Ouadane - Mauritania - febbraio 2025 |
Basta rimanere an un centinaio di metri dalla collina, percorrendo il sentiero che traversa il wadi secco e questa ti appare come un ammasso roccioso di pietre ammucchiate a caso, come dopo una frana rovinosa o un terremoto che ha fatto rotolare a valle i residui di una montagna rosa dal caldo e dal vento del deserto. Invece man mano che ti avvicini, quei montarozzi di pietre perdono la loro casualità senza nome per trasformarsi sotto il tuo sguardo inevitabilmente più attento, in disegni più precisi e riconoscibili. Eccolo qui, un muro che si erge per quasi quattro metri incurvato solo un poco verso l'alto, mentre più in là, dove lo sguardo riesce a penetrare tra i varchi, ecco frammenti di case, spigolosità e stipiti in rovina, ma ancora ber ritti dove certo un tempo erano appoggiati soffitti e trabeazioni e nelle mura che appaiono sempre più nette e forti, le sinuosità che raccontano di anfratti progettati con cura per la difesa e infine, ben nascosta la sporgenza che mimetizza la porta principale della città. Piccola e occultata, come era di solito in tutte queste città di pietra, proprio per rimanere sconosciuta e quindi meglio difendibile alle milizie che stavano di guardia, che i predoni del deserto, evidentemente sono sempre pronti a razziare e le orde dei conquistatori appaiono sempre ingolositi dalla brama dell'oro, quando la ricchezza di un insediamento si sparge ai quattro venti e viene conosciuta tra le sabbie.
Mohammed sta proprio davanti all'ingresso ad aspettarci per condurci attraverso un dedalo di passaggi, stretti e contorti che risalgono la collina. Non mi sembra che abbia molti clienti a cui badare anche oggi, anzi forse siamo davvero gli unici, e prende la salita con la calma che merita anche in questa stagione, nella quale il tempo è clemente ed alle quattro di pomeriggio il sole non troppo feroce, comincia ad avvicinarsi alla linea dell'orizzonte. Varcare la porta di Tegnit, segnata da una specie di torre quadrangolare dagli spigoli perfetti, rastremati verso l'altro, è come entrare in un mondo perduto, nascosto e semisepolto dalle sabbie che da secoli cercano di riappropriarsi di quanto ritengono solamente loro e solo per poco ceduto ad un ambizioso invasore. Ma qui, appena passata la barriera che ti introduce a questo mondo perduto e adesso ritrovato, ecco comparire nette nella loro perfezione costruttiva, tutte le caratteristiche di un agglomerato urbano in cui riconosci con precisione quartieri, vie, case e ogni altro manufatto che designa gli spazi di una città. La pietra è materiale di costruzione assolutamente non deperibile, in particolare in un luogo dove non piove mai e quindi ove non ci sia mai la forza spaventosa e inarrestabile dell'acqua che possa spostare qualcosa o farla rovinare a terra.
Così ecco che l'impianto cittadino perfettamente conservato rimane qui da secoli a popolare di fantasmi la collina. Mancano solamente le coperture che, essendo state progettate in legno di palma, l'unico disponibile nelle oasi, è stato via via divorato dall'opera implacabile ed inarrestabile di un esercito di termini, l'unica popolazione che prospera in queste lande desolate. A poco a poco i tronchi poderosi che fungevano da architravi si sono sbriciolati sotto le loro insaziabili mandibole, che le hanno trasformate in impalpabile farina, dispersa nel vento fino a scomparire del tutto. In pochi, rari casi, intravedi ancora qualche moncone incastrato tra le pietre che sostenevano una volta, flebile traccia fantasma di un'arte costruttiva mirabile e raffinata. Vicino all'ingresso, dove il terreno è ancora pianeggiante si allargano i muri dell'antica moschea, nata assieme alla città novecento anni fa. E' rimasta straordinariamente intatta, come puoi constatare appena varcata la porta di ingresso con le sue file ordinate di pilastri quadrati che si elevano a distanze regolari nello spazio che doveva essere una grande sala centrale di preghiera, perfettamente collegati tra di loro da eleganti archi di pietra a sesto acuto, che sostiene ancora oggi il peso del materiale impiegato.
I piedi affondano nella sabbia che continua la sua opera lenta ma implacabile, penetrando da ogni anfratto nel suo inarrestabile desiderio di ricoprire tutto col suo mantello morbido cancellando le tracce del passaggio umano e riportarlo alla universalità del tempo. Ma qui fatica a farlo. L'uomo, testardamente, con pervicacia inspiegabile, continua a opporsi a voler mantenere questo ricordo della sua presenza, della sua capacità resiliente di opporsi alla natura, che sarà pure insensibile e neutra come diceva il poeta, ma lui, nella sua debolezza vuole continuare ad opporsi, ad affermare la sua capacità di affermazione anche di fronte a forze apparentemente sovraumane. Così questa città morta per secoli, riscoperta da una ventina di anni e classificata dall'Unesco come patrimonio dell'Umanità, ha avuto un intervento di restauro che la rende riconoscibile e fruibile da quanti si assumano il carico di arrivare fin qui per riscoprirla. Risaliamo per quella che era la contorta via principale, quella dei 40 sapienti, dove erano le case dei maggiorenti della città, che ospitavano gli studenti che fin qui venivano a studiare attirati dai savi che vi abitavano e dalla quantità di libri manoscritti che venivano conservati da 23 famiglie in quelle che erano vere e proprie biblioteche, formando quella che fu considerata la prima università del deserto.
Qui fu rinvenuto il più antico manoscritto della Mauritania. La città che visse uno splendore di cinque secoli, era ricca e fiorente. A soli 400 chilometri, una piccola distanza per questo deserto, c'era infatti una grande miniera di sale e le carovane che lo spostavano verso Timbouctou, facevano qui la loro sosta principale, facendo fiorire un grande mercato dove appunto veniva scambiato con oro, datteri, orzo e altre derrate fondamentali per la vita tra le sabbie. Questa ricchezza indotta ne fece quindi anche un centro culturale vivo e ricco di menti speculative. che esportò anche nei centri vicini, questo metodo della conservazione del sapere attraverso la trascrizione dei libri. Proseguendo nella via principale incontri le case dei tre fondatori, decisamente più grandi delle altre con portali maestosi. Molti usci che immettono nei cortili interni sono chiusi da belle serrature antiche fatte da ingegnosi incastri di legno. Entriamo in quella che è detta la casa del Marabutto, importante personaggio, la cui famiglia quindi disponeva di un vero e proprio palazzo in cui si può ancora vedere la sua antica tomba, testimonianza dell'importanza del personaggio. Scendiamo lungo vicoli laterali fino al pozzo principale della città, sito coerentemente nella parte più bassa, circondato da alte mura e dalle postazioni delle sentinelle. Proprio in fondo ecco il foro che si lancia nelle profondità della terra per una trentina di metri.
In fondo pare che sotto tutto il Sahara ci sia ancora un oceano di acqua. Anche qui, qualcuno vive ancora, aspettando che arrivino i rari turisti, ma senza troppo affanno. Poi si prosegue sopra camminamenti protetti delle mura che in alcuni punti arrivano anche a cinque metri di altezza. Tutto è costruito a secco sovrapponendo pietra squadrata a pietra, senza uso di malta o fango e tutto si regge perfettamente in piedi dopo quasi mille anni. Di qui domini quanto rimane dell'oasi, pochi alberi rinsecchiti attorno alla traccia dello wadi che bordeggia la parte inferiore della città e poi al di là, lo spazio che comincia a popolarsi di dune che si perdono all'orizzonte e che il sole calante comincia a dipingere mutandole dal giallo chiaro che erano, in un color ocra sempre più scuro, che presto diventerà un viola intenso. Al culmine della strada antica, arriviamo alla moschea nuova, non molto più grande di quella vecchia ed oggi funzionante. Sono quasi le cinque ed all'interno è l'ora della preghiera, dall'alto del suo minareto a torre quadrata dai piccoli merli, si era già levata la voce del muezzin, ma si tratta solamente di un disco registrato, i tempi dell'omino che saliva i ripidi gradini per cantiere le lodi al Signore sono ormai passati da tempo e anche all'interno non mi pare ci sia molta gente.
Già, perché a metà dell'800, qui sulla sommità della collina, la città è risorta e ricostruita con le strade sempre più larghe come richiesto dalle necessità dei tempi nuovi che stavano arrivando. La consueta serie di parallelepipedi senza personalità di tutte le città nuove, popolata da poche migliaia di persone. Una cittadina che comunque grazie alla presenza del vicino monumento ha una sua vita propria ed è sede di manifestazioni culturali e festival, dove arrivano artisti e performer da ogni parte dell'Africa. Dopo aver lasciato la nostra guida, facciamo un giro anche nelle larghe vie spopolate della città nuova. Qualche raro negozio tuttofare nelle vie che convergono verso la piazza centrale, un locale un po' malandato e un pò di vecchi seduti a terra lungo i muri delle case. La sabbia accumulata lungo i muri e contro i quali viene spinta sempre più insistentemente dalle rare macchine di passaggio. In mezzo alla strada un gruppetto di persone sono sedute in cerchio. Tutti guardano chini verso il centro, la scacchiera disegnata sula sabbia, dove i due contendenti piantano lunghi stecchi di legno per segnare le posizioni, nell'antico gioco, che qui pare sia molto popolare. Arriva un'auto, ma nessuno fa cenno di spostarsi, è l'auto che deve fare un largo giro per evitarli, rischiando di piantarsi nella sabbia.
Tutti, giocatori e spettatori sono concentratissimi nello svolgimento del gioco e non si sente volare una mosca. Nessuno fa caso neppure a me che mi sporgo per cercare di vedere le tracce disegnate sulla sabbia e coperte dalle teste degli astanti e nessuno fa neppure caso agli scatti delle mie foto. Dopo un po' arrivano tre camion preparati e armati per le traversate sahariane, sono tedeschi e olandesi evidentemente usi a questi raid, che parcheggiano in mezzo al paese, che appare come improvvisamente definitivamente conquistato, almeno per un poco dagli invasori teutonici. che scendono in massa, si aggirano un po' per la piazza, nell'indifferenza generale, poi risalgono sui panzer e riprendono la strada che esce dalla città. La conquista è durata poco, il paese, indifferente, è di nuovo libero e la partita prosegue come se nulla fosse accaduto. Scendiamo verso l'oasi ed il wadi per rientrare all'albergo. Al margine del palmeto incontriamo tre bellissime ragazze, molto giovani, direi sui 15/16 anni. Fanno le ritrose e si nascondono un poco dietro i veli colorati, poi la curiosità vince e si fermano per chiacchierare. Dapprima sembrano evitare le foto, poi dopo che gliele mostro attraverso gli schermi della Nikon, sono loro a 'pretenderle e a mettersi in posa, ridendo come matte. Al mio riorno, nonostante tutto quello che deve ancora succedere, le ho mandate ad Ahmed, che gliele ha girate, in quanto pare glie le abbiano hanno richieste insistentemente.
Andiamo ancora a gustarci il tramonto sulla collina dietro l'albergo, tra le tracce non concluse di quello che doveva evidentemente diventare un albergo più lussuoso, ma abortito credo, per la comprensione che il numero di clienti prevedibili, non ce l'avrebbe fatta a tenerlo in piedi. Il sole finalmente scende dietro le dune che hanno questa volta assunto la loro veste da notte, mentre si accende la stellata nel cielo, uno degli altri spettacoli imprescindibili e decisamente ineguagliabili del deserto. Sulla duna più lontana le sagome dei tre camion dei crucchi, hanno finalmente trovato la loro pace. Ceniamo nella grande tenda comune nel cortile, tra una torma di francesi. La solita vellutata di carote peraltro buonissima e cammello stufato con una specie di crepe grigia e bollosa, leggermente acidognola che mi ricorda molto la anjera etiope. Un gruppo di bambini sta ammucchiato davanti alla tenda a godersi lo spettacolo dei bianchi che mangiano, tenuti a bada dalle occhiatacce di Zaida, che controlla tutta la situazione. In un canto il gruppo delle guide che evidentemente ha già mangiato, filosofeggia gustandosi il consueto tè alla menta che continua a passare da un bicchierino all'altro, decantando il fondo e facendo aumentare la sua deliziosa schiumetta, ma come mi ha detto tranquillo uno di loro, il tempo non ha importanza quando sei in vacanza.
SURVIVAL KI
- Città morta del XII secolo a 180 km a nordest da Atar. Fu importante centro carovaniero e culturale fino al 1600, quando fu abbandonata in parte per la mancanza di acqua e anche perché le carovane avevano preso vie alternative. Restaurata a partire dagli anni 2000 è stata eletta patrimonio UNESCO. Molto ben conservata, si visita completamente a partire dalla cinta delle mura, la moschea, e molte delle case. Con guida, a partire dalla Porte de Tegnit, calcolate almeno un paio di ore, 200 UM. E' una delle città carovaniere abbandonate meglio conservate e più interessanti di questa parte del Sahara. Poi potete girare per la adiacente città nuova di circa 3000 abitanti in cima al colle, costruita a partire dal 1850, che inizia con la nuova moschea.
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