sabato 29 giugno 2013

Campi di grano.



Ho voglia di andar per campi. Chissà, l'estate col suo caldo duro e un po' soffocante dovrebbe indurre alla meditazione sotto il pergolato, che noi chiamiamo topia, un dialettismo colto, visto che il governar la forma delle piante vien detta appunto arte topiaria; invece ho nostalgia di campi riarsi di sole crudo, che picchia sul collo e impone una qualche sorta di cappelluccio. Tutto quel mare di spighe dorate e riarse, leggermente ritorte nella direzione del vento o rosse, quasi bruciate, se d'altra cultivar senza pruina protettiva, immobili e ferme quando non tira più nemmeno un refolo di vento. Dappertutto è quasi giunto il tempo, addirittura nella Fraschetta, terra seccagna e povera, qualcuno ha già cominciato a mietere. Come una puerpera al compimento dei suoi giorni, stan lì in attesa della grande macchina che verrà ad ingoiarle, ingorda, a mangiare tritando il tutto, a battere, a scuotere, a sgranare e poi a separare tutto il possibile, la granella dalla paglia, lasciata cadere così quasi con disprezzo a terra in lunga e umile fila, ad aspettare che altri con calma raccolgano anche quello, che nulla vada perduto. Ho amato quei campi, mi han sempre dato un senso di ricco, di opimo, di fianchi larghi e robusti, icone corrette di una Cerere creata con giusta ragione, quadro esplicativo dell'ingordigia affamata del contadino, perennemente in bilico, sempre sul crinale tra abbondanza bramata e temuta carestia, da allontanare con gli scongiuri di una religiosità sincretica più prossima alla superstizione, assai blandita o tollerata comunque da un clero sapiente che conosceva i suoi polli. 

Cammini adagio lungo il fosso che delimita il campo, immensa tavola piana, meraviglia dell'ingegno umano, espressione innaturale e magnifica com'è l'agricoltura nella sua essenza profonda, artificio inesistente nato da considerazioni millenarie, miglioramenti così lenti e graduali da sembrar frutto di naturali cambiamenti. Pur nella sua immobilità, par di sentire un lievissimo clangore, quando milioni di ariste, rese ormai dure e quasi metalliche dal loro seccume, nella rigidità della morte, paiono sbattute tra di loro dal piccolo spostamento dell'aria quasi ferma. Un suono inavvertibile di cembali pagani, che frangono il silenzio spesso del mezzogiorno. Le spighe turgide, se le guardi attento, fanno fatica a rimanere in alto sui culmi esili e secchi anch'essi, induriti ma fragili, pronti a frangersi come vetri al primo impatto del nemico. Eppure son lì, piene all'inverosimile di cariossidi gonfie e dure, al cui interno il latte della primavera ha lasciato per strada umidità ed umori per mutarsi in glutine denso e quasi vetroso a formare un chicco dalle rotondità piene, divise dal taglio centrale deciso, sensuale e categorico al tempo stesso. E' un quadro come non potrebbero essercene altri a rappresentare l'abbondanza, in ogni tipo di cultura partita dalla terra, non quella fasulla di chi la campagna l'ha letta sul libro e se la raffigura come un'Arcadia dai toni sfumati tesa a ricercar solo sfumature di sogni, di mani nodose e di teste basse, di rimpianti di un passato mai esistito, di esaltazione di ipotesi parateologiche e di rovinevoli economie del niente. E' immagine di concretezza che valuta positivamente il solido, il concreto, rifuggendo da mode che appena si diraderà il fumo del nulla che le ha create, si accartocceranno sulla loro stessa fuffa. Come scalda l'animo un campo di frumento maturo per la trebbia! Non fosse altro per quanto picchia il sole e son senza cappello.    


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venerdì 28 giugno 2013

Haiku notturno.

La luna il 26 giugno.



Guarda che luna!
Sentinella quieta,
muta, sorveglia.



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Tarda primavera.

giovedì 27 giugno 2013

OGM: la battaglia infuria.

dal web


Ci sono persone o categorie, come me per esempio, che possono anche parlare a ruota libera, tanto quanto dicono o scrivono non ha rilevanza né influenza sulla società; si può dire insomma che non siamo pericolosi. Ce ne sono altre invece che con le loro affermazioni, condizionano anche in modo pesante e decisivo il mondo che li circonda, quindi sarebbe necessario che quanto esce dalle loro penne o quanto viene riportato delle loro chiacchiere fosse meditato bene. Una di queste è quella dei giornalisti, in particolare quella degli specializzati in qualche settore tecnico come la scienza o branche di essa come l'agricoltura. E' pur vero che in questo campo se ne leggono di tutti i colori e questo ti fa sorgere il classico dubbio, se quando leggo di una cosa su cui ho una minima competenza, sento così tante castronerie, quando leggo di cose di cui non so nulla come faccio a fidarmi? Perché i casi possono essere: o chi scrive non sa le cose e obnubilato dalle credenze o dalle religioni fideistiche, si butta lancia in resta nella sua crociata salvatrice del mondo per conquistare le masse adoranti, oppure le cose le sa ma, perfidamente persegue un disegno economico o di potere e questo è ancora più grave. Altrettanto grave è il comportamento dei giornali che, seguendo l'orientamento della moda o di quello che viene avvertito come sentire comune, danno spazio a questi proclami mettendoli tra le cose serie. 

Ora quando si leggono pezzi ospitati in rubriche fisse su un importante quotidiano italiano che maledicono gli OGM e la legislazione europea che finalmente ne ha sancito la coltivabilità, usando con una serie di distinguo così generici  da lasciare davvero senza parole, subito dopo una premessa in cui ci si dichiara invece a favore di biotecnologie e ricerca, cascano un po' le braccia. Spuntano anche naturalmente i riferimenti a un "business senza controllo nella mani di pochissime potentissime multinazionali". Mancano solo le scie chimiche. Questo in spregio alla realtà del vero potentissimo e molto più enorme business della fuffa del biologico che tra un po' ci troveremo magari a nostre spese nelle mense scolastiche o ospedaliere. Per fortuna l'ironia della sorte ha punito il giornale stesso e l'autore, perché un maligno errore di stampa ha fatto concludere il pezzo con la seguente frase:"Quanto detto basta per dire che gli OGM devono essere coltivati in Italia". Il "non", pensato,  è rimasto provvidenzialmente perso nella tastiera e le scuse con trafilettino in altra pagina del giorno dopo, non hanno fatto altro, come capita in questi casi, che rendere più gustosa la cosa. Altro fatto invece quando a straparlare sono i politici. Qui non conta l'inscipienza, che diamo per scontata, in generale il politico è un foglio bianco che prima (generalmente) si informa di come tira il vento e poi dice le cose che il suo elettorato desidera sentirsi dire. Per lo meno lo stesso giornale ieri ha pubblicato un pezzo di Morandini, ricercatore e docente di Biotecnologie vegetali dell'Università di Milano, che per non rovinare, voglio riportarvi integralmente.

Perché sì agli OGM.
Due giorni fa sul Corriere, Nunzia De Girolamo, avvocato e ministro delle politiche agricole (vi ricordo che il ministero dell'agricoltura è stato abolito con referendum dal poppppolo italiano, nota mia) sosteneva che "gli OGM non sono utili all'Italia. La nostra è un'agricoltura d'eccellenza sana e pulita". Sull'utilità degli OGM per l'agricoltura italiana, i dati della FAO e quelli del ministero raccontano un'altra storia. Dicono che non solo sono utili, essi sono necessari perché importiamo 4 milioni di tonnellate ogni anno di soia transgenica e derivati dall'America Latina, che rendono possibili le produzioni alimentari di cui andiamo fieri come il Parmigiano. Queste importazioni servono infatti a sfamare  milioni di animali (mucche, maiali, polli...) che alleviamo in Italia e che sono cruciali per fare carne, latte, formaggi. Il ministro ha annunciato che farà una norma per vietare la coltivazione di OGM in Italia. La posizione del ministro trasuda disprezzo per la normativa comunitaria (che, ci piaccia o no, è quella che conta), per il contribuente (espone l'Italia all'ennesima infrazione), per la comunità scientifica( a cui è impedito fare prove in campo da 10 anni e che, dopo molti anni, ha ribadito, compatta, la sicurezza dei prodotti transgenici per il consumo e la coltivazione) ed infine per gli agricoltori (a cui impedisce di coltivare le cose che comunque importiamo). Ecco allora alcune domande che vorrei porre a tutti. Può in ministro dire che farà una cosa illegale lasciando che poi i cittadini paghino le conseguenza di un tale atto? E poi chiede l'osservanza della legge ed il pagamento delle tasse? Fino a che punto è possibile mantenere un sistema di menzogna che disprezza la realtà giuridica, scientifica e quella impietosa, della bilancia agroalimentare, sperando solo in un facile consenso? Non è questa una ricetta per il disastro di una nazione?


Io non avrei null'altro da aggiungere.


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mercoledì 26 giugno 2013

La storia di Almaz.



Almaz era nato in un piccolo paese del sud del Khazakistan. Era cresciuto in un villaggio di contadini quasi al confine con l'Uzbekistan, da dove proveniva anche la sua mamma, ragione per cui non era venuto su grande e grosso come suo padre, un Khazako alto quasi due metri con un testone quadrato enorme ed il naso rincagnato come se da piccolo avesse sbattuto contro il muro, ma aveva mantenuto i tratti gentili e minuti degli Uzbeki, anche se i suoi occhi nerissimi mantenevano quel taglio orientale e le lunghe ciglia che rendevano il suo sguardo particolare e ammaliatore. Veramente il suo nome vero era Khadjmurat, ma sua mamma aveva cominciato a chiamarlo così, Almaz, Diamante forse proprio per quelle occhiate irresistibili che lanciava quando passeggiava per il villaggio mostrando magari appuntata al petto la medaglietta del Komsomol. Nel suo villaggio era cresciuto ai bordi dei giardini e sotto gli alberi di mele, bianche e rosse, le più profumate del mondo. Come tutti i suoi coetanei era stato nei campeggi dei pionieri e poi alla scuola tecnica nella grande città vicina e la dissoluzione dell'URSS lo aveva colto mentre cominciava a lavorare per un uomo particolarmente influente che stava emergendo nel bailamme politico ed economico sopravvenuto alla creazione del nuovo stato. Era molto coscienzioso e preciso e questo lo faceva benvolere dal signor Kurjalov, il boss, che spesso lo portava con sé quando andava in giro a controllare le sue attività. Anche se piccolino, quel suo sguardo assieme tenero e misterioso esercitava un discreto fascino su tutte quelle stangone bionde di origine russa che gravitavano negli uffici, segretarie, operaie e inservienti varie, ma anche molte khazake, tarchiate e forti, avevano spesso mostrato un interesse ingordo alle sue attenzioni. Ma lui sembrava piuttosto insensibile a quei richiami, tutto teso ad accontentare i capricci del boss e a guadagnare fiducia nella gerarchia dell'organizzazione.

Così lo accompagnava a vedere il nuovo stabilimento in cui sarebbe stato montato un impianto per imbottigliare bibite gasate, oppure nelle serre enormi dove si sarebbero prodotti i meloni più dolci del mondo, che avrebbero dovuto poi essere lavorati, tagliati ed essiccati a fette, il boss le chiamava le banane di melone, nel vicino impianto. Ogni tanto andavano invece a controllare il procedere dei lavori nell'area fuori città su cui Kurjalov stava costruendo un nuovo albergo, che nel progetto avrebbe avuto tutti quei lussi occidentali che aveva apprezzato con meraviglia andando in Italia, quando era stato in quella città dalle case tutte scrostate, senza auto, con i canali al posto delle strade e le barche al posto degli autobus. Un posto davvero strano per loro che conoscevano solo la steppa e il suo arido gusto di sale. Tante cose nuove difficili da capire, come quando per tutta la notte aveva telefonato ad un numero visto alla televisione nella stanza, ogni stanza aveva un suo proprio televisore moderno e completamente funzionante e un frigorifero pieno di piccole bottiglie di alcoolici, ma così piccole che se le era scolate tutte in un attimo, e intanto non capiva cosa diceva quella ragazza al telefono, che ansimava un sacco, ma non si decideva a venire nella sua camera per fare quello che evidentemente era il suo lavoro, come prometteva dalla TV e al mattino quel costo mostruoso  in aggiunta alla camera. Per fortuna che ci avevano pensato quelli della ditta che li ospitava. Ma Almaz non pensava a queste cose. Almaz vuol dire Diamante e la sua mamma aveva scelto proprio quel nome forse proprio per il bagliore che già appena nato lanciavano in giro quei piccoli occhi neri e curiosi.

No, anche se aveva ormai quasi trenta anni, Almaz non sembrava pensare molto a queste cose, gli premeva di più la considerazione del boss, che ormai accompagnava quasi sempre. Così quando arrivò la delegazione dall'Italia per inaugurare la fabbrica delle bibite, era sempre al suo fianco un po' in qualità di autista, un po' come fiduciario. C'era il Presidente della ditta italiana che aveva progettato e fornito tutti i macchinari, il responsabile dell'Ufficio di Mosca, i tecnici che avevano seguito il progetto e anche la loro interprete italiana. Almaz, che si era messo al fianco del signor Kurijalov la guardava, mentre con spigliatezza traduceva i discorsi ufficiali, rivolgendosi di volta in volta ai due presidenti. Era bellissima, di quel fascino esotico occidentale, quali erano presenti solo le donne dei suoi sogni, minuta eppure morbida negli atteggiamenti e nel muoversi, con quel suo delizioso appoggiar la testa da un lato quando attendeva il suo turno di parlare. All'apparenza timida e riservata, lanciava occhiate qua e là, lasciando trasparire una energia insospettata e la profondità dei suoi occhi davano spazio a promesse non dette, ad un abbandono senza preclusioni verso la persona scelta. Almaz si sentiva battere forte il cuore, era completamente  folgorato. Per un giorno ancora non disse nulla, rimase soltanto in estatica ammirazione della donna che rappresentava per lui la perfezione assoluta, la personificazione del suo desiderio. Il terzo giorno tutta la delegazione si trasferì a vedere l'albergo la cui costruzione era quasi terminata. Kurijalov voleva affidarne il completamento all'esperienza occidentale. L'edificio era venuto su con criteri sovietici e aveva l'apparenza di un'area bombardata da poco.

Muri e piastrelle nuovi ma già sbrecciati, gradini sconnessi, scale sbagliate e soglie di marmo bianco storte e male applicate, tondini di ferro già arrugginiti che fuoriuscivano dalla facciata male intonacata.. Si aggirarono per un po' nell'edificio. Gli occidentali non avevano cuore di dire al boss che sarebbe stato meglio radere tutto al suolo e ripartire da zero. L'interprete traduceva accuratamente i consigli con quella sua voce dolce e la erre arrotata così sensuale. Il segretario prendeva nota e Almaz intanto, dietro, non aveva occhi che per lei, la guardava muoversi, quel leggero ondeggiare delle sua figura flessuosa che promettevano notti bollenti e gli pareva che di tanto in tanto, mentre si rivolgeva ridendo a Kurjalov, guardasse anche lui, anzi forse quello splendido sorriso era rivolto proprio a lui con il delizioso arco delle sue labbra, quasi fosse un invito a farsi avanti. Quella sera, attese che fossero terminate le infinite pridlazhenije che accompagnavano i brindisi, poi terminata la cena, mentre accompagnava il boss, decisamente allegro, tra gli infiniti cadaveri di bottiglie di vodka vuote, ebbe il coraggio di raccontare il suo segreto, chiedendogli di intercedere per lui. Il giorno dopo, mentre passavano dal paese dove Almaz era nato, fece vedere a tutti la sua casa e presentò suo padre che se ne stava seduto in silenzio sulla panca di fianco all'uscio. Chiese scusa, poi si appartò un attimo con lui a parlottare, mentre gli italiani girellavano intorno scattando qualche foto. Si sentì ad un tratto la risata sommessa della ragazza che stava accarezzando due bambini che giocavano nella polvere. Il vecchio alzò la testa in quella direzione e fece un cenno di assenso con la testa. Almaz chinò il capo su cui il vecchio passò una mano lieve, come una benedizione.

Il ragazzo tornò alla macchina e disse a Kurjialov: "Mio padre ha dato l'assenso al matrimonio." A questo punto il boss decise di prendere a cuore la causa del suo uomo fidato. Si era deciso di andare al paese dove sorgeva l'impianto delle serre, per mettere le basi per il progetto degli essiccatoi per le banane di melone prossime  venture. La strada correva diritta lungo la steppa arida; lontane verso sud la catena delle montagne dalle cime innevate. Le auto si fermarono, al fianco della carreggiata, in un grande spiazzo, un gruppo di cavalieri correvano in ogni direzione disputandosi con gran colpi e spallate, una carcassa di montone. Era il buzkashi, il gioco delle campagne che diventa vetrina ed esibizione dell'abilità a cavallo dei giovani del paese. Spinte e colpi proibiti, tutto vale per strapparsi la bestia e portarla, inseguiti dagli altri, al palo per segnare il punto. Kurijalov, forte della sua autorità scese dall'auto e interruppe il gioco, richiamo i capi delle squadre e distribuì loro, con la larghezza di un sovrano mongolo, una gran mazzetta di tenghé, le sudice banconote khazake che circolavano a pacchi, perché mostrassero agli ospiti occidentali il gioco in tutta la sua feroce violenza. Mentre tutti erano sul bordo della strada a guardare il volteggiare dei cavalli e gli strattonamenti per strapparsi l'animale, qualcuno cadeva malamente, altri galoppavano verso il fondo dello spiazzo e tutti gridavano avvolti dal polverone sollevato dagli zoccoli, Kurijalov si avvicinò al Presidente parlottando a lungo.

In soldoni, il suo Almaz chiedeva ufficialmente in sposa l'interprete italiana, di cui si dichiarava perdutamente innamorato. Lui come suo garante, assicurava la copertura di tutte le spese del matrimonio e una congrua dote agli sposi, eventualmente anche l'acquisto di un gregge di proporzioni maestose qualora avessero voluto sistemarsi nel villaggio di origine di Almaz o in alternativa una casetta in città. Bastava che il presidente fosse d'accordo e la cosa si poteva concludere anche subito. Il Presidente preso alla sprovvista cercò di tergiversare assicurando che avrebbe comunque parlato all'interprete della serietà delle intenzioni di Almaz e alla sera in albergo, quando spiegò alla ragazza, completamente sorpresa, la vicenda, le consigliò di tenere un profilo basso fino al giorno dopo, data prevista per il rientro in Italia. Quella sera ci fu una gran festa, la cena di addio e Kurjalov non voleva certo sfigurare di fronte agli ospiti italiani. C'era una orchestra tradizionale e si ballò molto, mentre le casse di Stolichnaja si vuotavano. A un certo punto un suonatore di dombrà si staccò dall'orchestra e si mise davanti alla ragazza che si teneva proprio di fianco al Presidente e cominciò a suonare una melodia struggente.

La canzone doveva però essere divertente e con qualche salace sottinteso, perché tutti ai tavoli si davano gran manate sulle spalle ridendo a crepapelle. Solo Almaz non rideva e seguiva la serenata con gli occhi bassi mentre la ragazza, imbarazzatissima cercava di darsi un contegno continuando a tradurre banalità. Nella penombra delle luci basse i suoi lunghi capelli si muovevano come onde ed i suoi occhi che guardavano nella sua direzione di sfuggita, sembravano ancora più belli. Con molta diplomazia il Presidente prese da parte Kurjalov, per la verità già un po' alticcio, fece presenti le difficoltà della situazione, consigliando di soprassedere e il giorno dopo la delegazione prese il volo, con l'interprete ancora leggermente scossa dall'intera vicenda. Almaz rimase a lungo sulla balconata dell'aeroporto a guardare le ali d'argento che gli portavano via la donna della sua vita. Kurijalov gli sbatté una delle sue manone sulla schiena e con la sua risata grassa gli disse: "Ricordati che le donne ed i montoni li devi scegliere sempre al tuo paese". Un anno dopo arrivò la notizia che aveva rapito, col suo consenso naturalmente e con quello del boss, una bella uzbeka dagli zigomi alti, pare bravissima a fare yogourth di latte di cammella, una fuitina centroasiatica insomma. 


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martedì 25 giugno 2013

Cǎi.

Il carattere 采 - cǎi, è la stilizzazione di un pittogramma antico. Anche nella sua riduzione moderna però, si intuisce ancora il disegno dell'orma di una animale selvatico, un feroce felino, la tigre dei racconti e delle favole sempre presente nella letteratura, nell'arte e perché no, nella politica cinese. Nella parte superiore si notano ancora i segni delle unghie infisse nel terreno, mentre nella parte inferiore le impronte più larghe lasciate dalle parti carnose. Camminare nella foresta cercando di individuare dalle orme, quale che sia l'animale che le ha lasciate, implica il fare una selezione, una scelta, ecco perché nella lingua moderna, l'ideogramma ha assunto il significato di scegliere, selezionare, cogliere tra. Come sempre l'uso di questo per comporre ideogrammi più complessi o parole bisillabe o più, è altrettanto comune. Ecco dunque che se gli mettiamo sopra il segno di Erba, otteniamo 菜 - cài , otteniamo un'erba selezionata, scelta tra quelle comuni e quindi Verdura commestibile in generale, Ortaggio, un vegetale scelto tra i tanti presenti in natura per le sue caratteristiche. Aggiungendogli altri caratteri abbiamo ad esempio con Lista: 菜单 - cài dan, Menù, in quanto un tempo i piatti di carne erano assai rari e la lista dei piatti si limitava spesso ad un elenco di verdure, oppure aggiungendo Luogo pubblico abbiamo per la stessa ragione: 菜馆 - cài guan, trattoria (luogo dove si mangiano piatti di verdura). Se aggiungiamo invece Giardino si ottiene, come in molte lingue occidentali: 菜园 - cài yuan - il giardino della verdure, cioè l'orto. Ma attenzione perché mettendo il carattere di Scegliere sopra quello di Cuore (segno comune a tutte le azioni che alla base hanno i sentimenti) si ottiene: 悉 - xī, che significa Ben informato, cioè colui che sceglie con cura quello che ha bisogno di conoscere e anche Tutto intero, Totale appunto perché il bene informato ha una conoscenza completa di quando vuole sapere. 

Un abbinamento apparentemente curioso si ha invece aggiungendo il carattere di Vento. Otteniamo 采风 - Cài fēng, che significa Collezionare, scegliere canzoni; strano? non tanto, vi ricordo infatti che anche nella nostra lingua Aria ha un significato musicale analogo. Adesso, tanto per capire come attraverso la complessità dei ragionamenti si risale alla costruzione di parole moderne partendo da concetti antichi, ecco una parola addirittura quadrisillaba del cinese moderno: 采访记者 - cǎi fǎng  zhě. Esaminiamola passo a passo e vediamo se ci arrivate da soli. La prima 采 - cǎi, abbiamo detto significa Scegliere, scovare seguendo le orme. La seconda 访 - fǎng - Chiedere, cercare di sapere. La terza 记 - jì - Ricordare prendendo appunti. L'ultima 者 - zhě è un comune suffisso e sta per Colui che. Quindi Colui che sceglie dopo aver chiesto, cercando di sapere e ricordando dopo aver preso appunti. Dunque? Ma è il Reporter, il giornalista di indagine, che, come un cacciatore, segue le orme nella jungla delle cene eleganti, dove magari si cantano Arie scelte e che invece qualcuno, malevolo, tenta di confondere con baccanali orgiastici. Ah, l'antica saggezza cinese, dove all'imperatore venivano date ogni sera 24 giovani bellissime per rasserenarlo e distrarlo dai duri problemi di governo, riporta Marco Polo, cronista informato dei fatti. Eppure non solo nessuno aveva niente da dire, ma, quando si ritirava nella stanza da letto, rimaneva anche uno scrivano (forse il reporter dell'epoca) che annotava dettagliatamente negli annali le prodezze del sovrano, ah la precisione dei cinesi!. Numero, posizioni e soddisfazione delle prescelte, che si possono consultare ancora adesso.  Niente di nuovo sotto il sole dunque. Tempi felici allora, anche perché se un giudice qualunque avesse avuto da dire a proposito, il supplizio delle mille morti non glielo avrebbe levato nessuno!


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lunedì 24 giugno 2013

Traslochi.

Ci deve essere una regola fisico matematica, una di quelle cose che non si possono dimostrare ma che tutti sanno che sono così, in questo momento mi sfugge come si dice, capirete l'età... Un assunto o roba del genere. Che se vai da qualche parte, la quantità di roba che ti porti dietro non dipende dal numero di giorni che stai via, ma dalla capacità del tuo bagagliaio o della tua valigia o del mezzo che usi per lo spostamento. Se si va qualche giorno in montagna o al mare, è sempre la stessa storia. Altro che famiglia Brambilla in vacanza, la macchina risulta sempre essere piena zeppa, bagagliaio e sedili posteriori compresi. Non c'è niente da fare, anzi, la massa sterminata dei materiali, tutti indispensabili alla trasferta, accumulati in corridoio prima della partenza appaiono subito, al primo colpo d'occhio, impossibili da caricare tutti assieme, una sorta di incapienza fisica dovuta alla legge di impenetrabilità dei corpi che imporrebbe degli sfoltimenti dolorosi ma obbligatori. A questo segue una animata discussione su cosa tagliare, pare una seduta del consiglio dei ministri sulla incomprimibilità della spesa pubblica che tutti sanno come va a finire. Ogni taglio è impossibile. Allora deve prendere in mano la cosa, l'ingegnere dello stoccaggio, una apposita figura che nelle grandi spedizioni si prende cura di valutare il carico e di come disporlo nei mezzi di trasporto, facendo a tavolino una specie di layout sulla disposizione delle masserizie che consenta di stivarle al meglio, considerato il volume effettivo disponibile del mezzo. E' pur vero che alla fine, grazie alle capacità dovute ed alla lunga esperienza di detto ingegnere, ci sta tutto, anche se caricato e pressato malamente con grande ira dell'ufficiale in seconda che si preoccupa specificatamente per alcuni colli contenenti cose che non devono assolutamente essere schiacciate, maltrattate o peggio poste sotto le altre, quasi che tutto dovesse essere ordinatamente distribuito su un piano, occupando la superficie di un appartamento di medie dimensioni. 

Per la verità la responsabilità del carico in marina dovrebbe essere del terzo ufficiale, ma da noi questo compito se lo assume, assorbendolo per mancanza di ciurma, il secondo e unico ufficiale della famiglia, che dall'alto della sua autorità detta comunque le regole per diritto divino. Comunque alla fine con la macchina stipata all'inverosimile si parte per il week end. Beh bisogna considerare che la macchina è anche piena di viveri, scatolami e cibarie varie, che verranno consumati o lasciati sul posto per contribuire a formare una sorta di cambusa per il futuro, guerra nucleare o crisi economica arrembante e che quindi al ritorno il bagagliaio dovrebbe essere quasi del tutto sgombro. Clamoroso errore valutativo epistemologico. Al ritorno non si sa come, ma i materiali da riportare a valle saranno ancora maggiori e più imponenti. C'è sempre un motivo valido per ricomprendere nel trasporto, cose dimenticate dalla volta precedente, tutte invariabilmente scomodissime ed ingombranti da trasportare. Eppure negli anni cinquanta, proprio questa era la stagione in cui, finita la scuola, ci trasferivamo in Valle San Bartolomeo dai nonni. Ci si stava quasi quattro mesi, un vero e proprio trasloco, in quella casa non rimaneva quasi niente da un'anno all'altro. Ebbene, questa transumanza avveniva IN BICICLETTA! Io, che essendo piccolino al massimo avevo appeso una borsettina alla mia biciclettina rossa e il mio papà e la mia mamma che avevano borse di ogni tipo davanti e sul portapacchi della ruota posteriore. Cosa mai si poteva portare in quelle cinque o sei borse che pure non impedivano di percorrere i cinque chilometri per arrivare al paese, anche se dovevano essere piuttosto pesanti perché la salitella della Cerca si faceva a piedi spingendo i mezzi di trasporto. Eppure bastava. Forse i bisogni sono cambiati o forse l'assunto di cui ho parlato all'inizio è davvero valido.


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sabato 22 giugno 2013

Chi si rivede: l'aflatossina!

Mais colpito da muffe che producono micotossine. (dal web)

Toh, chi si rivede! L'aflatossina. La cronaca nera impone che per qualche giorno se ne riparli, anche se alla notizia sembra sia stata messa una certa sordina e già oggi non se ne scrive più. Qualcuno dei miei lettori più attenti ricorderà che ne avevo parlato qualche mese fa qui. Riassumendo per i distratti, il raccolto del mais del 2012 aveva incontrato una stagione molto favorevole allo sviluppo delle muffe che producono questo veleno altamente cancerogeno e si poneva il problema di cosa fare di tutto questo prodotto contaminato. Il giorno dopo tutto questo è stato immediatamente dimenticato. I vari "esperti" del ministero dell'agricoltura e i politici che se ne interessano si devono preoccupare piuttosto di come impedire agli agricoltori di seminare il mais OGM che una giusta sentenza europea impone di poter finalmente utilizzare. Cerchiamo di capire cosa può essere successo dunque. Intanto per chi non sa o non si ricorda cosa sono le aflatossine dia un'occhiata qui. Sottolineo solo che queste pericolosissime micotossine, sono prodotti assolutamente naturali che si sviluppano in misura maggiore o minore nei cereali attaccati da vari parassiti, che proliferano, certo in condizioni climatiche particolari o quando non viene fatta una corretta lotta antiparassitaria specifica (quindi è molto più facile che siano maggiormente presenti in prodotti cosiddetti biologici, a parità di condizioni). Visto che l'anno scorso questo è accaduto in maniera molto importante, avevamo in Italia una massa enorme di mais e altri cereali, sicuramente sovraccaricato molto oltre i limiti di queste tossine (come riporta questo articolo del Sole 24 ore). Secondo voi che ne hanno fatto? (Il problema era assolutamente presente e ben conosciuto anche dalla stampa specializzata come riporta questo articolo di Terra e vita dell'ottobre 2012)

Appena la notiziola è scomparsa dal giornale, alla chetichella il prodotto è stato venduto, certo un po' sottocosto, qualcuno avrà avuto la sua convenienza, ad allevatori un po' superficiali, che diciamo, non hanno prestato molta attenzione a questi controlli (d'altronde molti saranno gli stessi che se ne sono fregati delle quote latte, tanto c'è sempre qualcuno che li difende, alla fine è uno stile di vita quello di fregarsene delle regole), i quali hanno prodotto una bella valanga di latte, che ahimé, si porta con sé lo stesso veleno che si è pappato l'animale (che brutte bestie queste aflatossine che madre natura ci ha mandato del tutto biologicamente!).  Questo latte poi a sua volta, sarà stato raccolto da altri distratti produttori, attenti però a far taroccare le analisi da parte dei laboratori che queste cose devono controllare, per lavorarlo e cederlo ad altrettanto disattenti produttori di formaggi. Disattenti sì, ma non del tutto stupidi, in quanto, stando almeno a quanto si legge sui giornali ed emerge dalle indagini, allungavano il latte infetto con latte normale per diluirne almeno un po' la tossicità, ma per non spendere troppo, usavano latte anch'esso non regolare per la presenza di troppi antibiotici (idea bellissima questa della doppia diluizione!). Poi qualcuno ci metteva anche un po' d'acqua, tanto per diluirlo meglio direte voi,  in fondo l'acqua è la cosa più sana tra quei liquidi e poi sono cose che si erano sempre fatte, quando non c'erano tutte quelle balle dei controlli e delle confezioni chiuse e sigillate, che tutti i bravi ecologisti bio aborriscono e che tanto inquinano la natura amica. Questa è una ipotesi di come dovrebbero essere andate le cose, mentre se leggete un giornale crederete di capire che i tizi arrestati, ce le mettevano apposta le aflatossine di notte nel latte, forse per dargli più gusto. 

Nessuno dei giornalai in questione (il giornalista dovrebbe quantomeno cercare di dare una notizia corretta scientificamente)  si preoccupa di segnalare da dove venivano le tossine di cui si parla e di come questo problema, sempre presente in natura, possa essere limitato. Per esempio con l'utilizzo di mais BT, un prodotto OGM che, contenendo parti della catena genetica del Bacillum Turingensis, utilizzato proprio nella lotta biologica ai parassiti del mais, riduce drasticamente il problema delle aflatossine. Un appassionato del biologico a tutti i costi, se fosse solo minimamente informato delle cose, dovrebbe essere il primo sponsor assoluto di questo mais, coltivato per la verità da decenni in tutto il mondo con ottimi risultati. Invece la preoccupazione di questa gente (la stampa e il web sono pieni di articoli deliranti come questo o come questo in cui si parla di task force per un Italia libera dagli OGM!!! in barba ad ogni legge), non è il veleno (naturalissimo) che possiamo trovarci nel piatto, ma come impedire illegalmente, (in quanto la sentenza della Corte Europea è chiarissima) la semina  del mais BT, che, ironia della sorte, proprio nello stesso Friuli, agricoltori coraggiosi come Fidenato vogliono fare, soprattutto per una ragione di principio. La cosa insensata poi è che l'OGM venga accomunato con l'odio verso le multinazionali. Invece la tecnologia per produrre OGM è molto poco costosa, molto meno comunque dei tradizionali sistemi di miglioramento genetico e quindi democraticamente alla portata di qualunque piccolo laboratorio per non parlare della ricerca pubblica. Da noi invece, quando l'ha fatto l'Università della Tuscia, è stato tutto estirpato con un tale violento godimento, un rogo purificatore, da ricordare orridi passati che si pensavano sepolti nella notte delle cacce alle streghe. I giornalai vanno dietro a questa gente perché il teobio è di moda e, cosa più grave di tutto, li stanno a sentire il politici, che in generale se ne strafregano dei problemi, ma sono interessati solo al numero di voti che possono produrre i vari provvedimenti in materia.


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venerdì 21 giugno 2013

Vai a pagare la Tares!

Accidenti, è arrivata la Tares! Una bella sberla, tocca pagare si capisce; però guardando bene la bolletta spunta un errore che mi addebita una cifra superiore al dovuto. Bisogna andare all'apposito ufficio come indicato nella  lettera accompagnatoria, anche se la data del pagamento è scaduta il 15. Mora in arrivo?, Ma no, neanche bionda, in realtà in Italia il ritardo è sempre già previsto e il prolungamento dei termini già insito nella scadenza stessa, che in realtà ha, è vero, una data limite, ma sempre per un buon motivo, variabile di vota in volta, questa è superabile senza danno. Par di leggere tra le righe che la deroga sarà di una quindicina di giorni. C'è un apposito ufficio che si occupa di queste cose, un ex-negozietto in una via del centro. Qui i negozi stanno chiudendo uno dopo l'altro, quindi meno male che ne hanno utilizzato uno per questa bisogna. Beh, il mio sarà uno dei pochi errori o imprecisioni tra le migliaia di bollette spedite, quindi non troverò quasi nessuno. Scarto quindi a priori, l'ora del pensionato, quella antelucana tra le 6 e le 7, in cui il nullafacente per antonomasia va ad occupare un posto nelle code in formazione, ben prima che si aprano gli sportelli. Così facendo, in generale passa molto più tempo in coda, ma ha la sensazione di aver fatto furbescamente prima. Arrivando invece a lavori incominciati, spesso la più grossa si è già smaltita. Svolto l'angolo di Via Guasco e noto con orrore l'assembramento folto davanti alla porta. Cribbio, stavolta devo aver fatto un errore di valutazione. 

Mi faccio largo tra gruppi con le facce scure che parlottano nervosamente tra di loro con differenti toni di voce. Si va dall'acredine sprezzante, alla sicumera classica del so ben io cosa si dovrebbe fare in questo paese. In queste situazioni si potrebbe ben pescare a man bassa, una vera fucina di idee, per risolvere il problema della nazione, altro che commissari tecnici della nazionale, l'Italia è un paese di primi ministri in pectore, con in tasca la ricetta pronta per mettere a posto le cose senza colpo ferire. Riesco sgomitando ad arrivare alla colonnina distributrice del numero di coda. Con orrore mi accorgo di averne davanti 54 e gli sportelli sono solo due, più forse uno interno e misterioso, che di tanto in tanto, forse presosi pietà, apre una porticina misteriosa e chiama un numero. Va bene, in fondo si tratta solo di aspettare. Se fossi in possesso di un e-reader, potrei accoccolarmi da qualche parte e leggere qualche cosa. Ecco perché mi servirebbe l'attrezzo. Bisognerà pensarci. In mancanza, basta mettersi ad osservare intorno lo spettacolo di arte varia che si dipana come un happening continuo. La folla è piuttosto irrequieta e non riesce ad aspettare tranquilla il proprio turno. C'è chi si aggira qua e là come un leone in gabbia, chi cerca qualcuno con cui dividere la mala sorte, chi sbuffa maledicendo il tempo perso che ben in un altro modo avrebbe saputo e dovuto impiegare. 

Ognuno cerca di raccontare il proprio incredibile problema ad un uditorio completamente sordo e già assorto nella sua accidia fegatosa. Tutti hanno l'ansia di raccontare a qualcuno cosa stavano facendo, tutte cose assolutamente importantissime e vitali e che hanno dovuto interrompere per venire qui a sciogliere una matassa ingiusta ed insolubile sicuramente. Ognuno cerca un padre confessore  con cui confidare il proprio terribile segreto, la colpa che è stato costretto dalla necessità a commettere e che ora deve espiare così duramente. Basta buttare lì un eh certo che ha proprio ragione e subito vieni assalito dal racconto dettagliato del fatto e di come tutto ha condotto inevitabilmente al tunnel di ingiustizie a cui si è disumanamente sottoposti. L'interno dell'ufficio è davvero piccolissimo, poche sedie su cui ci stanno al massimo una decina di persone; forzatamente tutti gli altri aspettano fuori in strada, dando un po' la sensazione dell'assalto ai forni del pane. Per fortuna non piove, anzi fa un caldo torrido già alle 10. In effetti nella stanzetta c'è l'aria condizionata e si sta benissimo. Adocchio la prima sedia che si libera, c'è un turn over piuttosto veloce e me ne approprio senza problemi, tanto i più preferiscono rimanere all'aperto, c'è più gente con cui scambiarsi le lamentele. In realtà all'interno c'è un freschino delizioso, molto meglio che a casa mia. Quasi quasi, se ci fosse il wifi, domani vengo qui a passare la mattinata, casa mia è un forno. Ma anche senza niente da leggere, lo spettacolo va avanti, basta stare a guardare. 

Una vecchia cariatide di fianco a me, incartapecorita e con la faccia cattivissima, con una smorfia feroce e la piega della morte sulla bocca, si guarda intorno come se avesse timore di essere infettata dalla folla plebea. Di tanto in tanto lancia il suo mantra al vuoto, tanto nessuno la sta a sentire. Vive al mare, forse in una bara di marmo, da cui esce nelle notti di luna (e su cui già paga IMU e Tares) e non capisce perché deve pagare l'immondizia per una casa che abita pochi giorni al mese. Aspetta da ore e si capisce dalle frasi sprezzanti, quanto si senta lontana da questo mondo di miserie umane. Quando viene il suo turno, viene cacciata subito via. Le tasse si pagano e basta. Mette mano al portafoglio convinta di aver sempre pagato lì, ogni anno quando viene a protestare per l'estorsione. L'impiegato che ci lavora da dieci anni mostra di non averla neppure la cassa. Se ne va convinta di avere subito una grave ingiustizia e che la si voglia far passare per pazza. Un omone grasso e sudato ce l'ha con tutto il mondo e soprattutto con quelli che perdono tempo quando è il loro turno, Guata con ferocia coloro che attendono muniti di borse colme di documenti o faldoni blu da ufficio, inevitabili promesse di pratiche lunghe da svolgere. Gli stranieri sono subito identificabili. Si guardano attorno spaesati, cercando cartelli esplicativi o informazioni inesistenti. Quando tocca a loro, balbettano il loro problema alla meglio. 

Ma c'è subito qualche cosa che non va, mancano documenti, la domanda non è ben posta, non si capisce il problema, dovevano andare prima da un'altra parte. La spiegazione è veloce e un po' ruvida anche senza intenzione, ma si vede subito che il richiedente non riesce a capire assolutamente cosa deve fare, perduto nel ginepraio inestricabile del burosauro divoratore che parla con lingua nemica. Hai capito?  Il malcapitato cerca di ripetere malamente il suggerimento mal digerito, viene di nuovo corretto, poi se ne va con aria dubbiosa e infelice di chi non sa bene cosa fare. I neri sono i più spaesati, parlano poco e se ne vanno subito silenziosi e con la testa bassa. I cinesi sembrano più informati , non capiscono allo stesso modo, ma dalla maniera in cui raccolgono le carte, appaiono più sicuri e decisi e se ne vanno come chi sa a chi deve rivolgersi per risolvere le cose; i balcanici bofonchiano di più, cercano di capire invano, ripetono diverse volte le cose come per afferrarle meglio, poi alla fine rinunciano anche loro come quando ti trovi davanti ad un muro che non si può valicare. Solo gli ispanici sembrano un po' più scanzonati, in qualche modo si risolverà. Una biondina dell'est, si guarda attorno smarrita e chiede alla folla rabbiosa: "Ma non ci è informazione?" 

Viene guardata con compatimento, stringe tra le mani una busta stazzonata, volge lo sguardo qua e là come un naufrago in cerca di aiuto, poi se ne va. Poco più in là, un paio di flaneurs in tenuta da mare, infradito e canotte bossiane, commentano sarcasticamente spaparanzati e con le epe debordanti, sulla efficienza degli uffici pubblici e della poca voglia di lavorare dell'impiegato tipo, argomento in cui appaiono anche fisicamente molto ferrati. In realtà gli addetti sbrigano le pratiche con teutonica efficienza ed anche con una certa celerità, bisogna dire e anche se dalla gehenna antistante si sentono solo reprimende e scherno pieno di disprezzo verso la classe che rappresentano, continuano imperterriti ad avere il sorriso stampato sulla faccia rispondendo con cortesia agli sgarbatissimi approcci dei postulanti, che ad ogni passo pretendono, protestano, alzano la voce, sbattono sfogli sul bancone, alzano gli occhi al cielo come a chiamare i fulmini vendicatori dell'Olimpo. Quando bisogna mettere mano al portafoglio, non ce n'è per nessuno, è come ti strappassero un organo che non vuoi donare, mentre sei ancora vigile. 

Certo l'immondizia te la portano via, ma so ben io quel che succede caro signore, io sto bene attenta quando vengono, sì quando si ricordano di venire, alle sei di mattina, mischiano tutto, altro che differenziata, e io per dispetto sa che faccio? butto tutto nell'indifferenziato, alla faccia loro, che rubano lo stipendio, altro che mio marito buonanima che faceva l'usciere in Provincia e si ammazzava di lavoro! L'ho visto coi miei occhi che fanno solo pasticci e la mischiano apposta e poi la lasciano lì anche 15 giorni e poi intorno è tutto sporco, ha da venì grillo o altre deità di fantasia. Con un calcolo rapido vedo che passano circa 25 persone all'ora, in un paio di orette ecco arrivare la mia chiamata. Anche se l'errore è frutto di una mia dimenticanza comunicativa, tutto si risolve, l'imprecisione è corretta facilmente, tanto a pagare c'è ancora tempo anche se la data è scaduta, tranquillo, vada alla posta col nuovo bollettino con la cifra ridotta. Meraviglia, pago meno dell'anno scorso, ma no signore, questo è solo l'acconto, il saldo arriverà a dicembre e allora non sorriderà più, caro mio, come sa il comune è in dissesto. Esco con la minaccia in essere e vado alla posta, ci sarà solo un'oretta da aspettare, ma intanto anche lì c'è l'aria condizionata e non si sta male.


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giovedì 20 giugno 2013

Notte prima degli esami.

Già sono cominciate le maturità e vedo sul giornale che col calo estivo delle notizie e dovendo riempire le pagine vuote, affidano ai vari scrittori il compito di dire le solite banalità sul tema, diversamente ci sarebbero solo i problemi giudiziari delle solite persone e il calcio d'estate. E chi sono io per sottrarmi a questo obbligo? Abbiate pazienza ma mi sento in dovere di dire la mia sull'argomento, tanto per non parer da meno dei miei colleghi. Dunque in generale la prassi è di tornare a quei giorni di quasi 50 anni fa e ripercorrere le tensioni di quei momenti, condendo la cosa con qualche aneddoto e chiosando con qualche scemenza moralistica e saccente. Come ovvio, se questa è la prassi non posso comportarmi diversamente. Intanto vorrei sottolineare che anche io, modestamente, sono stato tra gli ultimissimi a fare l'esamone su tutte le materie con i tre scritti e i riferimenti degli ultimi tre anni. Pare che sia come una medaglia al valore e ti mette automaticamente su un piano di maggiore autorità, quella del vecchiaccio saccente. In ogni caso questo benedetto esame era davvero come in tutti i tempi successivi, uno spauracchio terrificante e alla fine quello che conta è la temperatura avvertita, non quella segnata dal termometro, che fa sentire il caldo, non vi pare? Dunque i bocciati erano sempre nell'ordine di qualche decina ed i rimandati, sottoposti ad una ulteriore decimazione a settembre anche di più, su meno di un centinaio di maturandi. Una vera strage, che durante tutto l'ultimo anno veniva continuamente ricordata dai vari professori, un memento mori per tenerci allegri ogni qualvolta mollava la tensione. 

Niente sessantotto in vista e teste chine sul libro, guai a contestare qualcosa, sempre giacca e cravattina, magari con l'elastico. Un attuale principe del foro di Alessandria, per dire, fu rimandato a casa a cambiarsi perché era arrivato, uno degli ultimi giorni di scuola, in maglietta. Il preside si metteva piantato a gambe larghe in cima alla scalinata all'ingresso, scrutando quelli che entravano, per caricare di pensi chi varcava la soglia dopo il suono del fatidico campanello. E' finito in una casa di cura per malattie mentali e poi ha fatto una brutta fine, mi pare. La coorte dei bidelli ossequiosi, invece, provvedeva a smistare nelle classi il gregge silenzioso, popolato di ragazzotte tutte uguali in grembialone nero e calzine bianche, che guatavamo con occhio bramoso e rigonfio di ormoni. Comunque una delle poche cose che mi ricordo di quell'anno era che faceva un gran caldo, anche perché allora gli esami si facevano a luglio. Per un certo periodo studiavo coi piedi a mollo nella vasca da bagno, poi abbiamo cominciato il ripasso finale con una compagna di scuola che aveva una casa freschissima e una mamma che a metà pomeriggio ci portava biscottini e castagnole zuccherate. Così siamo arrivati tremebondi alla famigerata notte prima degli esami. Di qui in poi, data l'età i ricordi si fanno nebulosi. Non ho idea su cosa vertesse il tema o la versione di latino o quella di greco. Solo l'orale, in due fasi, materie scientifiche e poi quelle letterarie, mi misero davanti a quella commissione estranea in cui cominciai il mio futuro di venditore di parole. 

Anche qui non ricordo nessuna delle domande tranne un paio di storia dell'arte, perché non c'entravano nulla col programma, quali erano le opere industriali presenti in un museo americano di arte moderna (la Lettera 22, la Vespa e la radio parallelepipeda Brion Vega, allora non sapevamo ancora cosa fosse il design) e su un gruppo di statue in posizioni osé di un giardino di Copenhagen. Non ne avevo mai sentito parlare, quindi dovetti arrangiarmi con la supercazzola che probabilmente fu convincente, così come l'interrogazione di italiano che mi procurò un inopinato 7, tra lo stupore della mia prof di italiano che mi aveva (con giusta ragione) in assai poca considerazione e mi aveva sempre battezzato tra i mediocri della classe. Alla fine non ci fu neppure un bocciato e dire che il classico era ben noto per la sua severità. Forse stava cominciando il periodo di lassismo e noi ne fummo i primi beneficiari. Chissà. Comunque fu di certo una liberazione. Adesso dovrebbe essere il momento del pistolotto finale moraleggiante. Roba sul tipo, la prova che rafforza il carattere, un traguardo raggiunto, l'apertura ad una nuova fase della vita ecc... Ma io direi che va bene così, a questo ci pensano già i miei colleghi, io vado a fare la coda per contestare la bolletta dell'immondizia, che mi sembra un bel modo per passare la mattina. A domani, se ne esco vivo, ieri erano fin fuori della porta.


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martedì 18 giugno 2013

Rosso ciliegia.



Per la serie dell'incontentabilità, adesso fa caldo, si suda e non se ne può quasi più. Inoltre è anche tempo di ciliegie, frutto delizioso quando si raccoglie dalla pianta, un po' meno quando ne compri una vaschetta a prezzo di affezione e quelle di sotto sono già un po' marce. Quando andavo per campagne a certificare grano da seme (le sementi si comprano da chi seleziona i semi, da decenni perché conviene farlo, non come pensano quei disinformati per non usare parole pesanti di slowfoodisti, per non parlare addirittura di gente che siede impropriamente in Parlamento mentre il loro posto sarebbe una guardiola di portineria e che parlano davvero a vanvera), questo era il momento di fermarsi ai bordi dei campi ormai dorati, con le spighe ancora ritte verso il cielo. C'era sempre qualche grande pianta ai cui rami più bassi appendersi per staccare le sferette vermiglie, rosso chiaro che crocchiavano in bocca quando le mordevi o quelle scure, rosso sangue, più morbide dolci e succose. Non era ancora S. Giovanni, quindi mordevi tranquillo senza il timore di ritrovarti in bocca l'ospite inatteso, se pur erano sempre proteine nobili. Anche a mio papà piacevano un sacco le ciliegie. Lui che, da giovane, faceva l'elegantone e gli piaceva andare con gli amici a passeggiare in corso Roma, anche in giugno col vestito chiaro, pantaloni col risvolto ed Borsalino grigio con la banda scura, aveva invece col passare degli anni maturato una passione per la campagna e per l'orto che coltivava con passione. 

Gli piaceva misurarsi con la terra, piantare pomodori, zucchini e fagiolini, rimirarseli mentre crescevano e poi godere nella fase della raccolta, quando arrivava a casa in bicicletta con le borse piene. Che soddisfazione provava nel mostrare quei pomodori cuor di bue, così grossi e gonfi che sembravano scoppiare, tanto erano duri e carnosi. Un lamentarsi di facciata per la fatica a vangare il pezzo di terra neppure tanto piccolo e poi il tempo speso a bagnare, quegli infiniti secchielli di acqua portati dalla pompa al campo, finché non gli comprai una semplice gomma da spostare più comodamente. E poi c'era quella pianta di ciliegie che a giugno faceva chili di maestosi duroni neri e morbidi. Ne era ghiottissimo, ma sceglieva apposta i più belli e li metteva da parte per me, fino a quando nell'orto non ci poté più andare, con gran rimpianto. Certo la verdura non aveva più lo stesso gusto ecc. ecc. e via con  la consueta litania degli amarcord colorati di rimpianto.Così alla stagione, specialmente alla fine gli compravo quasi tutti i giorni delle belle vaschette da mezzo chilo, che lui si pappava golosamente mentre con l'occhio rimaneva un po' perso nel vuoto a pensare a quella pianta ormai lontana nel tempo e nello spazio. L'ultima vaschetta che gli portai a casa, non fece tempo a mangiarla, rimase lì a marcire mentre lui cominciava un altro viaggio.


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lunedì 17 giugno 2013

Decreti per il popolo? Elementi di economia politica 10.


Ieri l'annuncio. E' stato partorito un decretone, così pieno di provvedimenti che rispondono ai desiderata che il mondo economico chiedeva a gran forza, da essere accolto da un plauso generalizzato, in particolare per quelli rivolti alle richieste più populistiche e sentite dalla folla, quasi che si volesse dire: ecco qua facciamo ciò che ci chiedete per il solo fatto che li chiedete, grilli impazziti compresi. E tutti in coro a dire che, anche se ancora non è molto, almeno sono state fatte cose di cui si sentiva forte necessità dalla base. Tra tutti il tarpare le ali ad Equitalia e l'impedire il pignoramento della prima casa. Qualcuno forse non è contento? Cosa c'è di più odioso della piovra insaziabile, dello sceriffo di Nottingham che succhia il sangue ai poveri e della deprivazione dell'intoccabile Grahal che in Italia è la prima casa? Il fatto è che bisognerebbe avere almeno la capacità di andare al di là del baccanale che si scatena quando si ghigliottina il potente di turno e la folla urla e schiamazza sotto il patibolo. Bisognerebbe almeno avere la forza di pensare che, siccome ogni provvedimento produce un effetto naturale, è bene capire quali saranno in generale le conseguenze di questi atti e capire se sono un bene per il paese ed anche per coloro stessi verso i quali sono diretti. Esaminiamo il primo. Equitalia è un ente pubblico incaricato della riscossione delle imposte secondo le leggi ed i regolamenti dallo stato, che semplicemente applica al fine di svolgere la funzione per cui è stato creato e che non decide in alcun modo la loro entità o modalità di prelievo. 

Il poppppolo ululante dimentica che nel nostro paese è sempre stato difficilissimo riscuotere le tasse, anzi ci sono stuoli di consulenti ed azzeccagarbugli che studiano, attenzione, non per gli evasori, ma per quelli che le tasse le pagano, ogni sistema lecito per pagarne il meno possibile, dilazionarne il pagamento o studiare la strada per rendere il più difficile possibile la riscossione stessa, attraverso il complesso sistema dei ricorsi e così via, tanto è che anche nel recente passato, la scoperta dell'evasore più infingardo veniva poi vanificato dalla difficoltà di esigere il maltolto, dovendo nella maggior parte dei casi addivenire ad una transazione delle cifre evase per poter recuperare qualche cosa. E' questo sistema, unito ai condoni sistematici che ha incentivato al massimo la forte evasione italiana. Poi, saggiamente, è stata studiato un sistema di sanzioni pecuniarie e modi coercitivi che riuscivano, in parte eh, non facciamoci illusioni, a rendere un po' meno conveniente il traccheggio, migliorando notevolmente il recupero delle somme, di chi non paga intendiamoci, perché chi fa il suo dovere, di problemi non ne ha affatto. Il tutto con un costo di esazione attorno all'8%, che rimane comunque ad una società dello stato. Orbene, di certo tutto è migliorabile e le storture esagerate devono essere corrette, ma il partito o i partiti dell'evasione, che sognano un paese dove chi può evade alla grande alla faccia di chi viene spolpato alla fonte, che giustificano comunque l'evasione in quanto vista come vessazione gratuita e comunque sempre esagerata a prescindere, vedono come fumo negli occhi ogni sistema che riesca a riscuotere con efficienza, così come i controlli a tappeto agli infingardi dello scontrino, che invece hanno mostrato una efficace deterrenza e hanno lavorato a fondo per screditare e distruggere le basi fondatrici del sistema Equitalia, sostenuti non si capisce bene perché, anche da forze nuove e rivoluzionare che casomai dovrebbero volere proprio il contrario e cioè che le tasse le pagassero tutti. 

Distruggere dunque Equitalia tarpandone le possibilità di esazione (sanzioni, more e così via) sostituendola con i privati, che non si capisce in base a cosa, dovrebbero essere più a favore del cittadino. Più efficienti? Ci sono già i primi risultati. In provincia di Alessandria, di poco tempo fa la notizia che una Agenzia di esazione privata è sparita con milioni di euro incassati. Sempre in provincia una nuova entità privata comunale costa un prelievo del 30% su quanto incassato invece dell'8% del precedente vampiro. Una efficienza davvero non comune. Quanto alle regole eliminando o minimizzando la sanzione di mora, vedremo quanti si decideranno a pagare il dovuto se potranno decidere di pagare tra dieci anni la stessa cifra di oggi. Un grande risultato per la lotta all'evasione. Complimentoni. Veniamo all'altro provvedimento, certo di natura morale e sociale. Con che cuore togli la prima casa a chi non può pagare i suoi debiti? Verissimo. Veniamo alla naturale conseguenza. Vi faccio una domanda. Mi sapreste indicare il nome di una qualunque banca, finanziaria, ente erogatore, che ad una coppia che si presenterà da adesso in avanti a chiedere un mutuo per comprarsi un alloggetto, presterà loro soldi sapendo che se per qualunque motivo, costoro decideranno di non restituirli, non potrà rivalersi su nulla? Qualcuno di questi mutui verrà ancora stipulato? La regola economica prevede che chi chiede soldi a prestito dia una qualche garanzia che lo restituirà. Quello che ha provocato il disastro di questi anni è da tutti indicato con sicurezza nella bolla dei mutui subprime, che significa, se qualcuno lo ha dimenticato, che i soldi venivano prestati anche a chi aveva poche possibilità di restituirli, pur avendo come garanzia la casa stessa. Pensate un po' chi presterà soldi senza avere neanche questa garanzia. Forse voi? Con questo decreto si uccide definitivamente il settore dei mutui, un'altra mazzata al settore immobiliare già agonizzante. Proprio nello stesso decreto che si propone di aiutarlo e farlo ripartire. Eppure tutti applaudono. Davvero difficile da capire. Come sempre la serietà non paga.


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