mercoledì 27 agosto 2025

Seta 28 - A Xiahe, in terra tibatana

Monaco Gelupka - Monastero di Labrang - Xiahe - Gansu - Cina -  giugno 2025


Il bus Xining - Xiahe

Il bus di questa mattina parte alle 8:30, quindi ci alziamo prestino rispetto al solito, ma andiamo alla stazione a piedi visto che è proprio dietro l'albergo. Xining pare ancora addormentata visto che i Cinesi dell'ovest del paese si mettono in moto piuttosto tardi, infatti tutto il paese ha lo stesso fuso orario e quindi da queste parti sono un po' penalizzati sull'orario mattutino, quindi è piuttosto difficile trovare uffici e negozi in moto prima delle 10. Memorizzati gli ideogrammi della nostra meta Xiahe, 夏河,non fatichiamo a trovare il nostro pullman, che esibisce il cartello col nome, alla piattaforma 3 e ci carichiamo da soli le valigie nel portellone già spalancato, visto che l'autista non mostra segni di voler dare una mano, come fanno invece di solito i suoi gentili colleghi, con i viaggiatori anziani. Il nostro si scusa, poi mostra per giustificarsi di avere un dito dolorante, per cui, capirete, bisogna aggiustarsi. Poco male siamo abituati a ben altre fatiche e poi io avendo la scusa di avere ancora il braccio infortunato con inibizione da parte dell'ortopedico di trascinare pesi troppo elevati, lascio, con dispiacere naturalmente, l'incombenza di trasportare il valigione di 23 kg alla mia gentile signora, che giocoforza si deve adattare alla bisogna. 

Partenza

Tutti i pochi passeggeri salgono alla chetichella ed alla fine il mezzo non si riempie neppure per metà e parte come di consueto allo scoccare dell'orario previsto. Si vede che siamo alla periferia estrema dell'impero, in effetti il pullman è un po' malandato, ma sembra possa reggere alle cinque ore di viaggio necessarie a percorrere i 250 km che ci separano dal nostro punto di arrivo di oggi, se pur la strada sarà un percorso di alta montagna. Già, perché qui ci inoltriamo sempre di più nelle valli interne che portano al nord dell'altopiano tibetano e la quota diventa sempre più importante. Dunque lasciamo definitivamente il Qinghai per ritornare al Gansu, ma in una sua estroflessione di territorio che ci porta comunque sempre più a sud, in quello che è sempre stato Tibet a tutti gli effetti, quando ancora non si erano fatte le moderne divisioni nelle nuove provincie cinesi. Queste sono zone disputate da sempre tra musulmani Hui e Tibetani del nord, in una serie di lotte sanguinose per il predominio politico più che religioso durate secoli ed esplose con particolare violenza all'inizio del secolo scorso, durante la fase della caduta definitiva della dinastia Qing e la presa di potere in queste zone di bande militari islamiche. 

Colza e orzo

Il panorama è bellissimo e anche la strada, per la verità, decisamente recente, lo percorre senza troppa fatica, anche se siamo sempre attorno ai 3000 metri. Nella bassa valle compare l'agricoltura delle terre alte, magri campetti di orzo, il cereale classico tibetano su cui si fonda l'apporto nutritivo per questo popolo abituato ad una vita in ambiente estremo e grandi campi di colza, che adesso è in piena fioritura e le grandi superfici dal caratteristico giallo acido, riempiono gli occhi quando si alternano al verde pallido dell'erba dei pascoli, creando un effetto scenico di notevole bellezza. Attorno si alzano colline sempre più erte, scorgi una lontana catena di montagne nere incappucciate qua e la di bianco, mentre i rilievi più vicini si alternano con ripide pareti di materiale franoso di conglomerati rossi e gialli, tutte rocce sedimentarie di cui a volte puoi scorgere i tratti scoperti e gli strati accumulati nei milioni di anni prima che la pressione della zolla himalayana li comprimesse sconvolgendone le inclinazioni. In molti punti lungo il corso dei torrenti che scendono dall'alto, hai una presenza continua, nei punti più scoscesi, di gruppi di scenografici calanchi che scendono sino ai fiumiciattoli che tagliano la valle più in basso. 

Pascoli

Attorno pascoli sconfinati si allungano verso il cielo, popolati di gruppi sparsi di yak neri e pelosissimi, mescolati a dzong, gli incroci degli yak con i bovini, più adattabili a queste altezze, che per il Tibet sono ancora da considerarsi piuttosto basse. Greggi popolose di capre e pecore completano il quadro, mentre non scorgi mai o quasi, pastori che le controllano, anche da lontano. Solo qualche tenda sparsa con enormi cani neri e pelosi, che si aggirano guardinghi all'esterno e che fanno da pericolosa guardia, danno il senso di una presenza umana quasi invisibile. Comunque il senso di pace dell'alta montagna regna ovunque e mentre saliamo verso il primo passo della giornata a 3300 m, pur se sono sparite tracce di alberi e di coltivazioni, non avverti il senso di desolazione delle aree desertiche che provocano i grandi spazi di sabbie e di terra nuda. Il verde pur stentato, dell'erba brucabile, illuminato dal sole, fornisce sempre, una intonazione positiva al paesaggio. La strada si inerpica adesso più rapidamente con tourniquet sempre più stretti e ravvicinati e la velocità del mezzo diminuisce di conseguenza, fino all'arrivo del secondo passo, quasi a 4000 metri, poi giù a precipizio per una valle stretta e scenografica, nelle cui pareti ripide scorgi a stento qualche casupola dispersa tra i costoni del monte. 

Calanchi

Rari i paesetti di poche case, che vedi con la classica conformazione a corte circondata da un basso muro e una enorme vetrata che circonda la parte principale della abitazione, secondo il costume tibetano che sfrutta l'effetto serra dato dalla potente insolazione durante tutto l'anno, al fine di compensare la forte escursione termica per un deciso risparmio di combustibile, materiale assai scarso a queste quote, sia si tratti di materiale fossile o peggio di legna da ardere, praticamente introvabile da queste quote. Al centro di ogni villaggio, un piccolo tempio tibetano dai tetti dorati a rimarcare appartenenza etnica e religiosa al tempo stesso, mentre sulle cime più alte delle colline circostanti, se guardi con attenzione riesci a scorgere sempre un piccolo stupa con le cordicelle piene di bandierine colorate che sventolano senza tregua portando al cielo le preci di chi ce le ha messe, anche in sua assenza naturalmente. Noi proseguiamo, mentre i passeggeri sonnecchiano indifferenti a questo paesaggio straordinario, ancora per altri colli ed altre valli; in fondo un paese un poco più grande, attraversato dal fiume che ritengo essere proprio quello Xia, tributario più a valle del grande Fiume Giallo, che dà il nome alla contea che stiamo raggiungendo. 

Ponte in costruzione sullo Xia

Nel punto più largo del fiume è in costruzione un grande ponte, forse un ampliamento autostradale di quella via già ottima che stiamo percorrendo. Il progresso non si arresta e la modernizzazione deve raggiungere il più presto possibile tutti gli angoli dell'impero, questo è sempre il dettame, quinquennale o no, del partito centrale ed il programma non ammette mai deroghe o ritardi sulla tempistica, costi quel che costi. Nel breve tratto di strada rettilinea, una sorta di autogrill, evidentemente nuovo di pacca, tutto scintillante di luci, di marmi e di cristalli, con punto di ristoro, market e servizi dove potresti mangiare per terra, segno che anche la strada così perfetta, che ascende in curve armoniose le colline, è stata completata da pochissimo. Sono passati pochi anni dalle mie prime visite in Cina ed ecco che mi ritrovo su un altro pianeta, a dimostrazione però, che tutto si può fare, basta volerlo. Un paio di colpi di clacson ci richiamano all'ordine e rientriamo veloci ai nostri posti per l'ultimo tratto, che percorriamo rapidamente. Non è ancora scoccata l'una e mezza che vediamo le prime case di Xiahe. La cittadina, che nella sua parte più moderna ha meno di 100.000 abitanti, è abitata prevalentemente dall'etnia Hui, mentre appena al di fuori, lungo il fiume si estende una città templare di grandi dimensioni, un altro dei sei complessi religiosi eretti dei Berretti gialli, vere e proprie città, mete dei pellegrinaggi che tutti i fedeli compiono in continuazione. 

L'albergo

Qui e attorno alla città, nei paesini e nelle case sulle montagne, stanno invece in prevalenza i Tibetani che rimangono legati all'attività pastorale. Attraversiamo tutto il quartiere musulmano, riconoscibilissimo dalle molte calottine bianche che fanno mostra di sé sulle teste degli uomini che si aggirano nella strada principale, anche se le insegne dei negozi che sfilano, sono scritte in cinese e in tibetano. Superiamo il fiume e arriviamo alla stazione dei bus, da dove ripartiremo domani. Al di là comincia la città templare, poco vicino il nostro bellissimo albergo, costruito in stile tibetano, coloratissimo e molto accattivante. Sembra di essere in un vero palazzo d'epoca tutto in legni dipinti e laccati in tinte vivaci. Le camere disposte attorno al grande cortile coperto centrale, hanno ancora le porte con gli antichi lucchetti, da aprire con pesanti chiavi laterali. Mentre aspettiamo che ci vengano assegnate le camere, guardandoci intorno con occhi sgranati, arriva anche un gruppetto di monaci ben pasciuti, con moderni trolley al seguito, che continuano a sgranare il rosario con la mano sinistra mentre svolgono le pratiche del check-in. Nell'altra mano il telefonino è in consultazione continua, mentre il pollice fa scorrere le palline di ambra gialla che calcolano le preghiere dette nella giornata. Scommetto che ci sarà un'apposita app per tenere il conto, se non addirittura un meccanismo che consenta allo smartphone di farne dire un certo numero per conto tuo. 

Monaci

In generale mi sembra che questo non dovrebbe ostare alla validità della preghiera, visto tutti gli altri metodi ammessi (mulini, bandierine, ecc.). Se ancora non c'è suggerirei a qualche sviluppatore di studiare la cosa, potrebbe essere un successo planetario perlomeno nell'area del buddismo tibetano. E' di certo una osservazione malevola e anticlericale la mia, sulla consueta obesità della classe monacale, ma sono costretto sempre ad osservare che, specialmente in questa religione, dove circa la metà della popolazione si dedicava al monachesimo fornendo servizi religiosi e nulla più all'altra metà della popolazione che invece lavorava e li manteneva, pur in una vita di astinenza e digiuni meditativi, il girovita del clero è sempre di dimensioni decisamente maggiori rispetto a coloro che vivono lo stato laicale. Noto inoltre che i monaci hanno preso tutti una camera singola, pagando giustamente con l'app Alipay dello smartphone, noblesse oblige e in questo modo si mantiene anche il concetto di solitaria cella di meditazione, a patto di non usare la TV naturalmente. Visto che ci viene offerta la possibilità, noi approfittiamo della gentilezza del gestore e ordiniamo seduta stante un piatto di noodles con carne di yak e patate, cosa che, per la verità, fanno anche i monaci dopo aver preso possesso delle camere. La carne è un po' duretta, come tutta quella bovina in Cina, ma il gusto è gradevole e quindi dopo esserci rassettati alla meglio, ci dirigiamo verso l'ingresso della città che è solo a qualche centinaio di metri.

Tibetani in città

SURVIVAL KIT

Hotel Tibetan Family 2, Gai Ge Duo Gang, La Bo Leng Town, XiaheBellissimo albergo in architettura tibetana tradizionale, coloratissimo con le camere disposte attorno ad una corte centrale. Camere spaziose, letti grandi, bagni puliti e ben dotati di gadget. AC, TV grande, free wifi. Colazione a buffet con sezione occidentale. Possibilità di mangiare all'interno. Il gestore gentilissimo si adopera in tutti i modi per aiutare o dare informazioni ed è uno dei pochi incontrati che parla inglese (ci ha portato il giorno dopo fino alla stazione in macchina, gratuitamente!). Posizione molto comoda appena al di là del fiume del complesso templare. Con colazione 40 €. Finora il migliore.

Bus Xining - Xiahe -  Stazione bus piattaforma n 3 - 8:30 - 01:30 - € 10

Paesaggio del Gansu

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25 - A Xining

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