domenica 11 maggio 2025

M08 - Verso Atar, tra griot e folosofi

Mercato di Atar - Mauritania - febbraio 2025 - foto T. Sofi
 

Eh già, il nostro Ahmed è davvero un bel personaggio, credo che rappresenti in pieno lo spirito dell'uomo mauritano e le sue tradizioni. Appartiene evidentemente al gruppo etnico haratin, che rappresenta la maggioranza nel paese e che benché proveniente da sud, ha assorbito completamente la cultura dell'impero precedente e coeva all'occupazione araba e che, come vi ho detto, aveva importanti punti di riferimento culturali nel paese centro di attrazione per sapienti e studiosi provenienti da ogni parte dell'Africa del nord e che ha contribuito in maniera decisiva al mantenimento dei saperi filosofici e scientifici, mentre l'Europa sprofondava nel buio culturale dell'Alto Medioevo. Così credo che questo atteggiamento sia rimasto profondamente nella mentalità della popolazione ancora oggi. Di certo l'abitudine a trascorrere lunghe serate attorno al fuoco degli accampamenti nel deserto avrà contribuito ad alimentare l'abitudine alla chiacchiera, alle discussioni filosofiche e alle arti della parola, raccontata e perché no, cantata. Proprio qui, nel sahel, nasce la figura del Griot, un bardo diremmo noi nel medioevo, poeta, cantore e custode delle tradizioni orali di un popolo che come i nostri cantastorie, portava in giro nelle feste di paese, i racconti dei paladini o dei veri e propri fatti storici, percorrendo questa parte di Africa e rivestendo un importante posizione sociale fino a formare una vera e propria casta, che si tramanda la funzione da padre in figlio. Il nome forse preso da portoghese, viene oggi spiegato e tradotto dalla lingua bambara come "colui che ha il dono della parola". 

Un tempo il griot aveva anche una importante funzione di ambasciatore, mediatore e consigliere del re, mentre oggi la sua figura è limitata all'aspetto artistico e culturale; alcuni di loro infatti sono importanti figure dello spettacolo. Il griot è onorato dovunque si presenti e rimane figura indispensabile nelle feste e nelle riunioni familiari, dove una parte importante gli viene riservata perché esegua le sue musiche o canti e reciti poemi antichi e moderni di sua stessa creazione, accompagnato dagli strumenti tradizionali, la Kora, il Xelem o il tamburo Djembé. Sono presenti in tutta l'Africa Occidentale subsahariana, sia tra le popolazioni Wolof, che tra i Bambara, i Mandinghi e i Fulani, onorati e al tempo stesso temuti, perché ritenuti in possesso di conoscenze e poteri magici. Alcuni particolarmente famosi, alla loro morte venivano seppelliti nel cavo di giganteschi baobab, luogo che poi veniva considerato sacro e oggetto di venerazione. Questo per dire che in queste terre persiste una ricchissima tradizione letteraria orale, a cui la gente è particolarmente legata e in ogni festa di paese o organizzata dalle famiglie in occasione di matrimoni o nascite e perché no, funerali, una parte importante è proprio costituita dallo spettacolo di musica e canti che raccontano di antichi miti e di storie fantastiche o di poesie d'amore o a tema religioso. Insomma voi pensate di incontrare rozzi pastori che bevono tè alla menta tra le capre e poi scoprite gente che discetta di filosofia o canta antichi poemi. L'anziano che racconta le storie, ecco una delle costanti africane. 

Perché è sempre forte la credibilità ed il rispetto per i vecchi che detengono il sapere reale e il ricordo della storia. La figura del griot così, è ancora oggi fondamentale nella vita africana. Il cantastorie che gira per i villaggi a raccontare le vicende del passato o della fantasia, le mitiche avventure dei grandi imperi africani, da Sundiata Keita a Kankan Musa, il re che donò tanto oro durante il suo viaggio attraverso il deserto per arrivare alla Mecca, da farne crollare il prezzo per una generazione. La storia ed il mito ad un tempo, la cultura orale e la sua importanza in un mondo in cui pochissimi sapevano e sanno ancora tutt’oggi scrivere. Così anche il nostro Ahmed non si fa pregare, basta stimolarlo un po' ed ecco che recita poesie d'amore mentre Brahim gli dà grandi pacche sulle spalle sorridendo compiaciuto. Curioso incontrare persone così, non me lo aspettavo certamente. Forse è proprio il deserto con la sua solitudine assoluta che cancella il tempo a favore del concetto di spazio a favorire il pensiero, la speculazione filosofica e la creazione artistica, d'altra parte nelle lunghe traversate o nelle interminabili ore al riparo delle tende, mica puoi stare lì in silenzio a guardare nel vuoto, di qualche cosa vorrai pure parlare, al posto delle nostre chiacchiere da bar su donne, calcio e motori. E intanto che si ragiona di filosofia e di musica, la strada sale sull'altipiano di roccia basaltica scura fatta di lastroni larghi che pavimentano un territorio di rude severità fino all'oasi di Atar, un avamposto nel deserto di meno di 20.000 abitanti, oggi comunque centro importante di passaggio verso il Nordafrica. 

Mercato

La cittadina ha caratteristiche del tutto simili alle tante altre del paese che sono situate nei pochi punti dove la presenza di una certa quantità di acqua consente ad un insediamento umano di sopravvivere ed è formata dal solito susseguirsi di case squadrate di un solo piano, sparse in orizzontale che fanno apparire la città molto più grande di quello che non sia in realtà. Ci fermiamo per un rapido boccone in una specie di capeggio con qualche soluzione notturna alternativa, per mangiare un boccone. La signora proprietaria della struttura ci accoglie con piglio manageriale. Capisci subito che le donne in questa parte di Africa, non hanno un ruolo marginale nella società, ma anche negli affari hanno una certa qual voce in capitolo, cosa che mi conferma convintamente anche il nostra Ahmed. Comunque mangiamo un buon piatto di stufato di montone con riso e una specie di ratatouille di melanzane assolutamente deliziosa. Con il tè ci sono poi anche delle ottime madeleines, visto che evidentemente il lascito culturale della Francia è stato imponente anche nella cucina. Poi raggiungiamo il centro del paese. Tanto per cominciare andiamo a dare un'occhiata al piccolo mercato nel centro dell'abitato, dove la città appare più popolata. Si tratta in effetti di un mercato poverissimo, con una  serie di manufatti, credo in maggioranza di provenienza cinese e poi una serie di negozietti tuttofare e altri banchi che coprono le esigenze alimentari, frutta e verdura e cibarie varie, dai biscotti a tutto lo scatolame di importazione possibile, assieme ai casalinghi ed al vario plasticame multiuso e diffuso in ogni parte del terzo mondo. 

Zucchero e mosche

In ogni caso il senso di una grande povertà è immediatamente avvertibile dappertutto. I pochi macellai situati in una zona laterale del mercato, espongono su banchi di legno, pezzi di carne quasi nera e talmente ricoperti di mosche da essere quasi irriconoscibili, Nell'insegna capisci dal disegnino se si tratta di carne di montone o di cammello, le due più frequenti di cui avremo occasione di utilizzare. Mi sembra di essere ancora di fronte a certi banchi visti nello Yemen di 50 anni fa o ai mercati di Lichinga nella foresta dell'estremo nord del Mozambico. La gente non è estremamente cordiale e guarda i pochissimi turisti che pur si aggirano nell'area con una certa sufficienza. C'è comunque anche qualche banco dedicato alle loro brame, con qualche oggettino di artigianato, sempre molto povero. Nella parte dedicata diciamo così all'abbigliamento, quantomeno trovi una bella varietà di cheche bianchi e anche con bei colori vivaci, a partire dal classico blu indigo, che fa tanto uomo del deserto, Ovviamente non resisto alla tentazione e ne acquisto subito uno che mi calza a pennello, oltretutto è indumento indispensabile, se intendi percorrere le piste di questo paese. La contrattazione non è molto vivace come in altri luoghi, anzi qui sembra che devi essere piuttosto cauto se non vuoi irritare troppo il venditore e per riuscire a far scendere un poco il prezzo devo fare ricorso a tutte le mie doti di mercante scafato. 

Il macellaio

In ogni caso non riesco a scendere sotto i 250 MRU (la moneta si chiama Ouguiya, la cui traduzione dall'arabo sarebbe "oncia") dai 350 o 400 da cui si era partiti. L'acquisto di due collanine a 600 MRU (circa 13 euro) invece è stata conclusa anche con una sorta di sberleffo da parte del venditore a cui avevo applicato il tentativo di andare, via simulando disinteresse, per poi ripassare con aria casuale. Al mio ritorno per concludere la transazione, ha concluso infatti che se ero ripassato indietro vuol dire che non avevo trovato di meglio a minor prezzo ed è rimasto irremovibile sull'ultima proposta. Comunque gli acquisti vanno in qualche modo a buon fine e noi proseguiamo per le viuzze fangose e sudice del mercato, tra carriole di baguettes appena sfornate e carrettini di agrumi a banane mezze marce. Certamente le foto vanno fatte con una certa discrezione, per lo meno quella che consente il teleobiettivo, ma per la verità pochi e poche sono quelle che si rifiutano, in genarle si sente una certa libertà anche per quanto riguarda l'esposizione femminile. Il giro al mercato alla fine si riduce ad una oretta e non di più, poi riprendiamo l'auto e usciamo dalla città raggiungendo il bordo dell'altipiano fino ad una valletta secondaria con un po' di verde, è la frangia esterna dell'oasi. 

Gli scavi

Qui dietro ad una serie di recinzioni piuttosto malandate che non riuscirebbero a proteggere un bel nulla, si intravedono le tracce di una antica città, mura sbrecciate, camminamenti, passaggi su residui di abitato, un rimasuglio dell'impero che qui era presente nel XII secolo. Gli scavi pare siano ripresi da poco ed un paio di entusiasti ragazzi francesi che devono aver ricevuto un misero finanziamento dalla madrepatria, sono lì a scavare qualcosa, almeno così sembrerebbero intenzionati a fare. Ci fanno girare tra i vari terrapieni e le tracce di mura che limitavano la città, fino alle tracce dell'ultimo strato visibile che risale al XVIII secolo. Sembra che qui siano stati ritrovati parecchi oggetti interessanti, nell'ultima campagna di scavi e che sicuramente il sito meriti un ulteriore approfondimento e comunque ulteriori studi sarebbero utili per fare luce su queste civiltà del deserto, delle quali in effetti si sono quasi perse completamente le tracce. Comunque anche loro domani se ne vanno via e tornano in Francia, non è chiaro se per reperire altri fondi o per una pausa nelle ricerche, che al momento però non mi sono sembrate molto avanzate. Comunque sia, il sito ha una sua attrattiva, così alla sera, con la luna bassa che sale dietro i contrafforti di roccia nerastra e con le rovine nascoste tra le palme che pare facciano i migliori datteri del paese, tanto per dirne una. C'è poco da fare, il deserto in generale ed il concetto dell'oasi in particolare hanno sempre un fascino assolutamente irresistibile.

Datteri

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