mercoledì 19 novembre 2025

Seta 52 - Il parco del Gobi

 Temporaneamente senza fotografie per cause tecniche

L'asfalto dura poco, è solo un attimo di speranza fino a quando non scompaiono alle tue spalle le ultime gher della periferia della città, ancora tracce di presenza umana sui rilievi lontani, poi di nuovo il nulla. La natura primordiale che ti circonda, gli spazi ondulati ricoperti di peluria verde, come l'epidermide di un pianeta alieno che rifiuta di essere abitato da presenze umane, scorrono lentamente ai tuoi fianchi. Dopo un'oretta la pista diventa un poco più difficile e tortuosa ed entriamo in una valla larghissima ai bordi della quale si intravedono bassi rilievi, lontani da entrambi i lati. Si nota che il terreno qui è più umido dal fatto che l'erba è un po' più fitta ed un poco più verde. A tratti, mandrie di armenti brucano sparse, cammelli, vacche e lontani, i piccoli cavalli per i quali l'esercito di Gengis khan era famoso. Sono piccoli, in genere bai con lunghe criniere e code nerissime. Alle prime appaiono piuttosto grassocci e con le zampe un poco più corte di quanto siamo abituati, ma caracollano spediti con le froge al vento, che comunque continua a soffiare con una certa intensità, facendo piegare gli steli dell'erba sempre nella stessa direzione. Da stamattina avremo percorso un centinaio di chilometri, la pista non consente una gran velocità, ma non abbiamo più incrociato nessuno. 

I proprietari degli animali che abbiamo incontrato saranno lontani nella steppa a radunare qualche bestia dispersa con le loro motociclette scoppiettanti, oppure saranno andati fino a qualche paese sperso nel nulla a procurarsi qualcosa di assolutamente necessario. Alfine incontriamo un gruppetto di uomini che si affanna attorno a qualche decina di animali. Sono tutte cavalle, che hanno partorito da poco. I puledri, sono legati ad una lunga corda con poche possibilità di movimento; alcuni, forse nati da poco, sdraiati a terra, altri un po' più grandicelli che cercano di divincolarsi. Le giumente si aggirano attorno a fatica, impastoiate perché non si allontanino e si guardano attorno forse in cerca del loro nato. Gli uomini le stanno mungendo; raccolgono il poco latte strizzando i capezzoli magri e sporgenti, in grandi secchi, prima di metterlo in appositi bidoni di metallo. E' la stagione in cui si produce questo particolare prodotto, il latte di giumenta inacidito, che pare sia considerato un toccasana assoluto per la salute e del quale i Mongoli fanno un consumo notevole. Dopo la raccolta e la filtrazione, il latte un tempo veniva messo in orci e, dopo l'aggiunta di un po' altro di latte fermentato per innescare il processo, veniva appeso alla sella del cavallo in modo che fosse a lungo sbattuto fino a inacidimento concluso. 

Si dice che il prodotto vada scrollato almeno 10.000 volte prima di arrivare alla maturazione perfetta e di certo oggi si utilizzeranno metodi meno tradizionali, ma il risultato sarà il medesimo. Gli animali si lasciano mungere tranquillamente e gli allevatori svolgono la pratica piuttosto allegramente, sembrano contenti e divertiti dal fatto che ci interessiamo al loro lavoro. Naturalmente ci offrono subito tazze fumanti di latte appena munto e anche altro, credo che sia appunto l famoso prodotto di fermentazione che viene chiamato Cege, almeno mi sembra, ma rifiutiamo cortesemente, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questa landa è l'insorgenza di problemi intestinali, al di là delle sue miracolose proprietà terapeutiche che di certo saranno pure straordinarie, ma diciamo che stiamo bene così. Solo i puledri sembrano piuttosto mogi per la deprivazione del prodotto che doveva essere loro destinato, ma come sempre se ne faranno una ragione. Sembrano piuttosto magri e macilenti, ma pare che questa particolare razza abbia una resistenza estrema tanto che passano all'aperto tutto l'anno sopportando senza problemi o quasi, dai +35 C° ai - 35 C°, insomma una bella escursione, non c'è che dire, grazie alla loro pelliccia, che si nota subito per essere piuttosto folta.

Alla fine riprendiamo la nostra strada, avvicinandoci al rilievo alla nostra sinistra, che si distingue per il suo colore chiaro quasi si trattasse di asperità coperte ancora di neve. Invece si tratta semplicemente delle dune di sabbia del Khongoryn Els, la parte estrema del deserto del  Gobi che presenta un fronte sabbioso lungo oltre cento chilometri e largo  una decina. All'incirca 1000 chilometri quadrati di dune alte fino a trecento metri, tra le più affascinanti del mondo. Il vento qui soffia implacabile e in particolari momenti della giornata provoca una serie di suoni che sembrano riprodurre voci, musiche, richiami misteriosi e gemiti sommessi, tanto da meritarsi il nome di Dune che cantano. Il fenomeno, che già avevamo visto in Cina e che pare sia udibile anche in altre parti del mondo come Marocco o Oman, è stato studiato scientificamente e si è compreso che i suoni sono provocati dallo sfregamento dei granelli tra di loro e la tonalità varia in riferimento al diametro dei granelli stessi con frequenze che vanno dal re al fa diesis. Certo che a Marco Polo, capitato da queste parti forse proprio per la curiosità di provare questa emozione, questa situazione colpì molto, visto che racconta di viaggiatori rimasti indietro dalla loro carovana e persi fra le sabbie, là attirati da queste malie: … quando vuole poi andare per giugnere li compagni, ode parlare spiriti in aire e lì si perde per sempre… E molte volte ode l’uomo molti istormenti in aria e propiamente tamburi

Chi sa se anche lui ha voluti fermarsi ad ascoltarli con la curiosità di un Ulisse che non voleva rinunciare a conoscere il canto delle sirene! Certo erano altri tempi e queste cose venivano favoleggiate in maniera diversa, ma certo che il luogo ha un suo fascino particolare. Noi intanto continuiamo a percorrere la parte bassa della valle e la pista è diventata talmente sabbiosa che c'è pericolo di piantarsi negli avvallamenti. Non facciamo che dircelo continuamente, così che quando una cosa la chiami, alla fine arriva. Eccoci dunque che, dopo un po' di gira e volta, un avvallamento più profondo accoglie le ruote del nostro pulmino con la carezzevole abbraccio della sabbia più morbida, la velocità decresce di colpo, il motore arranca un po' girando a vuoto ed eccola là, sprofondiamo definitivamente rimanendo immobili con le ruote che scovolano scavando fino a non uscirne più fuori. Porco qui, porco là, si scende tutti, ma l'autista non sembra minimamente preoccupato, evidentemente è cosa che succede normalmente, purtroppo noto che non dispone della minima attrezzatura per cavarsi di impiccio in questi casi, che credo siano piuttosto frequenti. Si ferma intanto un altro pulmino, carico di Coreani, ancora meno attrezzato, niente pale o liste di metallo da mettere sotto le ruote. Tutti cominciano però a scavare sotto gli pneumatici impiantati, con mezzi di fortuna, pezzi di legno e pietre che poi vengono messe sotto le ruote stesse a formare una sorta di percorso più solido. 

Alla fine con un po' di volonterose spinte da parte di tutti ne veniamo fuori e si riprende il cammino, con grandi saluti al gruppo di ragazzi coreani che hanno dato una mano. Se ho capito bene, quando c'è una macchina ferma, tutti si aiutano l'un l'altro, è praticamente un obbligo morale che non viene disconosciuto da nessuno, la solidarietà del deserto. Proseguiamo lungo la pista sempre più tortuosa, avvicinandoci sempre di più alla barriera di dune che ormai sono arrivate alla loro massima altezza, formando un cordone giallo e imponente che strapiomba verso il basso e contrasta con il verde della valle. Di tanto in tanto gruppi di gher compaiono alla nostra destra, segno che in molti arrivano da queste parti attratti dalla notorietà del posto che è al centro del parco nazionale del Gobi Gurvai saikhan. Alla fine arriviamo ad un gruppetto di sei gher, piuttosto isolato, proprio di fronte alle dune. Un'ansa del fiumiciattolo che scorre al centro della valle lo separa in parte da altri accampamenti più lontani, che si vedono all'orizzonte. Siamo arrivati a casa di Nyamkaa, il nostro autista, che poi non è altro che la gher un po' più defilata all'estremità del gruppetto. 

Accorrono padre e madre, non ci sono segni di stupore per il fatto che siamo in ritardo più o meno di un giorno intero sulla tabella di marcia, evidentemente, come ho già detto, da queste parti il tempo non conta, cosa volete che significhi oggi, ieri, domani, conta solo il fatto che sei arrivato e per prima cosa devi mangiare qualche cos. Ecco che compaiono come per magia, prima una buona dose di tè arricchito di grasso latte di non so cosa, e poi diversi piatti con pollo, uova fritte, verdure e riso, che mangiamo di gusto accoccolati sugli sgabellotti in dotazione alla gher. L'accampamento, evidentemente usato solo a scopo turistico, ha un po' il sembiante di un camping, con docce e bagni in fondo al cortile. Ci sono cammelli che pascolano vicini, ma a disposizione per chi vuole andare a farsi un giro per provare l'ebbrezza della carovana che attraversa la steppa. Noi avendo già avuto modo più volte di trafficare con dromedari, bestie ancor più spocchiose di questi che hanno un aria assai bonacciona, passiamo la mano. Intanto sta arrivando la sera ed è venuta l'ora di fare i pochi chilometri che ci separano dalla fila di dune che ormai incombe davanti a noi cime una barriera apparentemente invalicabile. Non ci resta che andare rimane ancora più di un'oretta prima che il sole tramonti. E' l'ora d'oro che tutti i fotografi aspettano ansiosi ed a cui anche noi, dilettanti dell'obiettivo non possiamo rinunciare. 




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25 - A Xining












sabato 15 novembre 2025

Seta 51 - Nella Gher


 

Accampamento di gher
La gher è la base di tutto quanto nella Mongolia ed è anche quanto serve per capire un poco di questo strano paese semidesertico, pensate che è quello meno densamente popolato del mondo, tre milioni di abitanti su 1,5 mln di km2! Figuratevi un po'. Da perdersi in questa steppa infinita e nel Gobi, il deserto gelido ed inospitale che ne occupa la parte meridionale. Un clima terrificante che parla di -30° C per il lungo inverno, quando il paese è interamente coperto di neve a cui succede una brevissima e torrida estate con piogge durante le quali il paese diventa una grande pozza di fango, per una media annuale di 0°C e una altitudine media di 1000 m. Pensate un po' a cosa riesce ad adattarsi l'uomo, sopravvivere in un territorio così ostile, dove non si può praticare altro che una povera agricoltura di sussistenza, campando solo grazie all'allevamento. Si tratta quindi di una cultura nomade, praticata ancora oggi da oltre il 30% della popolazione, alla continua ricerca di pascoli con i quali alimentare le mandrie e le greggi, fatte di razze particolarmente resistenti ed adattabili. Questa necessità costringe dunque questa gente a transumanze annuali, nelle montagne in estate quando la temperatura degli altipiani bruciano l'erba, in cerca continua di pascoli freschi ed alla discesa dalle alte valli in inverno, per proteggere gli armenti dalle temperature estreme e dalla mancanza di cibo che le decima, riducendo così anche del tutto l'unica ricchezza e fonte di sostentamento. 

L'interno

Per questo motivo l'abitazione più logica è la tenda, cioè una forma di protezione provvisoria, smontabile facilmente e spostabile nello spazio, che tuttavia non può essere un banale telo se pur pesante, ma quanto più possibile una vera e propria abitazione calda e che possa riparare dai rigori invernale. Ecco allora che nei millenni è stata perfezionata la Gher (che nel resto dell'Asia Centrale turcomanna, viene chiamata anche Yurta), la soluzione perfetta che comprende tutte queste caratteristiche. Rotonda con un diametro di circa una decina di metri, è composta da un traliccio di lunghi bastoni di legno duro che ne completano il tetto a raggiera lasciando sulla cima una piccola apertura che consenta la fuoriuscita del fumo. L'ambiente viene poi ricoperto completamente da spessi feltri, ottenuti dalla lavorazione e battitura delle lane ovine, che formano una buona coibentazione e una altrettanto ottima impermeabilizzazione. Oggi in massima parte questa copertura è stata sostituita da teloni impermeabilizzati e ulteriormente ricoperti da un rivestimento di plastica, i tempi cambiano  e la tecnologia avanza. L'interno era un tempo foderato completamente da meravigliosi e variopinti tappeti, che ricoprivano anche il pavimento. Un bel tappeto appeso fungeva anche da porta di ingresso. Oggi più tristemente, pareti e impiantito sono rivestiti da tessuto plastico, tipo linoleum, che simula le evidentemente desiderate piastrelle di chi vive in case stabili in muratura nelle città. 

Steppa

La Gher si smonta  in un giorno e si carica sul carro di famiglia. assieme a tutte le altre masserizie di proprietà ed è pronta per essere trasportata anche a mille chilometri di distanza e rimessa in piedi velocemente. Così quando percorrete la terra mongola, siano le steppe aride del nord del Gobi, sia i pascoli più ricchi risalendo verso settentrione, in ogni valletta verdeggiante sul fondo della quale scorrono i meandri tortuosi di un fiumiciattolo primaverile, vedrete, già da molto lontano una serie di puntini bianchi, che si ingrandiranno a poco a  poco, men mano che la pista vi porterà più vicino, fino a mostrarne la loro natura di grandi cilindri tozzi, dalla copertura bombata, che allineano la loro candida presenza macchiettando lo smeraldo dei pascoli come i pois che un attento designer ha sparso su una pezza di stoffa di cui non vedi al fine. Le mandrie sono lontane a brucare voracemente l'erba più tenera, a fare il pieno e a metter su lardo, che l'inverno arriverà in un attimo violento e terribile come al solito, mentre il loro proprietario cercherà di raggrupparle a bordo della sua moto strombazzante, visto che il cavallo va molto più lentamente e deve anche alimentarsi brucando a sua volta. Ah, se li vedesse Gengis Khan, gli uomini della sua orda che invece di galoppare al contrario, scagliando dardi mortali contro i nemici inseguitori, percorrono le piste degli avi su quegli sferraglianti catorci scoppiettanti di metallo bisunto e puzzolente! 

Con le signore

I tempi cambiano, inutile recriminare. La Gher, la vostra Gher, sarà così anche per voi rifugio e riparo definitivo, ostello e casa dove sostare, o perché no, vivere se per caso vorrete fermarvi qui a cercare di assimilare quale possa essere, fuor di esotismo e poesia, la vita vera e reale di un nomade, che possiamo senza tema di esagerare, definire estrema, andando un paio di volte al giorno al fiume a riempire secchi di acqua, a lavarvi all'aperto ai pochi gradi che vi concederà il pallido sole del mattino, a mangiare quello che offre il bestiame, latte sotto forma di yogurt e altri derivati e carne e grasso naturalmente per poter poi resistere al lungo inverno, come la protagonista del libro di cui vi ho parlato, che in questa terra ha vissuto per un anno intero o anche per il nostro amico Gianluca che qui è arrivato dall'Italia addirittura in bicicletta comprata da Decathlon, non è per dire, per rimanerci molti mesi per assimilarne il gusto ed il pensiero. E così è la nostra Gher, qui nella periferia di Dalanzadgad, comoda e spaziosa, oltretutto essendo ormai le proprietarie a conoscenza delle pretese dei turisti, anche dotata di lettini, in modo da non costringere gli ospiti a dormire per terra, dove forse per la verità, sarebbe anche più comodo, sdraiati come un tempo, su morbide trapunte. Per la verità in giugno si sta assolutamente benissimo, ma passare interi mesi coperti da pesanti cappottoni imbottiti e dormire semisepolti da spesse coltri, non deve essere così agevole, specialmente per me che al mattino, se non trovo l'acqua tiepida, soffro a lavarmi come un ochino spiumato! 

La parca cena

Le signore sono molto gentili e disponibili, evidentemente è nella loro abitudini anche se noi ormai apparteniamo alla specie dei clienti paganti e non più a quella dei viaggiatori di passaggio, ai quali la tradizione imponeva di dare ospitalità, come una volta, magari lasciando loro anche le mogli come conforto, come racconta Marco Polo. I tempi cambiano e le modalità del bed & breakfast irrompono anche nelle steppe mongole. Così è meglio che anche noi si vada fino in centro a cercare qualche cosa da mettere sotto i denti che non sia solo carne secca e latte fermentato di cavalla. La zona più centrale di Dalanzadgad ha l'aspetto di una cittadina abbastanza moderna con negozi e qualche rado locale ma appena calano le ombre della sera di gente in giro ne circola pochina. Il ristorante dove finiamo è abbastanza moderno ed i piatti di carne e patate forniti sono assolutamente mangiabili, insomma, dopotutto anche qui, sperduti nel nulla, non moriremo di fame. Facciamo anche due passi fuor, ma la temperatura sta scendendo e così poco dopo torniamo velocemente alla nostra Gher che ci aspetta col suo fascino esotico. Certo mi sarebbe piaciuto andare a sentire qualche cantore di musica tradizionale, ma tutti fanno orecchie da mercante ai miei desiderata e le trifonie mongole rimarranno così nella sporta degli spettacoli irrealizzati. 

Lucetta improvvisamente arricchita

La notte passa velocemente anche perché dopo tutte le ore trascorse sul pulmino, di stare sdraiati ce n'è bisogno. Ma il mattino arriva in fretta, sulle ali dell'aquila e riusciamo anche a sistemarci abbastanza rapidamente, visto che il serbatoio sopra il lavandino è ancora pieno e non fa poi così freddo. Anche la latrina in fondo al cortile non è scomoda e mi riporta a ricordi di infanzia quando, in campagna nella casa dei nonni, il casotto era in mezzo all'orto e io avevo ogni volta, il terrore di cadere nel largo buco tra le assi di legno, che nascondeva in basso la marea scura e maleodorante. A questo punto bisogna mettersi in marcia, salutiamo le signore che sono venute ad accertarsi che siamo ancora vivi e poi bisognerà andare in città a cambiare soldi in banca, perché qui, al contrario che in Cina, dove il contante è scomparso e funzionano solo le app dei telefonini per quanto riguarda i pagamenti, devi avere i dindi sonanti, anzi fruscianti, perché con l'inflazione degli ultimi anni che ha galoppato parecchio, circolano solo più bigliettoni con lunghe file di zeri. Noi dovevamo partire prestissimo, visto che siamo in forte ritardo sul programma, ma qui sembra che fare calcoli che considerino tempi e scalette, sia cosa vana e soprattutto inutile, dunque eccoci qui davanti alla banca ad aspettare che apra alle 10, ma dove, temo dovremo fare anche una certa coda. 

Coi mazzi di banconote

Nella realtà apriva alle 9, così quando riusciamo ad entrare, la coda è già maestosa. Arrivati allo sportello, ecco subito saltar fuori un'altra rognosa sorpresa; infatti visto che dovremo pagare in contanti anche la macchina per tutta la settimana, la cifra di cui bisogna rifornirsi è abbastanza corposa, ma la regola mongola prevede che non si possano cambiare più di un milione di Tugruk alla volta, che voi direte, sono mica pochi, ma nella realtà con 1 Euro, di Tugruk ve ne danno più o meno 4000, quindi il suddetto milione corrisponde a malapena a 250 Euro. Così dobbiamo cambiare un milione a testa e alla fine, per finire la estenuante pratica di cambio, tra passaporti, moduli, firme e altre scartoffie, ripetuta per sei volte, finiamo per uscire dalla banca alle 11, alla faccia del partire prestissimo. E siamo stati assai fortunati che, la gentile addetta, avesse i sei milioni in cassa, se no ci toccava aspettare un altro giorno, forse è per questo che nella fila dietro di noi, cominciavano a borbottare, anche con tutta la simpatia che possono avere per gli ospiti stranieri, ma mi sa che qualche pensionato, dovrà ritornare domani per ritirare la desiderata e credo magra pensione! Esausti, ma con una borsata di banconote cadauno (il taglio massimo è da 20.000), tali che non sappiamo più dove nascondercele. prendiamo finalmente la strada per uscire dalla città ed eccoci di nuovo nel nulla.





Pastori
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giovedì 13 novembre 2025

Seta 50 - A Dalanzadgad

Cavalli mongoli - Mongolia - giugno 2'25
 

Steppa

Gli aggettivi da utilizzare non sono moltissimi e tuttavia sempre diminutivi della sensazione che provi man mano che procedi in questa terra. Desolata, immensa, senza limiti. Viaggiamo da quasi quattro ore in questo deserto infinito, ricoperto solamente da radi fili di erbetta verde grigia, la strada segnata solo da due carreggiate che si prolungano fino all'orizzonte dove lo sguardo si perde. Neppure ondulazioni, se pur lievi, in lontananza che ti diano un senso di dimensioni, di spazialità che ti possano far considerare le distanze o che possano avere un nome, tanto per segnalare un itinerario. Procedi nel nulla, alla mite velocità che lo sterrato e le rotaie segnate nello sterrato consentono. Alla fine se volessi considerare i chilometri percorsi, anche seguendo una mappa, non ti devi fare illusioni, saresti sempre più o meno nello stesso posto. Il terreno ha le disconnessioni naturali dello sterrato, quindi procedere è un po' tutto uno sballottamento. L'autista Nyamkaa, è un ragazzo di età indefinibile, potrebbe essere tra i trenta ed i quaranta, robusto ma non grasso, come appaiono spesso i mongoli. Visto che non parla nessuna lingua a noi nota, la comunicazione langue, tuttalpiù qualche languido grugnito, mentre il pulmino procede in quella che non saprei bene definire, forse steppa è la parola giusta, visto che da quando abbiamo passato il confine mongolo non abbiamo più visto un albero e sembra che non ne vedremo molti altri nei giorni a venire. 

Un pastore

Neanche il ragazzo a cui stiamo dando un passaggio profferisce parola, cosicché il tempo passa in una sorta di torpore confuso che ammorbidisce gli scossoni e ottunde il pensiero. Comunque sia, verso mezzogiorno, la strada curva un poco verso un piccolo rilievo brullo e spelacchiato, dove anche l'erba si rifiuta di crescere e compaiono una serie di baracche. E' anche questo un altro paesotto senza nome, o quanto meno un nome ce lo avrà pure, ma non compare su cartelli o simili. Le strade polverose che separano le baracche o le casette di legno leggero e lamiera, non so come preferireste chiamarle, terminano poi nelle piana esterna, secca e brulla. Solo qualcuna continua con le rotaie scavate dal passaggio dei battistrada, perdendosi all'orizzonte. Non si vede quasi nessuno in giro. Il nostro si mette in cerca di qualcosa che abbia la parvenza di un distributore di benzina ed alla fine trova una specie di colonnina, ma dopo averci girato attorno per un po' appare chiaro che non è presidiata da nessuno e forse non è neppure funzionante, almeno così si potrebbe dedurre dalla ruggine che la completa come una decorazione d'annata e dalla polvere che ne ricopre la sommità. Poi chiede qualcosa al primo pastore che transita in cerca delle sue capre e rifacciamo un giro del paese. E' un tizio grassoccio a cavallo di una moto cinese bisognosa di manutenzione, che nonostante la temperatura non troppo calda, se ne sta nudo dalla cintola in su con la maglietta abbandonata neghittosamente su una spalla come un divo del cinema in ciabatte, che però dà le indicazioni giuste. 

Al ristorante

Questi sono i moderni pastori della steppa. dove la motocicletta ha ormai sostituito il cavallo o il cammello, anche se la benzina fai fatica a trovarla come un  tempo l'acqua nelle oasi. Questa volta però, dopo le sue indicazioni, al limite nord del paese troviamo un altro venditore finalmente fornito che provvede alla bisogna. Poi con piglio sicuro il nostro duce, ci porta al centro del paese dove in un'altra baracca si apre una porta sbilenca che immette in quello che dovrebbe essere un ristorante. Bisogna dire che dentro presenta meglio che fuori, ma l'offerta è piuttosto carente. Qualche piatto esposto in una vetrinetta da cui scegliamo un riso e poi quello che sembra l'unica cosa disponibile, una specie di stufato di carne. Come era previsto non bisogna aspettarsi molto dalla cucina mongola, ma questo in fondo è l'ultimo dei problemi, ci si abitua a tutto facilmente. Quando dopo un'oretta usciamo satolli e pronti all'ulteriore balzo nel nulla, mi accorgo di un altro fatto curioso. Le insegne, le scritte e ogni altra dicitura sono espresse in cirillico e non in alfabeto mongolo. Davvero  una cosa strana che la scrittura di questo popolo sopravviva solo più in alcune città cinesi della provincia della Inner Mongolia. Qui invece è completamente scomparsa. Testimonianza inequivocabile dell'importanza capitale che ebbe l'URSS in questo paese per molti decenni. 

Il monumento

Infatti il paese è stato sovietizzato completamente a partire dagli anni '20, fino alla caduta dell'URSS, assorbendone usi e metodologia di governo a partire dal feroce periodo dittatoriale in cui il presidente assunse lo stile staliniano, peggiorandolo se possibile e copiandolo in tutto e per tutto, in particolar modo nelle epurazioni e nella creazione di gulag. Fin dall'inizio furono distrutti la maggior parte dei monasteri buddisti tibetani e la popolazione monastica che assommava a quasi il 30% degli abitanti fu ridotta quasi a zero. Così fu proprio nel '46 che il cirillico venne adottato come scrittura ufficiale, cosa che persiste tutt'ora benché ci sia stato qualche tentativo di recupero della tradizione dopo gli anni '90, quando il paese, dopo il discioglimento dell'URSS virò verso la attuale forma di democrazia, ma senza successo. Comunque alla fine si riparte e per fortuna, dopo pochi chilometri inaspettatamente compare l'asfalto, cosa che consente una velocità decisamente diversa e prima che faccia buio, in tre orette o poco più, ci consente di raggiungere la nostra meta Dalanzadgad. Compare infatti all'orizzonte una sorta di grande arco di trionfo, tripartito e circondato da sculture significative di cammelli della Bactriana e soprattutto tre giganteschi monumenti sovietici di metallo che dovrebbero rappresentare donne in costume tradizionale leggermente inchinate per accogliere i graditi ospiti che arrivano da lontano.  

Accoglienza

Sotto l'arco passa la strada e al di là però, si prosegue ancora all'infinito o almeno a quello che sembra essere l'infinito, in realtà dopo pochi chilometri si avvista quella che è la periferia della cittadina, fatta di gher bianche sparse e poi man mano che si va verso il centro, da baracche di legno e poi finalmente da case vere e proprie. In effetti questa è una città quasi vera, con circa 25.000 abitanti. L'unico problema è che dovevamo arrivarci ieri sera, quindi tirando le somme siamo in ritardo di un giorno intero sulla tabella di marcia, non so se mi spiego. Si vedrà, a questo punto abbiamo capito che dobbiamo lasciarci andare agli eventi, succeda quello che deve succedere. In effetti questa dovrebbe essere una città mineraria in cui si estraggono almeno cinque dei minerali fondamentali per l'esportazione del paese: oro, rame, ferro, antimonio e mi sembra tungsteno e per questo la popolazione è quasi raddoppiata in un decennio. In fondo il suo aspetto è proprio quello che si vede in molti film dell'outback australiano o delle zone minerarie del Nordamerica. Come in tutte le città mongole comunque, la popolazione che ha cominciato ad inurbarsi, non ha però avuto la possibilità di insediarsi in aree che abbiano avuto uno sviluppo edilizio adeguato e salvo alcuni quartieri sorti ancora in epoca sovietica, con file di caseggiati bassi e decisamente fatiscenti, il resto si è dovuta adattare nelle loro tradizionali yurte, l'abitazione tipica degli altipiani dell'Asia centrale che qui chiamano gher

Le nostre gher

Quindi tutte le periferia a partire da quelle immense di Ulan Baator, sono costituite da una serie di spazi recintati alla meglio da staccionate di legno o di cannicciato, all'interno dei quali ci sono le gher necessarie alla famiglia, al massimo una o due in quanto, come ho già detto, le famiglie preferiscono dormire tutti assieme, ospiti compresi. Solo recentemente, con lo sviluppo turistico, se pur minimo avvenuto negli ultimi anni, qualcuno ha cominciato ad aumentare il numero delle gher nel cortile per metterle a disposizioni di questi strani e pretenziosi stranieri, che vogliono stare per conto loro, d'altra parte fin che pagano va pur bene adattarsi alle loro manie, fino ad un certo punto naturalmente, che qui siamo nella terra di Gengis Khan, che vorrà pur dire qualcosa. Intanto noi andiamo a cercare la nostra sistemazione notturna, che troviamo dopo aver girato un po' tra stradine fangose, visto da un po' viene giù una fastidiosa pioggerellina che rende tutto umido e gelido. E' esattamente come ve l'ho descritta prima. Al centro c'è la gher della famiglia ed altre tre intorno. mentre la latrina è in un angolo del cortile; su un fianco all'aperto vicino alla staccionata, un lavandino sul quale è appeso un piccolo serbatoio di plastica che bisogna riempire ogni volta dai boccioni che stanno a terra, dopo l'utilizzo. Le due signore che ci aspettavano da ieri, cosa di cui non sembrano essere assolutamente stupite né preoccupate, ci accolgono festose e ci portano subito nella gher della famiglia a riscaldarci con tè e biscottini, così si usa da queste parti, mentre Gianluca e Lucetta vanno fino ai bagni pubblici in centro a farsi una doccia. Ho già capito che sarà una settimana un po' particolare, almeno dal punto di vista igienico.   

L'arco di trionfo



Aquila
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