Erg Ouadane - Chinguetti - Mauritania - febbraio 2025 |
La corsa riprende tra le dune, ora semplici monticelli alti al massimo un paio di metri, ora invece vere e proprie colline che salgono per decine; chissà se i cammelli preferiscono aggirarle con calma o la prendono dritta per fare la strada più corta. Noi procediamo piuttosto spediti evitando i punti più insidiosi. Ahmed ci racconta dell'economia mauritana, che ultimamente non sembra andare così male; in fondo il paese non è poi così povero, dice, l'industria estrattiva esporta parecchio, sembra che il benessere generale stia crescendo, anche per questo probabilmente non si registrano turbolenze politiche ed in fondo gli abitanti sono pochi (non fosse per l'immigrazione incontrollata, eheheeh), comunque sia lo stato sociale è abbastanza funzionante, scuola e sanità gratuite, ti devi solo pagare i medicinali, e in pensione ci si va a 60 anni o 35 di anzianità. Insomma se uno ha il suo giro, senza troppe pretese, sembra che si possa campare. Chiacchierando il tempo passa e quando il sole comincia a calare arriviamo all'oasi di Chinguetti, una delle più famose città carovaniere di questa parte di Africa. Siamo nel bel mezzo dell'erg Ouarane, il deserto di dune più esteso del paese e la città, fondata addirittura nel 777 è stato uno dei centri fondamentali del paese, per la sua posizione che per secoli, fino al periodo d'oro del XIII secolo, l'hanno resa, ricco centro culturale che attirava assieme ai commerci anche i sapienti che qui fondarono un vero e proprio centro che potremmo definire universitario, popolato da studenti di tutto il Nordafrica.
Vi si insegnava retorica, filosofia, scienze, matematica, diritto, geografia, astronomia, letteratura e naturalmente religione, tanto che questa viene annoverata come la settima città sacra dell'Islam e per questa ragione soprattutto si portavano da ogni parte libri manoscritti su carta, pergamene e pelli di animali, che sono rimasti conservati nel tempo in 16 cosiddette biblioteche private, ognuna di proprietà di una famiglia di sapienti che ancora oggi tentano di conservarli al meglio. Ma la città data la sua posizione precaria, continuamente assediata dalle sabbie è sempre stata sull'orlo della sparizione, altra testimonianza della lotta infinita tra la natura e la volontà dell'uomo di resistere ad essa. Quella nuova, è stata costruita agli inizi del 900, per sostituire quella che ora si chiama la città vecchia, che stava per essere completamente sepolta, come già lo era sta la prima fondata prima del 1000. La città vecchia è costituita da un dedalo di viuzze che sorgevano attorno allo Ksar, una sorta di castello a difesa delle case e della sua moschea del 1500, ancora oggi simbolo col suo minareto a torre quadrata della Mauritania. Insomma vi ho detto abbastanza per farvi capire che questa città ha il particolare fascino di un luogo fiabesco e ricco di tesori che stanno per essere inghiottiti dal deserto. Noi intanto cominciamo a scaricare il bagaglio in un alberghetto nella città nuova dove ci ristoriamo alla meglio col solito stufato di cammello e riso pilaf, che ormai sembra essere il menù costante che viene servito di default dappertutto, in attesa che il sole cominci a scendere e anche per riposare la schiena dopo le ore di pista percorsa, che la sabbia sarà pure morbidissima, ma l'asfalto è generalmente meglio.
Verso le quattro la temperatura esterna è diventata decisamente potabile e andiamo alla città vecchia, dove ormai abitano solamente più qualche centinaio di persone. Penetriamo i vicoli che arrivano all'estremo delle case, molte delle quali decisamente in rovina, coi muri di pietra a secco sbrecciati, le cui sommità, una volta che sono ceduti i soffitti, le travi di palma se non sostituite sono facile preda delle termiti, cominciano a disfarsi a poco a poco, mentre quelle che sono ricoperte da una specie di intonaco di malta più recente, sono riuscite a meglio resistere alle ingiurie del tempo e probabilmente sono le sole ancora abitate. Ma se queste sopravvivono al crollo, nulla possono all'attacco della sabbia che si insinua nelle vie spinta dal vento e si accumula contro i muri come se volessero avvolgerle nel loro abbraccio mortale. Tutte le stradine contorte sono massimamente ricoperte quindi di sabbia più o meno spessa dove il piede affonda e camminare è faticoso. Le porta delle case ancora vive, sono di legno antico con le tradizionali serrature a scorrimento, altre più recenti, di metallo ornato da riccioli di ferro battuto. Una città morta e apparentemente disabitata che si lascia percorrere come fosse l'ambientazione in un videogioco di avventura, in cerca di qualche tesoro nascosto o di un'uscita da un labirinto. Passiamo vicino al minareto dell'antica moschea, ancora in funzione per la verità, in cima alla merlatura infatti compaiono i piccoli altoparlanti di alluminio sui cui brillano i raggi del sole, in attesa della chiamata serale.
Proseguiamo percorrendo una serie di angoli morti che conducono a una porticina che fa breccia in un muro di pietra alto e robusto ed introduce in un cortiletto minuscolo con alcuni gradini su un lato che danno accesso a loro volta ad ambienti interni alla costruzione, piuttosto piccoli e bui. Sull'ingresso ci attende un anziano dallo sguardo grave che ci fa segno di entrare. Questa è una delle sedici "biblioteche" rimaste, delle almeno ventiquattro originarie, così almeno si dice, che conservano la ricchezza di Chinghetti e che per questo è stata insignita della qualifica di Patrimonio Unesco. All'interno di un piccolo ambiente buio, con un tavolo al centro, il vecchio, dopo aver calzato dei guanti di cotone spesso, per preservare i suoi tesori, estrae da scansie di mattoni scavate nei muri, una serie di antichi volumi manoscritti, avvolti in stoffe per preservarli evidentemente dalla polvere e dalla sabbia accumulata sul pavimento e tutto intorno e li depone ad uno ad uno sul tavolino. Poi con gesti lenti ed attenti, li apre, smuovendo le grandi copertine di pelli di antilope conciata e istoriata con complessi arabeschi, e ci mostra le pagine interne, molte delle quali completamente miniate, altre con il solo capoverso dipinto in complicate volute tipiche delle scritture arabe, che fanno della ornamentazione calligrafica una vera e propria arte visto che viene loro negata la possibilità di esprimersi attraverso le raffigurazioni di esseri viventi; altre ancora solamente vergate a mano con una scrittura ordinata ma minuscola e fittissima che riempie per intero le pagine ma lasciando ampi margini, a loro volta fittamente riempite dai lettori, magari di secoli successivi, di annotazioni e di commenti.
Una curiosità; come ci spiega il custode, visto che le pagine per tradizione non sono numerate ed i libri non hanno rilegatura ma i fogli sono disposti solamente a contatto uno sull'altro, in fondo a ogni pagina è annotata la parola con cui comincia la pagina successiva, in modo da non perdere il filo. Cosi ecco che passano sotto i nostri occhi meravigliati, un libro di geometria con la dimostrazione di un teorema sui triangoli, uno di astronomia con le orbite dei pianeti e poi testi religiosi e miniature mirabili risalenti fino a mille anni fa. Per la verità la sua famiglia è specializzata in libri di lingua araba e grammatica, oltre a quelli di natura religiosa. La stato dei volumi in alcuni casi è terribile, i margini rosi e addirittura che mostrano buchi completi che attraversano tutto il volume, provocati dalla voracità delle termiti che non risparmiano nulla se riescono ad arrivarci e qui tutti i libri sono semplicemente appoggiati alle scansie di mattoni, completamente scoperti, appena protetti da un involucro di cartone o di stoffa se va bene. Il proprietario spiega che appartengono alla sua famiglia da sempre e che il suo scopo nella vita è quello di conservarli per le generazioni future, perché qualcuno un giorno possa studiarli. La scoperta di questi tesori e la rivelazione della loro esistenza millenaria è merito dell'antropologo italiano Attilio Gaudi che nel 1949 studiò e rese noto il ritrovamento di questo vero e proprio tesoro sepolto nel deserto, ma manca ancora una vera e propria catalogazione per capire cosa le migliaia di volumi possano nascondere.
Qualcuno azzarda addirittura che potrebbero esserci anche traduzioni medioevali di classici latini e greci, perduti durante i nostri secoli bui. Naturalmente bisognerebbe fare una ricerca completa su tutto questo materiale, per poter magari fare scoperte insperate. Il nostro amico ci dice che la sua famiglia conserva più di 500 volumi, che però nessuno viene più a studiare da quando lui, che si ritiene solamente un custode del sapere, ha memoria. Alla fine chiude con cura e attenzione i suoi preziosi incunaboli, ne lega le copertine, li rimette nei raccoglitori, quelli che li hanno e li ripone nei buchi da cui li aveva tratti e ci saluta silenzioso con un cenno del capo, invitandoci a salire sul tetto della casa, da cui si vedono le rovine della città circondata dalle dune. Non si sentono rumori attorno, il nulla ci circonda, in un mondo che di certo un tempo era popolato di studenti che arrivavano dal Mali, dal Marocco, dal Sudan per studiare, per toccare quei fogli preziosi, che ogni carovana aveva il dovere al suo passaggio da qui di portarne con sé uno e se non avesse potuto comprarlo, dove lo aveva visto, doveva averlo ricopiato o studiarlo a memoria per poi riprodurlo non appena arrivato per poter arricchire questo centro nel sapere, di certo non dissimile dai nostri centri di amanuensi medioevali che seguivano in fondo gli stessi criteri di conservazione. Fuori della porta la frase di un famoso scrittore maliano Amadou Ba: La conoscenza è una ricchezza che non impoverisce chi la dona.
Vi assicuro che questa è una visita di forte impatto che si ripeterà domani in un'altra di queste biblioteche, sembra ancora più ricca. Poche case più in là, un piccolo muso folk, ricco di una miriadi di oggetti tradizionalmente usati nel secolo scorso, da quelli da cucina, a quelli agricoli, contenitori, giochi, otri di pelle, selle, monili e vestiti, insomma tutto l'armamentario tipico che racconta la vita di queste tribù del deserto durante il secolo scorso. Il punto in comune tuttavia è sempre lo stesso, ogni cosa è coperta da uno spesso strato di polvere e sabbia finissima, ma questo non credo dipenda dalla incuria di chi è addetto alla conservazione, ma qui, questa patina polverosa, la senti su ogni superficie e ti impasta la bocca in continuazione, facendoti sentire il bisogno velleitario di bere, di pulirti, di spazzolare via quanto invece continua a depositarsi velocemente su ogni cosa. Esco dalla città vecchia molto colpito e attraverso quello che ormai è solamente un fiume di sabbia, il vecchio uadi, che non vede acqua da generazioni e le cui dune hanno ormai completamente sepolto le ultime case del paese e risalgo adagio e faticosamente la salita verso la città nuova costruita più in alto ormai per la terza volta, nella speranza vana che le onde di sabbia non la raggiungano.
Qui le case, cubiche e ben più semplici di quelle di un tempo che avevano comunque una loro dignità architettonica benché semplice, E cammino per le strade larghe, i piccoli negozi pieni di povere merci cinesi, con stuoli di bimbi che razzolano intorno in cerca di attenzione, Un gruppetto si aggrappa subito a Tiziana, il biondo fa premio sempre da queste parti. Qualche donna al passaggio, li rimprovera con dolcezza affinché non disturbino troppo gli stranieri, ma quelli corrono intorno ridendo felici per la novità del pomeriggio Sulla piazza c'è un venditore di sciarpe, lasciamo il nostro obolo tanto per fargli guadagnare la giornata e poi andiamo a completare la visita sulla grande duna che sta alle spalle della città, il luogo classico dove i pochi visitatori si concentrano per vedere il tramonto. Che poi non è mai un gran ché, diciamo le cose come stanno, perché i tramonti li fanno soprattutto le nuvole e qui le ultime le hanno viste qualche anno fa, ma anche solamente per guardare il mare infinito che ti circonda, vale la pena di salire fin quassù. Scambiamo qualche parole con un Indonesiano che si è appena fatto 18 ore sul famoso treno più lungo del mondo e che dovremo vedere tra un paio di giorni e poi rimaniamo a contemplare il panorama che ci circonda tutto intorno, mentre ogni sfumatura di colore dal giallo al viola scuro, scorre attraverso il caleidoscopio che ci sta davanti, nel giro di una mezz'ora. Poi bisogna scendere.
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