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giovedì 9 ottobre 2014

Mozambico 13: Mercati e politica

Al mercato di Lichinga


Il macellaio
Il mercato di Lichinga è molto grande, in linea con il numero degli abitanti dalle città, ma in netto contrasto con la povertà degli edifici del cosiddetto centro che danno invece, l'impressione di una cittadina semi spopolata. Mentre i mercatini dei paesi circostanti sono ridotti all'esposizione di qualche merce poverissima ed offerta con esiguità a terra o su qualche asse scompagnato, piccoli pesci secchi, qualche banana o pomodoro ed una sequela di stracci che pretenderebbero si essere magliette o vestiti, qui di merce ce n'è un sacco, ammucchiata e stipata in strambugi di legno, in file separate da stretti camminamenti. All'esterno, altri banchi, che non hanno trovato evidentemente la possibilità di accedere ufficialmente all'interno delle mura annonarie. Qualcuno offre pesci, che saranno arrivati fin qui dal lago, qualcun altro carni rozzamente macellate e lasciate a frollare con una abbondante copertura di mosche verdi. I grandi pezzi di carne esposti, cosce o interiora, hanno assunto nel tempo uno strano colore nerastro, non si capisce bene se frutto della lunga frollatura o se coperte da quella sorta di impanatura naturale, la cipria fine che aleggia nell'aria, sollevata continuamente dai vari mezzi di passaggio, che arrivano coi cassoni carichi di umanità dai borghi vicini e la scaricano davanti alle varie entrate. I muri scrostati e cadenti nascondono le loro pecche, coperti come sono dalle centinaia di manifesti elettorali, tutti con lo stesso faccione, reiterazione infinita ed assillante, che pare autoriproduca se stessa sulle magliette dei sostenitori, appollaiati sui carretti ai lati della strada o che percorrono ciondolando i camminamenti tra gli stalli. 

Il macello
All'interno, il mercato è piuttosto simile ai tanti suoi omologhi africani, una gran confusione tra le file infinite di piccolissimi negozietti di legno straboccanti di merce, divisi da uno strettissimo passaggio in terra battuta con un rivolo di scarico in mezzo, ora polveroso, probabilmente una distesa di fango viscido nel periodo delle piogge. Come di consueto vi è una suddivisione a zone per tipologie merceologiche, vestiti dove traboccano i colori dei tessuti africani, magliette, abiti leggeri e scarpe, ammucchiate per lo più alla rinfusa, non si capisce come si faccia a trovare il paio completo nel mucchio, più in là attrezzature varie, dalla ferramenta alla tecnologia elettrica ed elettronica, tutta cinese come ovvio, poi la zona alimentare a sua volta suddivisa in frutta, verdura e poi più in là pesci e infine carni. All'interno di questa, una sorta di sala di macellazione primordiale, un antro infernale in cui giganti coperti di sangue abbattono colpi di ascia su quarti di animali, da suddividere ancora poi in pezzi più minuti. Lì'atmosfera granguignolesca è piuttosto cupa e nervosa e forse le intrusioni sono poco gradite, per lo meno a giudicare dai gesti e dalle grida poco amichevoli che vengono indirizzate a coloro che si introducono lì con fini diversi dall'acquisto di mezzene di vacca o quarti di montone. Scivolo via velocemente per non cercarmi grane tra le montagne di pesce secco, che probabilmente è così secco da non puzzare come sarebbe naturale aspettarsi, o forse sono le narici che si sono abituate. 

Il mercato del pesce
L'uomo alla fine ha una capacità di adattamento mirabile all'ambiente che lo circonda, qualunque esso sia. La frutta invece è posta in un'area più aperta leggermente più esterna. La luce rosa della sera colora le montagne di banane e guayave, arrossando l'ambiente di un'allegria vegetariana che contrasta con forza la tetraggine carnivora nascosta nelle viscere del mercato stesso. Qui avverti una massiccia presenza di donne che ridono ed esibiscono i fazzolettoni colorati usati come copricapo oppure le barocche architetture delle loro capelli addensati in montagne di treccioline ordinatissime e tutte diverse tra di loro, come questo aspetto volesse essere un segno distintivo e unico di ogni diversa personalità. E' fatica farsi spazio negli stretti passaggi tra i negozietti, c'è sempre una gran folla che si muove in ogni direzione. I passaggi sono ingombri di masserizia, casse o semplicemente di merce esposta. Due venditori, vicini di negozio ingannano il tempo giocando al bao o manqala (o quale che sia il nome locale di questo gioco "della semina" diffuso in tutta l'Africa). Sono concentratissimi nel gioco, non avendo di certo tempo per dare retta ai clienti nel loro esercizio. A turno, con rapidità belluina, afferrano le biglie presenti in una casa e con un gesto abile le rilasciano ad una ad una nelle case vicine, catturando quelle dell'avversario per portarle nel proprio "granaio". Il più grasso osserva la mossa dell'avversario con aria volpina come se già avesse previsto il colpo e fosse pronto ad assestare il proprio successivo e fatale. 

Giocando a bao
Poi tocca all'altro grattarsi la testa dubbioso, mentre il primo muove convinto, di certo con il timore di avere commesso l'errore fatale che comprometterà l'esito finale. La partita continua rapida, i due sono come isolati dal resto del mondo, che invece, rumoroso, continua a fluire intorno ad essi. Usciamo dalla folla che è già scesa la sera. Al ristorante dell'albergo stasera si aggira una fauna di rispetto. Prima è arrivata una serie di guardaspalle notevoli, armadi neri con occhiali ancora più neri che hanno controllato la sala, parlato con i camerieri e poi, dopo aver scelto dei tavoli opportuni, sono entrati i politici. Una sfilata di abiti scuri  e camicie bianche e cravatte lucide rosa, azzurre, argento, molto compresi della loro importanza, impalati come manichini. Per ultimo è arrivato quello  che si presenta di certo come il capo bastone, molto più sciolto nel vestire che trasmette a tutti buone parole a guisa di benedizioni. Ordinano vino nero sudafricano e gamberoni alla griglia. Alla fine manda un sottopancia a farsi prelevare dal buffet una generosa porzione di mousse au chocolat, che invero staziona, sempre allo stesso punto già da alcuni giorni, ma l'importante è non saperlo. Noblesse oblige. Fuori, nelle strade scure e senza luce, davanti ad ogni negozio staziona una guardia armata o presunta tale. Generalmente sonnecchia o dorme, l'importante è che ci sia, non si sa mai.
Arrivare al mercato


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Vestiti griffati Prada

lunedì 6 ottobre 2014

Mozambico 11: Le scuole di Mitava


Uno degli attuali pozzi funzionanti di Mitava

La scuola elementare
Roberto Nani era un mio concittadino ed era anche una gran bella persona, mica dovete credere che tutti gli alessandrini siano dei tipi da lasciar perdere. Lui, ad esempio, oltre a fare l'insegnante, ha passato la vita ad aiutare gente in giro per il mondo. Negli ultimi anni si era dedicato ad un sobborgo di Lichinga, uno dei più poveri, di una delle provincie più povere del Mozambico, che è uno dei paesi più poveri del mondo. Passava qui qualche mese all'anno, le sue vacanze e in qualche tempo è riuscito a realizzare, con soldi raccolti qua e là dall'ICS, una scuola elementare, una scuola media, una biblioteca e un pozzo. Guardate che non è poco, perché anche fare le piccole cose è difficile, ci vuole tanta voglia e determinazione, specialmente nei posti dove la situazione contingente, il modo di vita ed i precedenti storici rendono tutto così vischioso e lento, addirittura immobile nel tempo, come se tutto fosse cristallizzato ed immutabile. A dicembre se ne è andato, di certo con il magone che quanto è stato fatto fosse abbandonato a se stesso. Questo è il motivo per cui si è pensato di portare avanti altro e proprio lì. Le cose, alla fine vengono sempre decise da episodi. Così oggi andiamo proprio a Mitava a definire gli ultimi dettagli, prima di procedere a cominciare i lavori. Dalla nazionale, una strada dritta taglia il terreno ondulato e spoglio, rosso di terra rossa e polverosa. 

In attesa
Anche i residui secchi delle povere culture sono minimali, accuratamente spazzati via dalla fame delle rade capre che stazionano intorno, ripulendo con cura tutto quanto la mancanza d'acqua non ha ancora provveduto a fare scomparire. Il grande borgo di Mitava è sparso su una superficie piuttosto ampia, una serie infinita di capanne di mattone crudo coperte di paglia, distanziate da larghi spazi. Lo spazio, già, è l'unica cosa che non manca qui. Un grande albero segna il centro del villaggio. La casa del capo è una capanna tra le altre. Lui è piuttosto anziano e malato, ci riceve nel cortile seduto su una panca di legno. Fa caldo, ma lui si tiene addosso un giaccone pesante; anche in Africa i vecchi hanno sempre freddo. Parla lentamente, con voce flebile facendo fatica, ma si capisce che non vuol mancare di accogliere in qualche modo questa gente venuta da lontano, soprattutto perché li sa amici di Roberto. La conversazione non è facile perché lui parla solo un dialetto locale, che qualcuno traduce al professor Ahongo che poi provvede a ritradurlo a noi, una sorta di telefono senza fili che porta generalmente ad una gran confusione, ma alla fine basta guardarsi e anche gli occhi spenti dell'anziano, riescono ugualmente a comunicare quello che è necessario. Le due scuole, oltre al dispensario, davanti al quale c'è già una fila di donne con bimbi in braccio, in attesa dell'arrivo di una infermiera che passa di tanto in tanto, sono tra i pochissimi edifici in muratura del paese. 

Al dispensario
Sono coperti di mosche, che le madri non perdono neppure più tempo a cacciare. In quella elementare, ci sono due aule coi banchi e una lavagna nera appesa sul muro di fondo, ma i bambini presenti sono pochissimi, la maggior parte malati, gli altri non sono venuti a scuola per i motivi più vari, anche se adesso non è stagione di lavoro nei campi. In realtà credo che la ragione principale sia che non c'è la possibilità economica di dare loro da mangiare alla fine delle lezioni, cosa che di certo le renderebbe affollatissime. Addirittura sarebbero previsti due turni. Nella scuola media invece la presenza è molto maggiore, in ognuna delle due aule c'è almeno una ventina di ragazzi e ragazze. In una si sta facendo lezione di inglese e gli allievi stanno ricopiando su un quadernetto dalla copertina nera come quelli che avevo io alle elementari, le parole scritte man mano alla lavagna. E' pur vero che il tetto, nella stagione delle piogge perde un po', ma  quello che marca una assoluta differenza con le abitazioni circostanti, è la presenza in fondo al cortile di veri gabinetti in muratura, ben divisi per alunni e professori, invece del consueto recinto di frasche. Nel resto del paese che conta circa duemila adulti, ci sono già cinque o sei pozzi, ma la maggior parte è secca oppure, trattandosi di fori aperti nei quali si cala il secchio o la tanica sono inquinati e fangosi. In ogni caso la profondità attorno alla decina di metri non consente una portata adeguata alla necessità. 

Il capovillaggio
I nostri tre, saranno di trenta metri, chiusi con una pompa standard e dovrebbero garantire il fabbisogno dell'intera comunità. Giriamo ancora un poco tra le capanne, buttando l'occhio al di la dei recinti di cannucciato, inseguiti dal solito corteo di bambini. Le donne sono impegnate nelle attività di tutti i giorni, lavare e preparare una pentolata di polenta bianca o di fagioli, su un fornelletto nell'angolo più riparato del cortile, anche la legna da ardere è preziosa e fatica quotidiana il raccoglierla sempre più lontano ogni giorno. Mentre torniamo verso il grande albero si discute con i responsabili della comunità sulle modalità migliori per procedere, poi ad un tratto dalla strada principale dove su qualche straccio a terra viene esposta della poverissima mercanzia e qualche pesciolino secco, in quello che vorrebbe essere un emblema di mercato, arriva un gran polverone ed uno strombazzare di clacson. E' un grande pick up bianco carico di ragazzi che cantano slogan e sventolano bandiere. Passando di gran carriera incipria bene la fila di donne che torna a casa con in testa le taniche gialle piene di acqua. Sono i sostenitori di uno dei partiti in lizza, che vengono a fare la campagna, distribuendo schede facsimile e soprattutto le graditissime magliette con in logo del partito e la foto del candidato. Non vogliamo disturbare questa opportunità, gli abitanti del villaggio sono preparati, quella dell'altro candidato, i cui propagandisti sono già passati nei giorni scorsi, se la sono già tolta a tempo, per accaparrarsi quella nuova. Eh, di elezioni ce ne fosse almeno una all'anno!

La scuola media di Mitava


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sabato 4 ottobre 2014

Mozambico 10: In giro per uffici

Nel pieno della campagna elettorale




L'acqua è un bisogno primario
Il professor Ahongo si presenta con fare cordiale e accomodante. Insegna francese alle superiori e quando capita offre i suoi servigi di interprete. E' un classico bantù piuttosto massiccio, anzi per la verità è congolese anche se si è trasferito da queste parti ancora ragazzo, chissà forse per sfuggire ad una delle tante guerre senza nome che serpeggiano sempre intorno a questi confini. La lingua deve averla imparata in qualche scuola missionaria, come capita spesso. Sarà con noi in questi giorni, tanto per fare le cose con una certa precisione, perché è pur vero che il portoghese è una lingua così vicina a noi che di norma la comunicazione è senza problemi, con l'uso volenteroso di un italportugnol maccheronico ma efficace, ma quando gli incontri hanno un certo tipo di ufficialità, le cose devono essere messe in chiaro con una certa precisione, se non si vogliono avere dei malintendimenti in seguito. Certo voi penserete che il problema per fare qualche intervento di cooperazione in Africa, consista solo nel reperimento dei fondi necessari e certo questo è un punto sine qua non, purtuttavia, come mi sembra di avere già sottolineato, questo da solo non è garanzia di successo dell'operazione. Infatti è necessario anche intessere tutta una rete di contatti ufficiali ed ufficiosi, con le autorità ed i politici locali, i responsabili delle comunità interessate e le organizzazioni che sul posto potranno essere garanti dell'efficacia dell'iniziativa, oltre naturalmente a chi effettuerà materialmente l'opera. Può sembrare cosa fastidiosa e a volte una ulteriore perdita di tempo, ma ho capito che è uno dei modi di procedere che meglio garantiscono il successo di questo tipo di iniziative. 

Uno dei pozzi di paese

Così oggi è il momento, come si suol dire, del giro delle sette parrocchie, cosa tra l'altro di estremo interesse se si vuol cercare di capire il funzionamento ed i meccanismi amministrativi interni di un paese. Conoscere le persone chiave degli organismi locali può permettere di superare tutta una serie di ostacoli nascosti che potrebbero frapporsi successivamente magari nei momenti critici del progetto, inoltre questi contatti permettono di conoscere con maggiore precisione le eventuali difficoltà logistiche e relazionali insite nel territorio e le disposizioni legislative in materia contro le quali evitare di scontrarsi. I palazzi del potere, anche se qui a Lichinga questa è una parola un po' grossa, sono uguali in tutto il mondo. Da un lato mi sembra di essere tornato indietro di venticinque anni, quando giravo i polverosi uffici amministrativi di un URSS in progressiva demolizione a prendere nota dell'elenco infinito dei problemi senza soluzione, della lista dei bisogni e dei sogni impossibili, conditi dalle immancabili dichiarazioni di imperitura amicizia e fratellanza tra i popoli e dalla necessità finale di stilare il cosiddetto protocollo d'intesa. In fondo tutto il mondo è paese e tutti i politici e i loro sottopancia sono uguali. All'inizio l'accoglienza è sempre cauta, poi ci si scioglie e l'interlocutore si dimostra sempre piuttosto disponibile a dare il massimo appoggio possibile, compatibilmente con la situazione. Bisogna considerare che qui la campagna elettorale impazza e che quindi ci viene dedicato un po' di tempo solo grazie alle intercessioni di altri contatti, anche questi fondamentali, direttamente dalla capitale. 

In cerca dell'acqua quotidiana
Anche qui le camere di attesa sono piene di questuanti di tutti i tipi, militari, clientes della più classica specie, bisognosi in cerca di soluzione di un problema grande o piccolo ma in ogni caso vitale per chi lo subisce. Tutti sembrano stazionare immobili in questi luoghi senza tempo, sulle poltrone di similpelle sbrecciate o su sedie scomode o anche in piedi evidentemente a seconda della propria importanza sociale, che di certo condiziona anche l'ordine di ricevimento. In mezzo torreggia sempre una segretaria, addobbata con distinzione, con una capigliatura di treccioline elaboratissime che, mantenendo un fare algido e assolutamente superiore, introduce via via nell'olimpo, con fare serissimo e distaccato e successivamente sottomesso a seconda se si è al di qua o al di là della porta.  Tutto sempre a bassa voce, sfiorando appena le parole, perché questo dà maggiore autorità e importanza all'evento. In realtà poi, la Segretaria Permanente Provinciale, che è nei fatti la carica esecutiva più importante, una imponente signora che esibisce con orgoglio la semplice maglietta rossa di partito, ci dedica un bel po' di tempo, dimostrando di conoscere bene la nostra organizzazione e assicurandoci appoggio incondizionato, oltre a dare utili indicazioni su come procedere. La lasciamo quindi al fervore della campagna e passiamo al palazzo del Comune dove un Sindaco abbastanza tranquillo, in fondo lui è stato eletto l'anno scorso e questa è una zona di fedelissimi, ci informa di una serie di opportunità e di opzioni nell'elenco infinito di bisogni di questa comunità, che potrebbe diventare una futura scaletta di interventi se le circostanza lo consentiranno. 

La bandiera del Mozambico
Di tanto in tanto entra qualche galoppino tutto infervorato a comunicare, forse, dati essenziali sull'andamento della campagna e se ne va con nuovi ordini e cartelline piene di fogli sotto il braccio. In realtà sembra tutta buona gente, certo son sempre politici, direte voi, con le loro pecche genetiche, ma così funziona il mondo ed è meglio questo modo di procedere che altri e vi ricordo che, a quanto mi consta, la bandiera del Mozambico è l'unica in cui è presente tra gli altri simboli, un bel kalasnikov, certo assieme al libro e alla zappa, quindi vedete un po'. Il responsabile del sistema idrico rurale della regione, dà poi, interessanti informazioni sullo stato idrogeologico dell'area. I dati sono abbastanza impietosi, su oltre 4000 pozzi necessari, la popolazione rurale della provincia di Niassa è poco più di 1 milione di persone, ce ne sono in funzione meno di un terzo e anche tra questi molti sono troppo superficiali e l'acqua ricavata ha una portata piuttosto esigua. I nostri tre pozzi, saranno pure una goccia nel mare, ma dovrebbero essere della tipologia giusta e oltretutto andranno in una delle zone più carenti. Emerge anche un problema nuovo, infatti la legislazione prevede che per ogni opera di questo tipo ci sia l'obbligo della cosiddetta fiscalizasao, in pratica una direzione lavori indipendente che alla fine certifichi che il lavoro è stato fatto a regola d'arte secondo il capitolato. E questo è un costo imprevisto a cui si deve trovare una soluzione con qualche taglietto qua e là, magari lineare eheheh, sempre gli stessi problemi non vi sembra? 

Tornando a casa
Invece il responsabile della rete idrica cittadina conferma che l'acqua disponibile per la città è sufficiente solo per i quattro quartieri centrali, circa 40.000 persone e anche questi razionati nei momenti di  secca, mentre gli altri duecentomila si devono arrangiare con pozzi di varia natura. Pane per il mio amico Pierangelo. La rete inoltre è obsoleta con conseguenti molte perdite e gli stessi serbatoi di accumulo sono di epoca coloniale e troppo piccoli. Ci vorrebbe un nuovo acquedotto, opera di troppo respiro per le nostre piccole forze, che solo un finanziamento europeo potrebbe risolvere. Però una situazione del genere l'ICS l'ha già affrontata e con grande in Cambogia. Lì di acquedotti ne sono stati portati a termine addirittura due. Chissà, i sogni non sono proibiti. Insomma una giornata utile. Il professor Ahongo, con il suo francese forbito, ha tradotto con cura in delicate inflessioni portoghesi le nostre intenzioni. Mi sembra che però ci si sia capiti comunque molto bene anche attraverso i sorrisi e le strette di mano finali.

Uno dei mille paesi della provincia di Niassa

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venerdì 3 ottobre 2014

Mozambico 9: Il lago delle stelle

 
La riva del lago Niassa a metangula



Sulla riva
La sensazione è quella di avere davanti un mare, immenso e senza confini visibili non potendo vedere le altre sponde oltre quella da cui guardi la superficie azzurra e solo leggermente increspata. Il lago Niassa è lungo 365 miglia e largo 52, per questo veniva chiamato anche il lago del calendario. Anche le sue coste, più di 1000 chilometri, sono popolate di rari e minuscoli villaggi, ma senza importanti città, la sensazione che ti prende subito è di non avvertire la presenza dell'uomo. Le poche capanne sono nascoste tra gli alberi della riva e le acque non sono solcate da barche o navi. Visto dall'alto delle colline ti pare di essere in una terra che non ha mai conosciuto l'uomo, un Eden deserto, solo a tratti pericolosamente misterioso. Soltanto avvicinandosi si vede qualcuno che si lava sulla battigia di pietra e qualche rozza barca di pescatori, ricavata da tronchi scavati. Dove termina la strada, un gruppo di case, una cittadina e un pontile in metallo, qui attracca una specie di traghetto che compie il giro del lago in due giorni collegando Tanzania e Malawi. Una costruzione bassa in cui dovrebbe stare qualcuno addetto al controllo delle merci che arrivano e vanno via, un bar e gruppi di donne che risalgono dal lago con grandi mastelli di plastica colorata sulla testa pieni di panni lavati. 

IL ficus della piazza della dogana
Più in basso sulla spiaggia, gruppi di bambini sguazzano nell'acqua che, azzurra in superficie, diventa subito cupa e scura a pochi passi dalla riva. Ha un'aria invitante il lago, forse perché non l'aria trista che invita al suicidio dei nostri, grigi e piatti, ma sembra davvero un mare azzurro, anche se una sensazione malevola ti tiene comunque lontano dal desiderio di bagnarsi che prende tutti alla vista dell'acqua pulita. E non si tratta neanche dei coccodrilli, che pure sembra siano presenti in gran numero, ma quelli non si vedono così vicini al pontile e comunque avrebbero già mangiato un bel po' di gente se fossero acquattati sul fondale, oltretutto non ci sono neanche zone stagnanti e fangose in cui rincantucciarsi a prendere il sole a bocca spalancata. No, direi che piuttosto si tratta dello Schistosoma, nome poetico e gentile di un delicato e piccolissimo verme platelminto che ha trovato un suo luogo ideale, così pare, nell'utilizzare come ospite intermedio i gasteropodi di cui il lago pullula. Provoca la ben nota bilharziosi, la malattia tropicale più frequente dopo la malaria, responsabile nella fase acuta della febbre di Katayama e secondo i dati, circa 5000 persone all'anno se la beccano nelle acque di questo lago e sembra che non sia una roba bella. 

Il pontile di carico
Sul pontile invece si ammucchiano una serie di bidoni di carburante  e di taniche di olio alimentare, in attesa che arrivi un barcone a portarsele via. Le operazioni di carico si svolgono in maniera piuttosto approssimativa e a sola forza di braccia. Un bambino di una decina d'anni trascina due contenitori da una ventina di chili l'uno lungo il pontile ansimando sulle sbarre di ferro, poi mostra i muscoli orgoglioso. Una stradina in terra battuta segue verso nord la riva circondata da enormi piante di baobab. Dopo un paio di chilometri un altro gruppo di casette sulla riva, una serie di bungalow malandati che vorrebbero pomposamente essere definiti "resort". C'è anche qualche ricco locale che evidentemente ha portato moglie e figlie in vacanza al lago. Sembrano molto annoiate con gli occhi socchiusi e le cuffiette dell'ipod nelle orecchie. Poi tutti fanno il bagno schizzandosi nell'acqua, come tutte le famigliole di questo mondo. Auguri. Noi ci mangiamo una bella carpa del pescosissimo lago con un brodetto saporito al pomodoro, riso e patate e una birra fresca. 

Ignazio sciupafemmine
Buona la birra da queste parti, ti fa sentire parte di questo mondo e comunque rimane un punto di riferimento, una sorta di DNA culturale comune. Ignazio mangia distrattamente sempre impegnatissimo sui tre telefoni. Comunque visto anche lo stato precario della macchina, è già ora di tornare, come sempre farà buio presto. Ci si ferma ancora alla stazione vicino al pontile, qui Ignazio conosce tutti, era il capolinea del suo bus, e pare che abbia spezzato diversi cuori, a vedere quantomeno le ragazzotte che gli corrono addosso e se lo sbaciucchiano ridendo. Lui usa il più tecnologico dei tre telefonini per fare qualche foto, poi le saluta con l'aria vissuta di chi vive ormai nella città tentacolare ed è abituato a ben altro e si riparte attraversando un gruppo di banchetti di frutta e di pesci secchi così ricoperti di polvere rossa da sembrare già impanati e pronti per la frittura. Riprendiamo la strada delle colline. Dall'alto il sole sta per scivolare verso la superficie d'argento del lago, sparpagliando la luce in mille e mille paiettes, una veste da sera che si insanguina a poco a poco e che la notte andrà ad indossare sotto il mantello nero, quando lui starà per scendere definitivamente dietro la riva opposta, invisibile ai nostri occhi. Appena dopo la salita, l'acqua ricomincia a bollire. 

Il lago Niassa dalla collina
Sarà un viaggio faticoso. Lungo la strada gruppi di donne stanno ritornando alle loro capanne, le più con grandi fascine di legna da ardere in testa, le taniche di acqua sono un trasporto in genere riservato al mattino. Nel paese della festa della circoncisione la gente si è radunata in un grande spiazzo tra le case e canta e balla con una certa dedizione. Poi la notte scende di colpo. Non ci si dovrebbe far sorprendere dalla oscurità per strada in Africa. Non ci sono luci, la strada è strettissima e piena di buche e i fari dell'auto sono nella maggior parte dei casi, claudicanti. All'opposto, mentre di giorno hai sempre la sensazione di una landa spopolata, la sera, i bordi della strada sembrano affollatissimi di gente che cammina a piedi, attraversa la strada, di biciclette senza luci, di moto sovraccariche di masserizie che arrivano dalla città e occupano gran parte della carreggiata. Ignazio telefona ad un amico per spiegargli una causa che ha in corso, ma forse non ha a che vedere col codice stradale. A ogni metro pensi di caricare qualcuno sul cofano o di passare su qualche bici  che attraversa, non parliamo della eventuale presenza di ubriachi o simili. Insomma un vero terno al lotto che ti fa stare teso come una corda da violino fino a che, lontani, non vedi in fondo alla valle i lumini gialli e fiochi della periferia di Lichinga che appare ora, da misero borgo polveroso di giorno, come porto sicuro a cui approdare, vista anche la possibilità di rimanere col radiatore fuso in mezzo alla campagna. Alle sette, i radi lampioni illuminati del centro fanno sembrare Lichinga una vera metropoli e il pollo al cocco con patate del ristorante dell'albergo un vero piatto da gourmet.

I baobab lungo le rive

SURVIVAL KIT

Trasporto legna
La strada che da Lichinga conduce al lago arriva a Metangula e termina sul pontile. Il confine col Malawi è a sud, ma non c'è accesso carrozzabile da qui, per arrivare via terra bisogna fare un lungo giro più a sud per raggiungere la frontiera e portarsi nel punto più a sud del lago, in Malawi ,dove c'è la Riserva naturale di Capo McClear. Il lago, profondo 700 metri è il terzo come dimensioni e quello più a sud tra i grandi laghi della Rift Valley. E' il meno popolato, tuttavia è molto pescoso e con una grande varietà di pesci che prima servivano solo alle popolazioni rivierasche, mentre adesso arrivano anche ai mercati della città. La forte presenza di bilharziosi, come già detto ne sconsiglierebbe la balneazione.

Il traghetto Ilala, in servizio dal 1951, dovrebbe passare ogni due giorni e potrebbe essere una avventura arrivare da qui in Tanzania o in Malawi, invece che via terra.


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Carpa del lago

giovedì 2 ottobre 2014

Mozambico 8: Verso il lago Niassa


Villaggi



Materassi lungo la strada
Bisogna partire presto per arrivare al lago e tornare in tempo prima che faccia buio. Il lago Malawi qui conserva ancora il vecchio nome Niassa, che identifica anche questa provincia.  Ignazio guida la sua auto con estrema prudenza, probabilmente sa quanto costa e non vuole correre rischi sulla dissestatissima strada che esca da Lichinga verso ovest. Ad ogni momento ci può essere un topes, un avvallamento dissuasore di traverso, su cui occorre passare con grande lentezza, oppure una serie di buche da evitare con una serie di zigzag per prevenire qualche botta fatale ai semiassi. Quindi grande attenzione alla strada, anche se a prima vista sembra che riconosca a distanza la presenza delle varie trappole, posti di polizia inclusi. Inoltre deve tenere sotto controllo in contemporanea tre telefonini, che consulta compulsivamente a rotazione e utilizza in continuo, anche due allo stesso tempo, parlandoci alternativamente con uno scatto della testa, uno in una mano e l'altro nell'altra, mentre per il volante usa con efficacia il gomito. Diciamo un ragazzo multitasking che, conoscendo a menadito la strada, un tempo faceva l'autista di bus  su questa tratta e che non perde tempo alla faccia delle accuse di pigrizia che si fanno agli africani in genere. Lasciata la periferia, la strada procede rettilinea con pochi saliscendi. Lunghi tratti deserti in una terra rossa cosparsa di bassi alberi oppure di grandi superfici di boschi di conifere ordinate, frutto evidente di un programma di riforestazione, alternati a gruppi di capanne che si aggrappano alla strada come per rimanere in contatto col mondo. Di tanto in tanto l'agglomerazione si fa più densa, tanto da poter essere definita come paese, anche se non ne cambia la sostanza. 

La partita di calcetto
Purtroppo, dopo pochi chilometri, nonostante la cura che Ignazio evidentemente  profonde nella manutenzione del mezzo, il cofano comincia a fumare vistosamente. Ci fermiamo al lato della strada. In un avvallamento a fianco, sei ragazzi giocano al pallone, tre con la maglietta sdrucita e tre senza, due squadre definite insomma. Il pallone è fatto della plastica nera dei sacchetti dell'immondizia legata con spaghi sottili, ma deve avere un'anima elastica perché rimbalza piuttosto bene. Nessuno fa il portiere, di certo un ruolo negletto anche qui e quando il centroavanti fa goal, l'esultanza, braccia e occhi levati al cielo, corsetta danzante e segnali di giubilo e successiva capriola, corrispondono agli stereotipi internazionali mediati dalla televisione. Acquisito il risultato, si può venire a vedere cosa succede alla macchina ferma sul ciglio della strada. Intanto l'acqua si è raffreddata e si può constatare il danno. Un manicotto tra radiatore e motore presenta una consistente lacerazione da cui il liquido esce copioso. Purtroppo tra le mille precauzioni di Ignazio non era prevista una scorta di acqua. Usiamo dunque la preziosa bottiglia di minerale che ci eravamo portati da bere, per il rabbocco d'emergenza e per arrivare fino al successivo gruppo di capanne al centro delle quali un nutrito gruppo di donne attorno a un pozzo, pompano con decisione, mentre le altre aspettano il loro turno in uno dei più classici momenti di relazione della vita africana femminile. L'acqua sgorga fresca e pulita dal tubo di metallo, ti dà davvero una sensazione di ricchezza vitale, un bene primario che mette in sottordine anche la grande antenna telefonica che sbuca dietro i tetti di paglia delle capanne e rimette a posto una scala di valori.

L'aiuto meccanico
Ci si interroga se il danno è contenibile e se sia il caso di proseguire, mentre qualche uomo spuntato tra i tetti di paglia viene a controllare la novità della giornata. Acquistiamo una delle tanichette gialle da una signora che ha appena finito di riempire e poi inseguiti dal consueto stuolo di bambini, ripartiamo. Ignazio la sa lunga, dopo pochi chilometri infatti, c'è un grosso paese dove ha un amico che di macchine se ne intende. Ci arriviamo dopo una decina di minuti, durante i quali una fitta serie di conversazioni telefoniche, con la sua centrale operativa per segnalare l'inconveniente, con qualche ragazza con cui forse bisognava spostare gli appuntamenti e con il supposto meccanico in attesa. Il paese è abbastanza grosso, una fila di capanne sui bordi della strada, qualche casa in muratura, una specie di mercato da cui arrivano donne con pacchi e masserizie varie, qualche poverissimo esercizio commerciale e un vecchio forno coloniale portoghese in rovina tra grandi alberi secolari. Si raduna subito un gruppetto di esperti che discutono tra di loro sul da farsi davanti al cofano alzato. Si vede subito che ci sono disparità di opinioni, ma la discussione è pacata e nessuno cerca di far prevalere il proprio punto di vista con la prepotenza. Il maestro di motori ha un inizio di barbetta salafita e occhi furbi, lascia parlare tutti, anche quelli che di tanto in tanto si aggiungono al dibattito, lasciando bicicletta o motorino carichi di canna da zucchero o di legni da ardere appoggiati a qualche albero, poi fa cenni sicuri con la testa e mette al lavoro il suo aiutante, che spicca tra gli altri per l'abbigliamento islamico, evidentemente anche suo discepolo religioso. 

Il negozio di magliette senza magliette
Lo manda dapprima vicino ad un rottame abbandonato senza ruote fuori dalla carreggiata, dove viene cannibalizzato un pezzo di tubo più o meno della stessa lunghezza anche se più grande e sotto le attente indicazioni del capo il pezzo viene alla meglio sostituito, anche se col disaccordo di molti presenti. Mentre si svolgono le operazioni, il capo non perde occasione di portare con me la discussione sul piano della politica religiosa, mostrandosi stupito di come noi occidentali invece di amare la pace, non perdiamo occasione di attaccare briga con i vari popoli islamici. Mostra sincera convinzione in quanto dice, poi, saputo che siamo italiani, si ricrede, pare infatti che la fama del nostro paese come garante dei processi di pacificazione sia conclamata, come ha dimostrato la storia mozambicana recente. Tutti attorno assentiscono vigorosamente, sembra il solo punto su cui c'è accordo totale, intanto il lavorante prosegue il suo compito staccando e ricollegando tubi e manichette e serrando guarnizioni e fascette. C'è il tempo per dare un'occhiata ai negozi dei dintorni, un venditore di magliette, così almeno dice lui, in quanto è privo di merci da vendere, ma dispone soltanto dei bastoncini su cui esporle;un asse su due bidoni dove sono esposte ordinatamente bottigliette di olio e appese ad un filo salamotti di plastica pieni di liquido zuccherato da succhiare, che quando è possibile vengono gelati, per simulare un tipo di ghiacciolo sui generis, scarpe ammucchiate a terra e poi in uno strambugio, quasi uno scatolone si direbbe, da cui esce musica africana a tutto volume. Sembrava un baretto tanto era affollato di ragazzi, invece si rivela il barbiere, ma gli astanti sono solo spettatori e amici dell'unico cliente che, appena finito di essere rapato a zero si alza portando con sé tutta la compagnia; invano il proprietario cerca di convincermi ad utilizzare i suoi servigi, mostrandomi la perizia con cui usa la macchinetta. 

Il barbiere
Intanto il cofano si è abbassato, un breve giro di prova, il capo meccanico saluta e ripartiamo, il lago è ancora lontano. La strada diventa tortuosa e in saliscendi continuo tra colline di terra e roccia solitarie. Un successivo paese è tutto in subbuglio. Centinaia di persone a gruppi di ragazzi urlanti e di donne che cantano sbattendo ritmicamente bastoni sulle gialle ed onnipresenti taniche di plastica, corrono lungo la strada verso il fondo del villaggio. Si sente musica da qualche altoparlante, c'è davvero un sacco di gente di certo arrivata dai villaggi vicini. E' una festa di circoncisione e la gente è vestita a festa, le ragazze ridono e vorrebbero tirarci giù dall'auto che procede lentamente tra la folla. Poi prevale la necessità della molta strada ancora da fare. La festa continua tra le capanne di terra, mentre, lasciato alla destra il bivio per la Tanzania, la strada si infila in mezzo alle colline. C'è ancora una specie di rilievo da superare. Sulla cima in fondo ad una salita, l'acqua riprende a bollire. La riparazione garantita, non ha sortito bene il suo effetto. Altre telefonate, altra acqua di rabbocco, un taxi collettivo che si ferma a dare consigli, poi si riparte. Dopo un'ultima curva tra gli alberi un baluginare lontano, che il sole alto del meriggio rende quasi accecante. L'orizzonte non è più fatto di colline dai rilievi tormentati, ma solamente una sottile riga orizzontale infinita, di cui non scorgi il termine. Mille piccoli specchietti fanno la gibigianna lontana. Forse è per questo, forse è proprio dall'alto di questa collina che arrivò qui per la prima volta Livingstone e ammirando questa superficie scintillante lo battezzò il Lago delle stelle.
Festa della circoncisione


SURVIVAL KIT

Per arrivare al lago Niassa da Lichinga ci sono circa 130 km. Calcolate un paio d'ore, se non avete problemi con la macchina. Per affittare una macchina privata per tutto il giorno calcolate 7/8000 Meticais (200 €) oppure 5000 + la benzina che costa circa 1,20 € al litro. Quindi alla fine fa più o meno la stessa cifra. La strada è quella che si percorre per arrivare alla frontiera con la Tanzania e più avanti alla frontiera con il Malawi.


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