzone rimasto a lungo, molto a lungo sotto la cenere a covare desideri inconsapevoli, sentori esotici, curiosità nemmeno valutate fino in fondo. Un tempo, quando ero piccolo, non riempivo gli album di figurine dei calciatori, per i miei non erano sufficientemente "istruttivi", questa era la parola che usava continuamente mia mamma e tutti i soldi che loro investivano su di me, fossero pure le 10 lire che costava la bustina dal giornalaio, dovevano essere legate a quel miglioramento culturale che ritenevano necessario per quel famoso ascensore sociale che oggi dicono si sia rotto. Per la verità non interessavano neppure a me, invece appassionato di quelli storici, mi ricordo Garibaldi, l'unico che sono riuscito a completare, oppure quelli di natura geografica e naturalistica. Mi ricordo bene ancora adesso, il fascino che mi attirava verso quello di Animali del mondo e Razze umane, che allora evidentemente si poteva dire senza tema di offendere qualcuno. Del primo, ricordo la gioia di quando trovai la figurina della Nasica del Borneo, animale buffo e fantastico, mentre del secondo due erano quelle che più mi intrigavano e continuavo a guardare con grande interesse. Una era quella del Circasso che veniva raffigurato con un costume stretto e nero lungo fino ai piedi con un grande colbacco di astrakan e quella di una donna di etnia Mursi, della valle dell'Omo in Etiopia, con un grande piattello di argilla colorata che le storpiava il labbro inferiore. 

Due terre così lontane di cui neppure riuscivo a trovare la collocazione precisa sulla piccola carta che compitavo sul vocabolario Novissimo Melzi, che mi avevano regalato a Natale, su indicazione della maestra Fracchia in seconda elementare. Pensate che al centro dell'Africa e su quasi tutta l'Antartide c'era uno spazio bianco, con la dicitura: Territori inesplorati, figuriamoci nel 1953! Poi col tempo imparai delle esplorazioni di Bottego e delle avventure di grandi guerrieri nel Caucaso settentrionale e in questo modo quei chiodini rimasero piantati nella mia testa, fino a quando non potei andare a vedere coi miei occhi come erano quei posti, immaginati, sognati, spesso ben diversi delle loro realtà effettive. Così, anni dopo per lavoro finii proprio a calcare i sentieri di quelle repubblichette, sotto le creste dell'Erebus e del Dombai, stupendomi, con una certa delusione, di non trovare nessun cavaliere con le bandoliere sulle vesti nere, anche se ancora qualche vecchio colbacco di pecora girava in testa a vecchi sovietizzati. Ne parlai addirittura, ad una grande cena a cui eravamo stati invitati da un cliente, proprio in quella Circassia che avevo sognato, facendo ridere tutti per le mie ingenue aspettative, mentre al contrario, rimasi morbosamente affascinato durante una notte trascorsa in un villaggio di Mursi, a mangiare ugali, un pastone di mais offerto dal capo tribù, mentre le sue donne, tutte rigorosamente esibenti i grandi piattelli che sformavano loro, le labbra ed i lobi delle orecchie, ci giravano intorno curiose. 

Non parliamo poi delle giornate trascorse a scivolare sui fiumi del Sarawak e di Saba, mentre branchi di nasiche starnazzavano sopra di noi, battendo i palmi sulle pance gonfie di foglie masticate, mentre il maschio sbuffava dal buffo nasone, per manifestare la propria predominanza su tutti e soprattutto su tutte le femmine che lo circondavano con i piccoli. Insomma questo per dirvi che basta poco per piantare un chiodo, lasciare una traccia indelebile che poi a distanza di anni si concretizza, per meglio definire un'idea, che diventa un itinerario e poi finalmente un viaggio. L'ho fatta lunga come mio solito, ma era per farvi capire che, quando mi capitò tra le mani, anni fa, il libro più famoso di Chatwin, In Patagonia, lo lessi con fervore, essendo un classico, ma mi rimase nella mente, più che la storia in sé, che poi nel racconto un po' disordinato dell'autore, vaga, attraverso vicende raccolte nel viaggio, mescolate ai fatti storici riferiti al territorio, un po' come piace fare a me che nei miei racconti tendo a divagare a più non posso mescolando emozioni a fatti raccolti durante la via, ma che soprattutto descrivono, come senza particolare attenzione, la quinta dello straordinario paesaggio che scorre attorno a lui durante la sua lenta discesa al sud, di paesetto in cittadina, da una estancia ad una capanna persa nelle pampas, come se non fosse altro che un fondale necessario al suo vagare necessario, in cerca, come si diceva una volta, di ritrovare se stesso. 

Bene proprio la descrizione di questo spazio vuoto, che in fondo non contiene null'altro se non la sua essenza, la sua non storia, popolata di esseri marginali o selvatici, oppure ancora inselvatichiti proprio dall'avere scelto o dall'essere stati costretti a trascorrere la loro vita in quel nulla, rappresenta il fascino indescrivibile di quella terra lontanissima, come si dice alla fine del mondo, che da allora è sempre rimasta nella mia testa, iconicamente. Certo il desiderio di vederla così come lui l'ha raccontata, a pelle, senza troppe intermediazioni culturali, ma sentendone il respiro e l'odore, è sempre stata lì a covare il suo uovo, un uovo che ci ha messo parecchio a schiudersi. Così quando recentemente ho ripreso in mano il libro, il desiderio, embrionale ed indefinito, si è fatto via via più concreto, con contorni più specifici, ha preso insomma una sua forma di possibilità, anche se non ancora di progetto realistico. Poi la cosa ha preso una piega più insistente, condizionata e motivata giustamente anche dal fatto che gli anni passano e che le cose diventano per questo più difficili da realizzare per motivazioni squisitamente legate alla forma fisica, per esempio, il tutto unito alla coscienza che se lasci passare ancora tempo potresti ritrovarti nell'impossibilità fisica e materiale di percorrere certi sentieri, mi ha spinto definitivamente a pensarci come ad un viaggio programmabile. Così è nata l'idea, riuscire a concretizzarla è tutto un altro paio di maniche. Ma ne parleremo nei prossimi giorni. 




mercoledì 2 ottobre 2024

Caucaso 22 - Yerevan dall'alto

Yerevan - Armenia - maggio 2024 - (foro T. Sofi)


Nel mirhab della moschea blu

Insomma come sappiamo, il  passaggio ai mercati è sempre cosa piacevole e divertente, tanto alla fine te ne esci sempre con pacchetti e pacchettini, in questo caso, però essendo tutta roba mangereccia, quanto  meno sappiamo che non andrà ad appesantire le valige, che come è d'uso sono sempre troppo piene. Intanto dobbiamo ancora finire la giornata, perché ci manca la famosissima moschea blu, una costruzione in stile iraniano, che ha avuto nel tempo una storia travagliata e che oggi è rimasta l'unica delle otto moschee costruite nella città che è stata per secoli sotto l'influenza iraniana. L'edificio e l'annessa madrasa, è tornato al culto solo dopo la caduta dell'URSS, periodo durante il quale era stato trasformato in museo. L'Iran a cui è stato ceduto, si è occupato delle opere di restauro, che seppure piuttosto criticate, oggi ci restituiscono un monumento integro e molto bello per le sue linee storicamente ineccepibili e con la bella cupola di maioliche azzurre che svetta nel cielo della capitale vicino al suo piccolo minareto. Il grande giardino interno alle mura racchiude un grande senso di pace e se pure l'edificio viene utilizzato per le funzioni del venerdì, durante il resto della settimana si visita molto piacevolmente come edificio storico molto ben tenuto. Come in tutti gli altri monumenti islamici, devi apprezzare soprattutto la grande attenzione che viene posta nell'utilizzo della grafica e della scrittura come strumento di ornamentazione, non potendosi utilizzare le figure viventi per motivi religiosi. 

Il giardino

E in questo caso bisogna dire che gli stilemi grafici uniti all'accostamento dei colori è particolarmente riuscito. La cupola e l'ingresso di questa moschea sciita, che incornicia il grande portale di ingresso formano un quadro bello ed elegante, soprattutto quando ci arrivi mediato dalle quinte delle aiuole geometriche, anch'esse in linea con l'andamento degli altri decori, quasi a ricordare un giardino all'italiana. Possiamo davvero considerare il luogo come un'oasi tranquilla in cui trascorrere un po' di tempo guardandosi attorno, senza dimenticare di fare un giro nella piacevole esposizione di oggetti di arte che riempiono tutta l'ala laterale. Quando risali i gradini dell'uscita che ti riportano nell'affollato e rumoroso viale del centro dove si affaccia l'ingresso, torni effettivamente alla realtà confusa  e caotica delle grandi capitali. Terminato il giro, rimane da sistemare il problema della camera, che avevamo lasciato da parte essendo arrivati stamattina troppo presto per prendercene cura. Come prima cosa recuperiamo i bagagli, poi tentiamo di raggiungere l'appartamento che ci avevano assegnato, in una krushiovka rimessa a nuovo perlomeno internamente, ma che era sbagliato, essendo mancante di una camera. Insomma un po' di qui pro quo che alla fine viene comunque risolto con una sistemazione in un ottimo alberghetto del centro proprio sulla centralissima piazza Aznavour. Così non rimane che uscire a fare due passi e a cercarci un ristorantino per la cena. 

Il minareto

Per strada in una piazzetta laterale vicino ad una chiesa, intanto si sta radunando una piccola folla dove qualcuno da un palco di fortuna, sta improvvisando un comizio, mentre vengono distribuiti volantini. Su un lato della piazza, un paio di auto della polizia stanno a guardare senza imporre troppo la loro presenza. Bisogna ricordare che qui c'è appena stata l'ennesima guerra con il vicino prepotente, che ha portato via all'Armenia un ulteriore pezzo di territorio, questa volta il conteso Nagorno Karabag, che gli Azeri chiamano Artsack, provocando una ondata di circa 100.000 profughi, come se di problemi non ce ne fossero abbastanza e quindi da queste parti gli animi sono piuttosto caldi e lo spirito revanscista, sta facendo gioco anche nella discussione politica di tutti i giorni tra la gente, nei bar e nelle piazze. Noi intanto ci infiliamo in un ristorante armeno, che poi si rivela essere piuttosto elegante e costoso per gli standard locali. Obiettivamente essere serviti in maniera estremamente gentile in un ambiente curato e piacevole, unito ad una atmosfera ovattata ti fa sentire coccolato ed il cibo ti sembra ancora migliore. I dolma, i tipici involtini di foglie di vite, ripieni di riso e carne, debitamente speziati, ma non troppo in questo caso, sono in linea con quanto ci si può aspettare, ma devo dire che ho assaporato delle cappelle di funghi ripiene di formaggio fuso davvero deliziose. In somma nel Caucaso, il formaggio non manca mai, peggio per chi abbia problemi coi trigliceridi, noi per adesso resistiamo o almeno cerchiamo di resistere. 

La cupola

Insomma alla fine sembra che anche andando a caso si cada sempre in piedi. Due passi per digerire, per le vie di questa città, tutto sommato piacevole e neppure brutta come ci si aspettava, se consideriamo che sempre di un residuato sovietico si tratta, e poi ce ne andiamo a letto, mentre le predette manifestazioni, si sono già sciolte, oppure non si saranno neppure formate. Comunque dopo una scarpinata intensa come quella di ieri, la notte è proprio una mano santa e ti restituisce, la mattina dopo al mondo, fresco come una rosa! Hahahahah, bella battuta. Comunque anche se oggi ce la prendiamo comoda e sono quasi le dieci quando ci avviamo, non è che mi senta in piena forma, insomma la gamba è quella che è, ma questa è la vita del turista anziano, gambe rotte eppur dobbiamo andar. Oltretutto si aggiunge un ulteriore intoppo. Da oggi abbiamo il nostro mezzo a disposizione, che ci scarrozza in giro come dei milord, direbbe la mia mamma, ma oggi, domenica, la città è tutta bloccata per una maratona nazionale. Per cui tutto il centro non è accessibile ai mezzi e dobbiamo scarpinarcela lungo i viali vuoti fino a raggiungere uno dei varchi tra le transenne che segnano il percorso, dove ci aspetta l'amico Saro che ci scarrozzerà per tutta la settimana. 

L'ingresso alla sala

Intanto ci facciamo strada tra i corridori che arrancano sbuffando sul vialone in leggera salita. Certo che 42 chilometri e rotti sono una bella mappazza e infatti molti trascinano le gambe, non oso pensare alle ultramaratone che si ciuccia il nostro Gianluca di 100 chilometri od in alternativa, quando si sente, di 100 miglia. Però sembra che ce la si possa fare con il corretto allenamento ed infatti, lui, prima di venire a prenderci in albergo si è già fatto un paio d'ore di corsetta leggera, come d'altra parte fa tutti i giorni, tanto per non perdere il ritmo. Certo che poi quando si tratta di salire alle varie cittadelle, va come un camoscio. Va bé, possiamo sempre avanzare la scusa dell'età. Comunque ridendo e scherzando siamo arrivati in cima alla collina che dalla estrema periferia, domina tutta la città, dove sorge la cittadella di Erebuni, il primo nucleo costruttivo di Yerevan. Qui, all'incirca 2800 anni fa, i re della cultura di Urartu, eressero questo avamposto per difendersi dalle incursioni delle etnie del nord, che divenne via via più importante fino a rappresentare una sorta di vera e propria capitale della zona. Certo oggi puoi apprezzare solamente lo schema costruttivo della fortezza, pur potendo individuare bene la grande sala consigliare colonnata e la grande superficie circondata dalle mura. 

La cittadella

Era di certo un caposaldo importante di quelle culture provenienti dal vicino Iraq, che con la loro scrittura cuneiforme, di cui qui sono state trovate abbondanti  tracce, erano all'apice dello sviluppo mediorientale e formavano società moderne ed estremamente evolute, cosa che si capisce bene dai manufatti trovati che sono conservati nel piccolo museo sottostante alle rovine. Il luogo è emozionante, seduti sulle antiche pietre ad ascoltare la lezione storica che Gianluca ci impartirà, come in tutti i giorni successivi, prima di passeggiare a toccare con mano i vari siti. C'è poco da fare se non ti preoccupi di assimilare prima una opportuna esposizione di fatti storici e soprattutto di motivazioni e di cause che si sono succedute a provocare questi stessi fatti, alla fine vedi solamente delle distese di pietre e di muri senza significato e non solo li apprezzi poco, ma alla fine quella che mancherà davvero è l'emozione, che dovrebbe essere la vera molla del viaggio. Intanto da questo bastione alto 1000 metri, guardiamo la città che si stende sotto di noi, dove spicca il bel centro storico con i suoi palazzi zaristi e le periferie che si estendono tra le vallate laterali, piene invece di falansteri sovietici quasi in rovina. Sullo sfondo, come sempre, la sagoma imponente, la presenza protettiva ed inquietante al tempo stesso, del cono perfetto dell'Ararat e della sua anticima minore, entrambe incappucciate di neve. 

L'iscrizione cuneiforme

Pensiamo, mentre il sole leggero ci scalda la testa impegnata a pensare, che mentre Romolo scavava il solco della nostra storia creando la sua città, qui si dominava questa parte di Caucaso, ammantata dalle leggende della Colchide, già ricco delle sue vicende protostoriche millenarie, di regni succedutisi gli uni agli altri, ognuno creando culture, capendo per primi in quale modo si potevano coltivare le piante, liberandosi così dagli obblighi del continuo spostamento nomade, abbandonando definitivamente caccia e raccolta e inventando cose che hanno cambiato tutto il resto del mondo. Questa terra ha dato davvero molto alla storia dell'uomo e passeggiare sulle grandi pietre originali che costituiscono il pavimento del piccolo museo, te lo ricorda anche con poche cose, un elmo perfettamente conservato, che rappresenta la guerra, presenza violenta forse inestirpabile nell'animo dell'uomo, ma al suo fianco, fondamentali, un boccale per il vino e i grandi orci per la conservazione delle granaglie, e le iscrizioni che recitano quante staia (kapis) erano contenute nei granai costruiti dal re Sarduni, figlio di Argistis e che raccontano quanto nella realtà, l'agricoltore sia quello che rimane davvero a mandare avanti il mondo, dopo che gli eserciti sono passati sterminandosi a vicenda. Ma questa è a eterna storia dell'uomo, gli eroi fanno la storia morendo sui campi di battaglia e gli umili mandano avanti il mondo senza clamori, ma implacabilmente.

Le krushovke della periferia


Elmo

SURVIVAL KIT

Dolmama Restaurant - Pushkin str. 10 - Posizione ottimale in una traversa laterale della centralissima Abovyan street, offre cucina armena in un ambiente elegante e raffinato. Piatti abbondanti e servizio curatissimo. La qualità, anche se per noi occidentali, è difficile distinguere le differenze, è ovviamente di altro livello rispetto ai ristorantini di minor livello. Il prezzo ovviamente è proporzionato, ma sempre accettabile, 30.000 in 4 per una cena parca.

Cittadella di Erebuni - Alla periferia della città, in bellissima posizione elevata da cui si domina tutta l'area ed il monte Ararat sullo sfondo. Visibili le basi della fortezza e delle sale principali con le colonne lignee ricostruite per far capire meglio  la struttura. Non perdete il museo sottostante con pochi pezzi ma molto significativi. Ben apprezzabili le aree di stoccaggio di cereali, olio e vino, che si produceva e si commerciava già in maniera protoindustriale. Inoltre riconoscibili il tempio con portico dodecastilo e torre tipo ziggurat, tipica della cultura di Urartu. Sono stati trovati anche interessanti affreschi, con figure umane, animali e geometriche e floreali. Ingresso compreso museo 1800 Dram. Dedicateci almeno un'oretta. Si può arrivare facilmente in taxi, se non avete il vostro mezzo.


Il museo

Angolo
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Nidificazioni di grifoni - Gorges della Jonte - Francia. settembre 2024


Attorno a Millau

Sarebbe invero il momento di arrivare in paese per cercare un letto dove dormire, visto che non ci si è ancora pensato, ma aggirarsi per le stradine che scavallano colli bellissimi e anche piuttosto solitari in questa Francia Occitana, così poco popolata, dove i paesini sembrano quasi abbandonati e le strade li attraversano tra due ali di piccole case dalle finestre chiuse e le persiane sbarrate, mette un po' di tristezza. Anche qui i giovani se ne saranno andati verso le sirene della città, anche se queste colline sono davvero bellissime. Cerco di arrivare fino in cima ad un piccolo monte dove stanno raggrumate una decina di case in mezzo alle quali spunta una minuscola abside e un mozzicone di campanile, attraverso una stradina stretta e scoscesa, ma ai primi muri, la strada è in pratica, così ripida da non essere più percorribile. Nessuno intorno, i simulacri di un paio di minuscole stalle, deserte all'apparenza, niente più latte per formaggi di qualità quassù, tutto è scivolato a valle dove la vita è più facile. Però che panorama di monti lontani, sono le Cevenne che racchiudono tra le loro valli altri piccoli tesori naturalistici. Sto per girare la macchina quando in fondo alla valle, ben visibile tra i costoni lontani, tra di loro appare un'altra delle meraviglie questa volta studiata dall'uomo. Sono linee che alla distanza sono talmente sottili da essere visibili con difficoltà, eppure dividono il cielo e la terra con tratti decisi come tagli di Fontana su una tela azzurra, colpi di katana attraverso le nubi. 

Millau

Si tratta del viadotto di Millau, un'opera prodigiosa, inaugurata nel 2004, il più alto ponte strallato d'Europa, tra i maggiori del mondo, 7 pilastri col più alto di ben 341 metri, più della torre Eiffel che per i francesi rimane sempre un punto di riferimento, che sostengono una autostrada larga 32 metri, di due chilometri e mezzo, insomma un'idea per il ponte di Messina, ma qui sembra che i costi, sono stati di circa un decimo, anche se sono passati 20 anni. Il ponte che passa in un balzo la profonda valle del Tarn, ha risolto un problema logistico fondamentale per una strada che scendeva in basso fino alla cittadina di Millau, creando in estate ingorghi di ore che ora vengono bypassate in un paio di minuti. E' il progresso ragazzi, ma è anche bellezza pura, tanto che non ci si può esimere dal fermarsi a guardarlo e a goderne la purezza delle linee. Pensate che in pratica è riprodotto anche sulle banconote da 500 euro, dato che tutte le banconote europee sul retro raffigurano un ponte, ma l'immagine è stata leggermente modificata pur essendo riconoscibilissima, per non dare ai francesi la soddisfazione di avere sugli euro addirittura due ponti visto che sui 5 euro c'è già il ponte di Gard e anche se va bene che quello l'avevano fatto i Romani, concederne due su sette ai Francesi erano troppi anche per le loro grandeur, così si è provveduto alle piccole variazioni che lo dovrebbero rendere anonimo e non riferibile se non ad una struttura di fantasia. 

Il viadotto di Millau
Sono i bizantinismi di Strasburgo, ma le cose stanno così. Seguo la strada che via via gli si avvicina dandomi punti di vista sempre più affascinanti, fino ad arrivargli proprio sotto e poi per poco non mi faccio arrotare da un insensibile automobilista che percorre la strada di fretta, mentre cerco di fare una foto tra i piloni. La natura sarà pur bella, ma l'opera dell'uomo che magnifica la sua genialità, ragazzi, è davvero tanta roba. Scendiamo dunque lasciando i prati che cominciano a prendere i colori dell'autunno ed entriamo a Millau, una piccola cittadina occitana che presidia la valle del Tarn ed i grandi parchi naturali all'intorno, quello delle Grandes Causses e quello delle Cevennes, che poi sono adiacenti. Mi ero scelto una casetta che affittava stanze appena fuori dal centro, questione di 500 metri, qui si gira comodamente a piedi, ma quando ci arrivo vicino, mi trovo di nuovo nelle panie, perché non avendo prenotato e non essendo questo un hotel se pur piccolo, non troverò nessuno che presidia il fortino. Infatti giro intorno alla casa guardingo, quando arriva una provvidenziale signora, che altri non è se non la mamma della proprietaria che viene a fare le pulizie, essendo la casa gestita come AirB&B. La madama telefona alla figlia e sistemiamo il tutto brevi manu e così ci sistemiamo in tempo per poter uscire di corsa a fare un giro in centro. Il paese col suo piccolo centro antico è assai piacevole, tutto ruota attorno alla piazza centrale ed a qualche via adiacente e nulla più. 

Chiesetta di S. Marie des Champs - X sec.

Ci facciamo il triangolo delle vie pedonali, fino alla torre ottagonale, ma anche qui i negozi si avviano alla chiusura. Rimane solo qualcosa nella piazza, qualche bar, dove ci fermiamo e dove finalmente ho l'opportunità di ordinare un croque messieur, sfizio che non mi toglievo da tempo immemorabile, per di più al Roquefort, visto che questa è la zona e gli dà come si dice anche un certo caractère! Alla fine ce ne torniamo passeggiando sotto un cielo che ha voglia di gocciolare ma quantomeno ci fa arrivare fino a casa. Si dice che la notte porta consiglio, per noi invece ha portato un bel po' d'acqua che però ha avuto il pregio di lasciare un cielo quasi pulito, azzurro con qualche sbuffo. Quindi lasciata la chiave nell'apposita cassettina, che ormai così funziona, partiamo alla volta del giro che abbiamo programmato nel parco che contiene uno dei must di questa parte della Francia, le gole del Tarn, meno note delle più famose Gorges del Verdon, ma che risulteranno davvero meritevoli dello sbattimento di arrivare fin quaggiù. L'idea è di fare un bel giro percorrendo da Le Rozier tutte le gole, prima di prendere la strada di casa. Il territorio è molto accattivante, estremamente solitario e selvaggio, ma con strade piccole ma ben tenute. I paesini che si incontrano lungo la via sono piccolissimi, spesso di poche case e decisamente antichi, per la maggior parte le case abitate sono attente ristrutturazioni adibite a case di vacanza oppure a piccole strutture ricettive, bar o ristorantini. 

Le gorges

In pratica il territorio è costituito da un grande scudo tettonico con una sorta di altopiano attorno ai mille metri di altitudine con pascoli e qualche campo di agricoltura marginale, attorno scavato profondamente dai vari fiumiciattoli che percorrono l'area circondandola quindi di profondissimi canyon, dove è possibile fare i più vari sport all'aria aperta, dalla canoa ad ogni genere di trekking. Attraversiamo quindi Le Rozier per inoltrarci nelle gorges del Tarn, giudicate tra le più belle di Francia. In effetti il percorso è bellissimo e siamo lì fermi ad ogni slargo, fermi a guardare in su, tra strapiombi che arrivano oltre i 500 metri. Ci fermiamo colpiti da una piccola chiesetta circondata da un antico cimitero. E' la chiesa di S. Marie des champs, del X secolo con una curiosa parte superiore dove sono situate quattro campanelle invece del classico campanile. Una sensazione di antico e di pace straordinaria. Poi è tutto un seguito di pinnacoli di rocce calcaree, pilastri di pietra e veri e propri colonnati che si allineano, erosi da vento e piogge sulle pareti verticali delle gole, mentre il fiume, in questa stagione poco più di un rigagnolo, segue sul fondo in una serie infinita di meandri bellissimi, ricoperti di boschi che quasi lo nascondono alla vista. Più o meno a metà del primo tratto impressionanti pareti di roccia ocra, ci sbarrano la vista e seguendo le indicazioni ci troviamo di fronte ad uno spettacolo straordinario. 

Nidificazioni di grifoni

Questa è una delle aree francesi dove da qualche anno hanno trovato dimora diverse specie di vulturidi, alcuni dei quali scomparsi da tempo o in via di estinzione e  che ora stanno popolando con successo queste pareti che sono evidentemente per loro un habitat ideale. Si vedono nitidamente le spaccature a metà parete dove si intravedono i nidi coi piccoli in attesa di cibo, ed è poi tutto un andirivieni di grandi adulti che veleggiano attorno prima di arrivare ai posatoi, dove richiudere le ali. Anche quando ci troviamo ad una certa distanza si intravedono questi grandi uccelli con un'apertura alare attorno ai tre metri, segnalati molto bene dall'ombra che, grazie alla posizione del sole e della sua luce radente del mattino presto, si staglia molto ingrandita sulla parete. Uno spettacolo grandioso e come ho avuto modo di appurare successivamente ingrandendo le foto (fatte con una macchinetta che tuttavia dispone di un discreto teleobiettivo), dovrebbe trattarsi di grifoni lanosi o come dicono i francesi di vautours fauves. Le altre specie che è possibile vedere sulle Grandes Causses sono i Gipeti, gli Avvoltoi egiziani e l'Avvoltoio nero, tutti più o meno delle stesse dimensioni, sui tre metri di apertura alare e differenziati soprattutto dalle differenti colorazioni. Staresti ore ad osservarne i lenti volteggi ed a tentare di avvicinarsi il più possibile ai punti dove hanno nidificato, comunque sempre inaccessibili. 

Grifone in volo

Ci mettiamo quindi, a forza di fermarci, quasi due ore ad arrivare a Meyrueis che dista poi solo 21 km dalla partenza. Facciamo una deviazione di qualche chilometro sulla montagna per raggiungere la grotta di Dargilan, che viene spacciata con la sua sala rosa per una delle più belle di Francia, ma la visita guidata parte solo dopo un ora dal nostro arrivo e pertanto rinunciamo. Riscendiamo dunque al paese dove facciamo un giretto e infine visto che è ancora presto per un boccone rinunciamo con dispiacere alle ravioles de cèpes avec truffles ed entro nell'ufficio dell'ente del turismo che è situato nell'antica torre cittadina, dove sono gentilissimi e mi riempiono di cartine abbinate ad ottimi suggerimenti, visto che si sono convinti che mi fermerò da queste parti come minimo alcuni giorni, viste le tante cose da vedere. Qui, parlando, ci accorgiamo con orrore che questa bellissima gola che abbiamo appena attraversano non è affatto la gola del Tarn, ma la gola de la Jonte, che corre quasi parallela, a dimostrazione della bellezza straordinaria di questo territorio nel quale dove vai, godi. A questo punto occorre un programma alternativo per non essere andati fino a Roma senza vedere il Papa. Risaliamo quindi al centro dell'altipiano che raffigura una specie di rombo, traversandolo per il lato corto ed arrivando quindi a Sainte Enimie, uno dei paesini più belli, almeno così recita il dépliant, scendendo lungo una strada tortuosa, su una spettacolare ansa sul fiume, questa volta finalmente il Tarn, da dove percorriamo tutte le gole riscendendo poi verso Le Rozier. 

St. Enimie

Anche queste gole sono bellissime se possibile ancora più selvatiche come pareti, anche se forse più visitate da gruppi di turisti. I paesini si susseguono, Saint Chély, il bel Chateau de la Caze, trasformato in hotel e nascosto dal bosco sulla riva  del fiume, Hauterives sulla sponda opposta; la Malene e infine Vignes, dove ci fermiamo per un boccone, purtroppo non paragonabile alle ravioles a cui abbiamo rinunciato precedentemente. Di qui, anche per ridare un certo ordine all'itinerario e anche dato che comincia a farsi tardi, traversiamo il ponticello sul Tarn e risaliamo nuovamente sull'altipiano traversandolo di nuovo tutto questa volta sulla diagonale lunga fino a scendere ad Ispagnac. Un giro che vi consiglio se avete solo una giornata da trascorrere da queste parti, ma che di certo meriterebbero maggiore tempo. Di qui prendiamo la corniche des Cevennes, che segue il costone di questa piccola catena interna di montagna come una balconata affacciata sulle valli larghe e davvero molto panoramiche di questa bella parte di Occitania per almeno 75 km,  fino ad Alés, da fare con calma per godersi il paesaggio, poi è un attimo, rifornimento e tre ore di autostrada e sei nella mia bella Mentone dove ti aspetta il letto.

Un ponte naturale

SURVIVAL KIT



Parc regional des Grandes Causses et des Cevennes - Un bellissimo territorio, comodo da raggiungere a nord di Montpellier. Base di partenza è Millau di cui non perdetevi il colpo d'occhio del famoso viadotto, opera di ingegneria notevole e la vicina Roquefort per gli affezionati al formaggio di cui abbiamo già detto. Il parco è molto vasto e merita diversi giorni di visita, Ma l'itinerario che vi ho suggerito vi farà vedere almeno a colpo d'uccello, in macchina, le vie principali, In particolare percorrete la valle del Tarn (circa 50 km) e quella della Jonte, partendo da Le Rozier. Nell'area sono presenti oltre ai vari paesini con molte chiesette, le fattorie fortificate e vari luoghi interessanti, le due Grotte di Dargilan (ingresso 15,80 €) e di Aven Armand, con la più alta stalattite d'Europa. Se potete percorrete almeno una delle gorges in canoa (è pieno di campeggi dove le affittano) e assaggiate le specialità del posto.


Le pareti delle gole del Tarn


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