lunedì 30 aprile 2018

Etiopia 7 - Nella valle dell'Omo




Le notti africane sono sempre tranquille e buie. Questo mondo è più vicino al ritmo della natura, non tanto per volontà, ma per  condizioni oggettive. Il calare del sole segna comunque condizioni di oggettiva difficoltà, le luci sono fioche, quando non scompaiono del tutto ed anche le voci tendono automaticamente ad abbassarsi. Così le attività tendono poco alla volta a limitarsi fino a chiudersi con qualche sbadiglio, inattesa che le condizioni ne consentano la ripresa. I mercati si fermano, qualcuno comincia il lungo cammino sui bordi delle strade per tornare al proprio villaggio; le donne, dopo aver pensato all'acqua, nei doveri del pomeriggio, siedono accanto al fuoco per aggiustare la cena agli uomini della famiglia, prima di gettarsi stanche su un giaciglio preparato sulla nuda terra o nel retro dei bugigattoli dove hanno offerto durante il giorno delle povere merci. Anche i rumori sono fiochi, quasi un borbottio di un organismo che ha rallentato i borborigmi che digeriscono la giornata. Il respiro della notte africana è pesante; dove fa troppo caldo avrai la dannazione altalenante tra il sudore che ti fa rivoltolare continuamente e gli insetti che la popolano, dove la quota la rendono fresca, troppo fresca, l'insaccarti in stracci e coperte non ti salverà da una tossetta catarrale continua e fastidiosa. E' ancora buio pesto quando il canto del muezzin rompe la tregua non dichiarata; dura poco, ma basta a metterti in quel dormiveglia antipatico che prelude l'attesa della prima luce rosata che colora l'oriente. 

Il falegname
Man mano che si procede verso sud le cittadine si diradano fino a scomparire, lasciando il posto a paesi o alle case sparse degli allevatori. La strada ormai è diventata una pista piena di buche che la pioggia della notte ha riempito di fanghiglia rossa. Ormai il confine con il Sud Sudan è vicinissimo, non più di una ventina di chilometri. Solo un paio di decenni fa queste zone erano quasi prive di popolazione, tranne le tribù che vivevano negli impervi villaggi della valle dell'Omo. Ora diverse aree si sono trasformate in grandi campi profughi che circondano la pista quasi soffocandola. Decine di migliaia di persone in fuga dalla guerra fuggite nella povertà assoluta, arrivando da una povertà ancora maggiore sulla quale, per buon peso, aveva su di sé anche il gravame delle violenza delle armi. Tutto questo ha creato insediamenti di baracche ammucchiate in cui la gente sopravvivendo ha creato una economia di sopravvivenza che comunque consente di vivere. L'adattabilità dell'essere umano è qualcosa di straordinario e ad ogni incrocio, ad ogni traccia di sentiero che entra nella boscaglia, vedi attività di ogni tipo che muovono merci povere e prodotti di una agricoltura miserevole. Si vende la carbonella, il carburante africano per eccellenza, la legna che fornisce il bosco, quella a pezzi da ardere e quella in lunghi pali, per fare case o elevare costruzioni. In un cortile tra le baracche dai tetti di lamiera, un embrione di falegnameria ha preso vita; tutta una famiglia è all'opera per squadrare assi, tagliare tavole e poi qualcuno che si adopera nei lavori più fini, intagliando fregi e ornati, su frontali di porte o testiere di letti. 

Il mercato di Megganteo
Lalo esamina il lavoro con interesse personale. Visti i prezzi, che sembrano piuttosto convenienti e la qualità del legno, quasi quasi prenota le sei porte che gli servono. Eh già, col lavoro di guida, qualche soldino riesce a metterlo via e la sua nuova casa sta vedendo su bene, anzi si può dire che il più è fatto, mancano appunto le porte e quando passeremo dalla sua città, ci porterà a  vedere a che punto sono i lavori. A Megganteo, un po' più avanti, è il giorno del mercato del bestiame, uno dei più affollati della zona. La parte centrale dedicata agli animali, a metà mattina è ormai piena di bovini dalle corna maestose che muggiscono ammucchiati in un recinto dentro il quale si affollano i pastori proprietari ed i compratori. Li distingui subito, i primi stanno fermi in capannelli appoggiati ai loro lunghi bastoni mentre i secondi si aggirano qua e là guardando con occhio critico gli animali, qualcuno tasta i punti critici per capire se la quantità di grasso assicuri la buona salute e il valore del capo; altri sono già nella fase di contrattazione con i consueti stilemi del dispregio o della magnificazione della merce in oggetto che si accoppia subito al tira e molla del prezzo, che quando comincia a trasformarsi in numeri, già capisci che si concluderà pressappoco nel mezzo, a quella cifra a cui non bisogna mai arrivare affrettatamente pena il fallimento della trattativa. Da un lato le cose sono già concluse e occhi attenti seguono la conta delle banconote sudice e quasi illeggibili che alla fine passeranno di mano. 

Pastori
A fianco la frutta e la verdura. Questo è un mercato abbastanza povero e non ci sono neppure i banchi, ma le merci sono esposte a terra su stracci e stuoie. Le donne che arrivano dai villaggi vicini le hanno disposte in mucchietti ordinati, che anche l'occhio vuole la sua parte e la merce meglio esposta ha più probabilità di essere comprata. Fasci di canna da zucchero attirano soprattutto i bambini che ne ottengono sempre qualche pezzo da rosicchiare. Il mercato è affollato soprattutto di genti delle tribù che hanno camminato per ore nella boscaglia per arrivare fin qui e qui si mescolano in un bailamme di dialetti diversi e acconciature che ne distinguono i tratti caratteristici. Karo, Mursi, Aninak, Minat, Hamer, Nyangatom e molti altri mescolano i colori delle loro pelli, in tutte le sfumature che arrivano fino al nero più cupo, con le acconciature dei capelli, e le vesti di pelli di animali. Naturalmente quello che più colpisce sono i segni del corpo che la tradizione impone alle donne, dalle scarificazioni rituali, ai labbri o ai lobi delle orecchie enormemente deformati. Anche i capelli e gli ornamenti distinguono nettamente una popolazione dall'altra che in questi punti di incontro si mescolano sfiorandosi, ma senza avere mai un vero contatto, marcando anzi una rigida separazione etnica. Le donne si affollano di più attorno alle zone dove vengono offerte magliette, scarpe e ciabatte, oltre ai monili artigianali che qualche imbonitore mostra con il piglio di un Dulcamara da paese. 

Giovane Surma
Vanno molto le croci ortodosse, quadrate, di legno o di metallo, coi quattro bracci uguali che molte portano legate al collo con un piccolo laccio nero. I prodotti offerti sono davvero poveri e minimali, oltre a parecchio usato, rivedo i tarocchi più ingenui che potevi trovare qualche decennio fa nell'Oriente più misero. Magliette e scarpe griffate Daidas o Abidas e addirittura profumi coi nomi storpiati. Che tenerezza! Ci fermiamo a Dimma a mangiare un'injera, tanto per cambiare. Sotto la tettoia tra le sedie di plastica colorata, una panca con una tovaglietta a quadretti sostiene il gran piatto di alluminio su cui è stesa la piadina ricoperta di fagioli in salsa rossa, molto piccante, le lenticchie in salsa gialla sanno di curcuma e zenzero e sono più mangiabili, un po' meno aggressive al palato. Ancora un'oretta di pista e arriviamo a Tulkit, un gruppo di case lungo la strada principale in terra battuta che sta al centro della regione popolata dai Mursi, una delle popolazioni più interessanti della valle dell'Omo. Qui scendono in parecchi dai villaggi e un giorno alla settimana si svolge anche un affollato mercato. Di norma il paese è poco popolato e costituito soprattutto di locali, negozietti, osterie e altre attività commerciali che si sono concentrate qui proprio per servire ai tanti villaggi che sono sparsi tra le colline. Un ragazzo Surma ormai in jeans e maglietta ci accompagna per il paese, per scoprirne i punti più particolari. 

La carriola
Dai dintorni arrivano pastori isolati e uomini nudi coperti soltanto da un lungo mantello blu nel quale si avvolgono durante la notte. Il lungo bastone li identifica come allevatori anche se non sono assieme alla loro mandria, che pascola da qualche parte nei dintorni. Qualcuno ha a tracolla un kalashnikov, arma consueta da queste parti. Finiamo in un locale affollato di ragazzi giovani che bevono vino di miele e birra locale. Sono tutti piuttosto gentili e ci fanno spazio sulle panche, chiedendo da dove veniamo ed i nostri nomi. Qualcuno offre da bere. Sembra che nei prossimi giorni in paese ci sarà un combattimento coi bastoni, lo sport di questo popolo che consente ai giovani di mostrare il loro coraggio e scatenare un po' la propria aggressività, anche le ferite che vengono provocate dalle bastonate, specialmente sulle gambe possono essere piuttosto profonde e gravi. Ma nessuno si sottrae a questo rito, sarebbe davvero una cosa disdicevole e le gambe rotte non si contano. Un ultimo brindisi poi prendiamola strada della collina verso il villaggio a qualche chilometro dove è previsto di fermarci per la notte. Le nuvole sono grigie e piuttosto gonfie, se pioverà molto potremmo anche rimanere bloccati lassù. Il terreno non è permeabile e si formano subito grandi pozze di fango in cui la macchina rischia di impantanarsi. Lalo guarda il cielo con occhio esperto e assicura che non dovrebbe piovere, per lo meno non troppo. Se non lo sa lui che è di queste parti!
Mangiando l'injera

SURVIVAL KIT

La valle dell'Omo - Questa area a sud del paese al confine sudoccidentale tra Sud Sudan e Kenia, è particolarmente isolata e priva di strutture, pur avendo un certo flusso turistico (non illudetevi di arrivare in luoghi dove l'uomo bianco è sconosciuto, dopo Bottego e da quando ci è venuta Leni Riefenstahl, la regista delle parate hitleriane a fare foto, è cominciata la processione) è area in cui bisogna avere un certo spirito di adattamento. In ogni caso è una zona che non è possibile visitare in autonomia, intanto perché non si saprebbe dove andare, i villaggi sono sparsi sulle colline e raggiungibili con piste praticabili sono con 4x4 e in ogni caso bisogna essere accompagnati da qualcuno appartenente alla tribù per essere ammessi nei villaggi. In ogni paesetto c'è una specie di ufficetto dove stazionano le "guide locali" obbligatorie. In alcuni casi è obbligatorio l'accompagnamento da parte di una guardia armata, non è ben chiaro per quale motivo, ma potrebbe essere per dare un po' di lavoro in più. Nella vasta regione vivono decine di tribù e gruppi etnici, che mantengono tradizioni antiche di particolare interesse, sia per quanto riguarda le cerimonie che le pratiche per l'ornamento del corpo, dalle pitture, alle scarificazioni o ad altre pratiche cruente e che rappresentano l'interesse primario che conduce ad esplorare questi luoghi.

Mizan - Tulkit - 170 km

Canna da zucchero



domenica 29 aprile 2018

Etiopia 6 - Mizan


Local Beauty

Al mercato
Mentre la strada scende verso sud ovest,si comincia a perdere quota. Dai grandi altopiani centrali che oscillano tra i 1500 e i 2000 metri, il terreno declina con una serie di colline attorno ai mille metri. Cambia il clima, improvvisamente più caldo e umido e intorno a noi aumentano il verde e gli alberi, in una natura improvvisamente più rigogliosa e "africana", accomunata col precedente territorio soltanto dal colore rosso della terra e dal fango al limite della strada, segno inequivocabile che sta cominciando la stagione delle piogge, che ha il risultato inevitabile di rendere quasi impraticabile la maggior parte delle strade di tutta l'area, isolandone spesso per giorni o settimane, i villaggi dispersi appena pochi chilometri dalle strade principali. Continuamente tocchi con mano che questa è una terra difficile sotto molti aspetti, climatologia, altitudine, collegamenti, rifornimenti e molto altro. Qui le case "moderne" sono più rare e prevalgono villaggi antichi con le capanne di paglia rotonde, raggrumate a gruppetti attorno a cortiletti delimitati da rovi spinosi successivi, dove ricoverare la sera, il bestiame al pascolo. Tuttavia anche in queste lande che forse un tempo erano assolutamente desolate e spopolate, puoi vedere una densità abitativa notevole. 

Canna da zucchero
Bisogna sempre ricordare la vitalità di questo continente disgraziato, che nonostante guerre, carestie ed emergenze sanitarie che lo hanno decimato, ha comunque più che quintuplicato i suoi abitanti in meno di un secolo. L'Etiopia, uno dei paesi più poveri del mondo, ha felicemente superato oggi i 100.000.000 di abitanti, con una progressione che appare inarrestabile e che di certo solo un vero e tangibile miglioramento delle condizioni socioeconomiche, potrà limitare e ridurre. Il segno chiaro sono i numerosissimi gruppi di bambini di ogni età che si muovono sparsi lungo le strade ed i sentieri in vicinanza dei villaggi e dei centri più grandi. E' quasi metà giornata e nelle scuole di ogni ordine e grado, quasi tutte poste appena fuori dai centri, c'è il cambio di turno, imposto proprio dal sovraffollamento. Una istruzione di base teoricamente fornita a tutti, anche se le scuole vere quelle che ti promettono l'ascensore sociale, sono per la maggior parte private e a pagamento. Tuttavia bisogna rilevare che l'istruzione nelle università statali viene garantita anche ai non abbienti e nei vari campus, agli studenti vengono forniti vitto, alloggio e libri gratuitamente, sotto forma di prestito che verrà prelevato dagli stipendi dei futuri sei anni. 

Mizan Teferi
Un altro aspetto che noti visivamente nell'attraversamento dei centri abitati è l'appartenenza religiosa degli abitanti costituita dagli abiti delle donne. La maggioranza cristiano ortodossa porta larghi scialli bianchi, mentre le mussulmane, penetrate nel paese in tempi recenti sono spesso velate quando non portano addirittura un niqab nero che scopre solo gli occhi, qualcuna addirittura esibisce i guantini. Piccole moschee sorgono accanto alle grandi chiese della tradizione e mi viene assicurato che per il momento non ci sono attriti evidenti. Di tanto in tanto, ed è capitato più volte durante il viaggio, incontri immense processioni di persone completamente coperte di bianco che attraversano un paese dirigendosi verso un punto imprecisato della campagna. Si tratta di funerali, tanto più affollati quanto maggiore era l'importanza sociale del morto. Tutti seguono in silenzio la bara portata a spalle. Anche al ritorno, la processione si disperde molto lentamente come se la comunità volesse rimane ancora un poco stretta nel ricordo di chi l'ha lasciata. Raggiungiamo abbastanza velocemente la cittadina di Mizan Teferi, disposta lungo tre o quattro vie principali sterrate su un costone che domina una valle successiva. Si tratta soltanto di 220 chilometri e anche se la strada è tutta un buco si arriva per l'ora di pranzo. 

Il ristorante dell'alberghetto è chiaramente il ritrovo dei benestanti locali, gruppi di amici e amiche e coppiette in cui l'accompagnatore cerca di fare colpo sulla ragazza, adeguatamente truccata per la festa, ed è affollatissimo a tutte le ore. Qui viene servito di tutto, anche diversi tipi di carne bovina e di pollo, nonostante siamo in periodo di Quaresima, che impone il veganesimo diffuso e diversi giorni di digiuno in particolare al venerdi. Certo non è un obbligo, ma in generale nei ristoranti trovate solo injera fir fir, la crepe di cui già vi ho detto con una mestolata di wat, uno stufato vegetale di legumi vari e lenticchie con diversi gradi di speziatura. Qui invece è disponibile anche il tibbs, frammenti sminuzzati di carne bovina, per la verità molto coriacea, serviti su un piccolo braciere sfrigolante. Ad un tavolo vicino un dongiovanni ammiccante fa il cascamorto con una fata dall'acconciatura complessa che si ritrae con sorrisi complici, mentre ordina un cocktail dall'apparenza mefitica, costituito da una bottiglia divino dolce, una birra e una Coca, mescolati con cura dal cameriere complice, dentro una caraffa di plastica che poi la coppia si scola golosamente. Pare che qui sia la bevanda di tendenza. Un giro al mercato consente la misura della povertà assoluta delle merci disponibili. 

Mercato dei vestiti
Una sosta alla locale Telecom per fornirsi di una Sim etiope, fornisce una ottima occasione per misurare il funzionamento della macchina burocratico amministrativa. Intanto devi subito prevaricare una lunghissima coda di gente in religiosa attesa di ottenere udienza dagli impiegati e dai vari addetti, ma in quanto faranji, sembra che si abbia una prelazione indiscussa e pure attraverso step successivi, riesci ad accedere all'ufficio che dispensa i bramati contatti con la rete. Il costo è minimo, 30 birr, un euro, ma la pratica di registrazione con passaporto e la serie di incombenze richieste necessitano un certo tempo e diversi passaggi. Naturalmente non sono dotati della Sim della corretta dimensione per il mio cellulare, ma niente paura, in questi paesi tutto nella pratica si risolve. Infatti appena fuori, un baracchino del mercato, al servizio dell'utente che vende anche i cartoncini con i PIN per ottenere traffico (un altro euro), dispone di una apposita fustella su cui tranciare la Minisim per trasformarla in Microsim e renderla utilizzabile nel mio apparecchio. Naturalmente poi il tutto non funziona affatto e non si riesce in alcun modo né a telefonare, né a collegarsi. Poco male, tutto viene preso con naturalità. Potrebbe essere la rete che non funziona, o il mio apparecchio, o la Sim stessa naturalmente, si vedrà nei prossimi giorni, no problem. Intanto Lalo va a comprare i materassi che ci serviranno nei prossimi giorni, quando anche l'alberghetto che al momento sembra così basico, scomparirà del tutto.



SURVIVAL KIT

Al lavoro
Salayish Hotel - Mizan - Pare sia l'unico hotel accettabile, comunque discreto per una cittadina che non dispone di strade asfaltate. La parte migliore è il bel giardino del ristorante (piatti principali attorno ai 150 birr), dove potrete mangiare, avere la colazione e bere una bibita osservando i clienti che vogliono stare nel luogo evidentemente più trendy della zona. Le nostre camere al primo piano (attorno ai 300 birr) che davano sul cortile erano molto piccole e con molti malfunzionamenti di luce ed acqua, caratteristica però comune a tutti gli alberghi del paese. Dotazioni basiche e wifi solo teorico. Spesso va via la corrente. Comunque non lamentatevi che troverete di molto peggio.

Gimma -Tizan - 220 km

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venerdì 27 aprile 2018

Etiopia 5 - Jimma




Beauty salon per uomo


Chiacchierando
Jimma è la classica città africana anonima, priva di caratteri distintivi che la facciano identificare tra le altre. E' una delle principali città dell'Oromia, la regione di Addis che arriva fino al confine sud con il Kenia che, per la verità negli ultimi tempi ha avuto un po' di problemini politici, tanto che durante la nostra permanenza era in vigore lo stato di emergenza a causa di disordini che hanno causato la morte di parecchie decine di persone di etnia Oromo. Tanto per capirci in tutta la regione è stato spento internet, segno dell'importanza politica che ormai riveste questo mezzo. Per la verità, non abbiamo avuto modo di avvertire nessun problema e non abbiamo neache visto militari e posti di blocco tipici di queste situazioni; in ogni caso durante il viaggio è stato eletto un nuovo presidente del consiglio, appartenente a questa etnia, dopo che il vecchio si era dimesso proprio a causa di questa crisi e le cose sembrano essersi calmate, tanto che al nostro ritorno lo stato di emergenza è stato tolto e internet riacceso. L'unica conseguenza tangibile di questo stato di cose è stata l'impossibilità di soggiornare al previsto Hotel Lalo, proprio a Jimma, perché era stato distrutto dai manifestanti il mese precedente il nostro arrivo, come simbolo del potere evidentemente. 

Al mercato
Anche in quello dove eravamo ospitati, c'erano un paio di vetri rotti dalle pietrate, ma in via di sostituzione. Tuttavia vorrei tranquillizzare tutti quelli che programmano un viaggio da quelle parti, che i problemi sono rientrati e adesso tutto è tranquillo anche in questa regione, almeno perquanto lo possono essere gli stati africani, in cui gli attriti etnici e tribali, covano latenti per anni. La città tuttavia è sempre ricca della confusione e del sovraffollamento consueto. I negozi espongono le merci fin sul marciapiede, occupati quasi completamente da esposizioni di mobili, materassi (vi ho già detto mi pare che questo è un bene tra i più gettonati del mondo) e sfilate di manichini steatopigi che evidenziano l'ultima moda africana. Altrettanto numerosi sono i beauty salons, data la grande importanza attribuita dalle donne africane e non solo, infatti anche gli uomini ci tengono parecchio alla elaboratezza delle acconciature. Il nostro conduttore deve soltanto preoccuparsi di acquistare alcune attrezzature da campeggio che ci verranno utili più a sud e delle gomme nuove visto che due sono già andate sulle prime piste che abbiamo trovato. La notte a Jimma è tranquilla, anche se la quantità di caffè ingurgitato durante la giornata impedisce di assopire rapidamente le stanche membra, maciullate dalla strada disagevole e tutta curve che scende dall'altopiano centrale verso le zone più basse del paese. 

L'injera al ristorante
Ripartire il mattino dopo non ti farà rimpiangere la città lasciata indietro. I paesaggi riprendono larghi e maestosi, fatti di montagne antiche corrose dall'acqua e dal vento, anche se in questa stagione, una certa qual umidità sempre presente nell'aria non consente una vista netta e precisa che arrivi fino al fondo delle valli  e tra le cime lontane, cortine e sfondo nella vastità sconfinata che ti si para dinnanzi. Anche se questa che piega a sud è pur sempre una via nazionale, l'asfalto, dove c'è, rimane comunque disastrato, ondulato come sciolto da un calore insopportabile, con buche dove la macchina affonda implacabile, in sobbalzi spacca schiena. La strada poi, come è prassi costante in questo continente, è perennemente occupata da un numero impressionate di gente in movimento verso tutte le direzioni o in sosta ai fianchi o meglio in mezzo alla strada stessa, per cui guidare è una avventura continua, uno slalom forzato tra buchi e ostacoli in movimento. Se non ci sono gli uomini, la sede stradale è occupata dagli animali, mandrie complete di bovini piccoli, ma dalle corna maestose, oppure armenti numerosissimi di capre o pecore dalle grasse code penzolanti. L'altro animale che incontri più frequentemente è l'asinello, piccolissimo, poco più grande delle capre, grigio, dal grande muso intelligente e peloso come il Platero del romanzo omonimo. Sono, assieme ai dromedari, i grandi trasportatori del paese in barba a tutti i camion, che trovi spesso abbandonati lungo le strade o in fondo a un dirupo o piegati su un lato dopo che si sarà spaccato un semiasse. 

Dal gommista
Viaggiano a gruppetti spingendosi l'un l'altro col muso, come sapendo già dove andare senza che chi li conduce, generalmente un bambino con un lungo bastone, si affanni troppo a sorvegliarli, controllandoli di lontano mentre seguono il cammino previsto. Nei paesi e nelle cittadine, sono frequentissimi anche i calessini trainati da piccoli cavalli nervosi, che fungono da taxi in alternativa agli onnipresenti tuktuk della Piaggio che hanno invaso definitivamente l'area circostante all'oceano Indiano. Qui sono quasi tutti blu, decorati con croci e altra simbologia liturgica ortodossa, Cristi e Madonne dolenti. L'Africa è sempre perennemente in movimento. E' un popolo errante, abituato dalla preistoria fatta di pastorizia seminomade che imponeva lo spostamento quasi continuo, alla vita attuale, dove sempre i campi o le attività sono comunque lontane, dove la scuola, se c'è, è a chilometri di distanza, dove l'acqua bisogna andarsela a guadagnare trasportando quell'altro simbolo fisso del continente, la tanica gialla da 20 o più litri, leggera all'andata, pesantissima al ritorno. Buchiamo tre volte in pochi chilometri, l'infame gommista ha montato male sui cerchioni i pneumatici nuovi pizzicando le camere d'aria, bisogna ricomprarle. Questa volta il lavoro viene fatto in modo decente e per tutto il resto del viaggio non dovremo più fermarci. Mentre le operazioni fervono attorno ai copertoni, noi ce ne stiamo a uno dei tanti banchetti del caffè che continuamente stanno ai bordi della strada. 

Al bar
Questo è uno dei riti più classici dell'Etiopia. Dovunque tu sia, casa privata, albergo o baruccio en plein air, trovi sempre un baracchino apposito apparecchiato con una serie di tazzine capovolte, su un mobiletto di legno lavorato, mentre tutto attorno già dal mattino è stata sparsa erba appena tagliata che dia l'impressione di pulito e di freschezza. Poi un piccolo braciere colmo di carbonella dove un bricco dalla forma caratteristica sta, leggermente inclinato a sobbollire continuamente. Quando l'infuso è pronto, dal lungo becco viene centellinato nella tazzina, colmandola fino all'orlo e servito agli astanti insieme ad un altro piccolo braciere di terracotta nera, pieno di pezzettini di incenso che fumano. Bisogna ricordarlo sempre, questo è il regno della regina di Saba e del Prete Gianni, la terra dell'incenso che Baldassarre il mago nero, portava in dono al Bambino Gesù. Insomma un vero e proprio rito a cui tutti si sottopongono, un momento di pace, in cui familiarizzare con gli astanti, parlando della giornata che viene, mentre la ragazza che controlla il banchetto, rimesta con cura l'intruglio, denso e nero, corposissimo e aromatico, che aggiusta la bocca, anche se non zuccherato. Si controlla i capelli baroccamente raccolti in treccioline dall'architettura complessa, si aggiusta il velo colorato trasparente che ne copre appena una parte, sorride, fiera di mostrare la sua bellezza a un vecchio faranji. Forse è proprio il caffè delle origini, il rito diventato parte della vita di un popolo, prima che diventasse la bevanda mondializzata di oggi. 

Dalla pettinatrice


SURVIVAL KIT

Confezioni
Hotel Honeyland - Jimma - Dovrebbe essere quanto di meglio offre la città, visto che il Lalo Hotel è in ristrutturazione forzata.  Struttura che era stata evidentemente costruita con l'idea di offrire un certo lusso. Come di consueto in Africa, la maggior parte delle cose non funziona o è rotta e manca totalmente la manutenzione. Le luci quasi tutte spente, lo sciacquone non va, l'acqua va a momenti. Pulizia sommaria. Sui 15 $ la standard, se prenota la vostra agenzia,di più se lo fate voi da straniero, come capita spesso in Etiopia. Il ristorante offre i consueti piatti che troverete in tutto il resto del paese, dall'injera alla pasta al pomodoro. Bel giardino annesso. 



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giovedì 26 aprile 2018

Le colline di Parma


Il duomo di Berceto


Il duomo
Ma quanto sono belle le colline attorno a Parma!!!!! Ma davvero, se hai la fortuna di avere una bella giornata e, diciamo la verità, quella di ieri aveva pochi paragoni quanto a piacevolezza, clima e stagione, ho visto pochi ambienti così accattivanti come quella porzione di territorio che alle spalle della piana ubertosa che si allarga attorno alla città e sale dolcemente con una serie di colli verso l'Appennino fino a confondersi con la Liguria e la Toscana, in un territorio che lega ed unisce le bellezze di quelli di partenza. Lo so, lo so, voi che avete la bontà di seguirmi, avrete già il sogghigno stampato sulla bocca. Lo so perché tessi lodi di questa area benedetta da suggestioni eduli senza pari. Me lo vedo già il vostro enumerare nomi e cose, Felino ed il suo morbido salume, Langhirano coi dolci effluvi del suo crudo, Zibello con il re della tavola e poi il parmigiano e il fiocco e la coppa e l'aceto balsamico e il tartufo nero e i porcini e il vino e avanti e avanti chi più ne ha, più ne mangi. Ebbene sì, non voglio certo negare che questo lato per così dire della tavola, non abbia la sua rilevanza, ma vivaddio non di solo pane vive l'uomo (e tra l'altro anche il pane qui è spettacolare per non parlare dello gnocco fritto che qui chiamasi torta fritta) e inerpicarsi sulle strade dalle curve morbide anch'esse e risalire i fiumi che scendono al Po, il Taro, il Baganza e tanti altri piccoli torrenti che i grandi letti in secca mostrano in tutta la loro possibilità, riempie l'occhio, oltre che lo stomaco di piacere. 

Cortile
Qui tutto quel che ti circonda risponde al bello, a partire dall'agricoltura, quella vera, non la fuffa fasulla del biominchiologico, creata per abbindolare il pollo della domenica, ma quella produttiva, che sa preparare il bello ed il buono e che si stende a perdita d'occhio, ricca, grassa e perché no ordinata e funzionale. Non è come quella di tante campagne dove vedi solo campi maltrattati e poco curati, puntellati di ruderi sgarruppati con tettoie cadenti ricolme di rottami arrugginiti, di stalle abbandonate e capannoni vuoti. Qui anche le letamaie sono in ordine, puzzano logicamente, se no non sarebbero letamaie, ma con un odore già più accettabile, perché lo leghi al buon latte di qualità, alle cosce profumate, ai pomodori rossi e maturi. I prati polifiti sono alti e spessi e mostrano tutto il loro splendore in attesa del primo taglio che incombe. Ah se fossi nato vacca frisona, come mi spaparanzerei in questi prati, par d'essere in Olanda. Il verde smeraldino, punteggiato di alberi in fiore, par d'essere in Giappone, ammanta ormai tutte le colline, sia quello del frumento che ormai, concluso l'accestimento invernale è ormai cespo forte e robusto solo in attesa del colpo di calore che lo porterà alla levata, ad alzare orgoglioso lo stelo morbido nel desiderio di diventare dura canna atta a sostenere una spiga pesante ricca di buon glutine, oh anche questo voglio sottolinearlo, alla faccia dei senza tutto che ormai invadono indecorosamente gli scaffali.


Il museo
Tanto per fare un OT, proprio stamattina mi guardavo la pubblicità di una ditta, un tempo seria che ha sposato questa linea del "senza" contando evidentemente, nel seguire l'onda della stupidità comune, di conquistare mercato. Così dopo il senza olio di palma, del senza glutine e del senza grano canadese (per non parlar del senza OGM) adesso lancia il senza zuccheri aggiunti, inviando il messaggio subliminale ai gonzi che i prodotti senza zuccheri aggiunti abbiano meno zuccheri degli altri, in totale, senza dire naturalmente che la medesima quantità viene messa non come zucchero semplice ma come prodotti contenenti gli stessi zuccheri, anzi magari c'è una maggiore percentuale di fruttosio che è anche peggio. Ma va bene così, contenti loro, contenti tutti. Io invece continuo a risalire la valle, avendo lasciato nella pianura l'esplosione del giallo limone dei campi di colza appena fioriti e qui sostituiti dal giallo dorato del tarassaco che ricopre quasi completamente le colline. Le case isolate e quelle riunite nelle piccole frazioni, sono tutte perfette, restaurate e pulite nella pietra che è il materiale preferito di queste parti coni tetti di coppi antichi e chiari, segnale inequivocabile che qui il grano (non inteso come frumento), corre e non poco. Incroci torme di ciclisti lungo i tornanti che portano ai colli dell'Appennino. Ti puoi fermare frequentemente ad ammirare la valle sotto di te, mai scoscesa, mai severa, anche nei punti dove il terreno franoso impone attenzione. La Val Baganza è un poco più solitaria e selvatica di quella del Taro, ma comunque sempre dolce tranquilla, passando per Calestano ed i suoi rilievi misurati, tra frazioni arroccate sulle punte e castellotti di poca notorietà, ma di grande fascino. 

Una piazzetta
Fino a Berceto è un susseguirsi di curve e controcurve, gioia dei motards e fatica per gli amanti della bici, che aspettano solo il momento di lasciarsi andare nella discesa, sudati e sfiancati dalla fatica, ma felici della bella salita appena vinta. Intanto qui siamo a quasi mille metri e l'aria in questa spettacolare e nitida giornata di festa è limpida e chiara. Dalle balconate naturali puoi goderti tutte le due valli; più in là solo la discesa verso quel mare, forse sognato dagli abitanti della piana. E proprio qui a Berceto la sorpresa di una chiesa imponente del 1200, costruita su una precedente eretta da Liutprando addirittura nel settecento, che diresti incongrua per un paesino di queste dimensioni, invece testimone dell'importanza del luogo in quei secoli lontani, probabilmente niente affatto bui come si vuole far credere. Un romanico rimaneggiato posteriormente certo, ma che tuttavia sottolinea una struttura importante e solida, con un interno maestoso e ricco di opere, che culmina nel piccolo museo parrocchiale, con tanti oggetti sacri medioevali che ne giustificavano una visita attenta. Puoi goderti qualcosa in uno dei tanti dehors dei giardinetti, prima di lasciarti andare giù nella val di Taro e ritornare alla piana per incontrare proprio quei sapori che evidentemente già infingardamente contavi di pregustare. Insomma siamo uomini di carne ed ossa, non solo di pensiero e di lettere, non vi pare? Comunque queste zone poco battute meritano attenzione ve lo assicuro e conto di darvene ancora conto successivamente.


Itinerario suggerito


SURVIVAL KIT

Tomba di San Bucardo ; eretta dall'imperatore Carlo V
Pizzeria La Legnaia - Via Calestano 96 - San Michele Gatti- Felino (PR)- Pizzeria con pretese, ambiente piacevole ed elegante, tavoli ben distanziati e curati. Servizio attento, gentilissimo ed accattivante. Preantipasto offerto con calice di bollicine. Pizze belle alla vista. Noi abbiamo avuto, dopo un antipasto di salumi misti e cipolline in tre, un piatto a testa (Tagliata tenerissima con grana e rucola, totani ripieno e gnocchi alla pasta di salame, tutto in porzioni abbondanti) con tre dolci, digestivo e ottime birre medie per 80 €. Prezzo congruo. 

Osteria N°1 - San Lazzaro - Noceto (PR) - Locare rustico elegante, con tavoli ben preparati e distanziati. Servizio veloce, attento e garbato. Frequenti le comitive anche con bambini, ma tutti apparentemente educatissimi. Porzioni abbondanti. Antipasto di salumi (molto buoni e se non son buoni qui...) con torta fritta che si scioglieva in bocca e polenta fritta. Un piatto a testa: Flan al tartufo nero, Ravioli verdi al gorgonzola, Punta di vitello ripiena e patate. Tre dolci, caffé e una buona bottiglia di Malvasia Colli di Parma Doc per 100 €. Anche qui prezzo congruo alla qualità, a mio parere.

martedì 24 aprile 2018

Etiopia 4 - L'arrivo


Benvenuti in Etiopia


La città cresce
Quando le ruote dell'aereo, questa bara volante che basta guardarla e capisci che è tecnicamente impossibile che stia per aria, chissà come farà mai, toccano terra, è sempre un bel sollievo. A nulla vale che le gentilissime e belle assistenti etiopi dall'occhio allungato e lo sguardo languido abbiano provveduto a curarti e coccolarti durante le lunghe, sempre troppo lunghe, ore di volo, nella classe carico bestiame. Il sedile della macchina volante è ostile all'uomo e comunque sia, se passi la notte imbozzolato in questo alveolo, quando arrivi, sei già di buonumore per il solo fatto che scenderai tra poco. Non c'è neanche tanto da aspettare, le pratiche del visto si sbrigano velocemente, basta pagare in fondo e, soldi alla mano, si supera ogni ostacolo. Un lontano ricordo le menate doganali di un tempo, non si compila più neanche il classico foglietto, solo più per gli USA, terrorizzati sempre dal nemico straniero, tanto da chiedere se costui si dichiara esplicitamente terrorista. Però questa è un'altra storia. Ma veniamo alla mia prima mattina etiope, ancora fresca fresca, che a 1700 metri di altitudine, alle 6 tira un'arietta, che dopo qualche ora rimpiangerai. Poi bisogna subito buttarsi nel traffico, fare la conoscenza con chi ti condurrà in giro per questo paese per un mesetto circa, prendersi le misure vicendevolmente e tutte quelle cose che si fanno all'arrivo, con gli occhi ancora incispositi dalla notte insonne. 

Mercato
Addis è la megalopoli africana classica, agglomerato indistinguibile dagli altri, una serie infinita di baracche dove si sta inurbando un paese che ha ormai superato i 100 milioni di abitanti, una umanità poverissima e dolente a cui i millenni di storia si sono ammonticchiati sulle spalle, diventando solo peso ingombrante e non sollievo e spinta culturale. Qualche edificio più alto al centro, dove vedi la mano cinese pressapochista e tante costruzioni cominciate, ingombre di pali di bambù stortagnoli, che sembrano fare il verso alle colonne di cemento povero già sbrecciate e cadenti ancor prima di rifinirsi. I soli edifici degni di questo nome sono le chiese del secolo scorso, testimonianza che la fede riesce a far spendere il denaro dei fedeli meglio che qualunque altro business. Dappertutto polvere e immondizie abbandonate, segni costanti ed inequivocabili delle umanità sovrappopolanti di ogni terzo e quarto mondo che si rispetti. Tuttavia noti comunque un gran movimento commerciale, di mercatini, di negozietti che straboccano di merci povere e già vecchie all'aspetto, con attività di ogni tipo che generano una gran confusione, un va e vieni di mezzi che trasportano grappoli di gente appesa alle portiere verso una probabilità di generazione di un qualche tipo di minima ricchezza, tuttavia sufficiente a campare.

La falegnameria
Non ci sono dubbi questo è un paese povero e difficile, una terra ruvida ed avara che poco ha da regalare e poco rende a chi la coltiva. Il 70% degli abitanti sopravvive con una agricoltura di sussistenza che basta a malapena per non morire a patto che le piogge siano regolari e non arrivino carestie di sorta. Gli altri, inurbati si aggiustano come possono. Ma la città la lasciamo indietro per godercela al ritorno, quando avremo ormai fatto l'abitudine a questo mondo ed al suo andamento lento. Adesso si tratta solo di cercare di uscire dalla città, penando un po'per il solito traffico confuso delle conurbazioni non ancora create per i mezzi a motore, che, evidentemente mal sopportati, manifestano il loro disgusto, sputando ogni genere di fumo e strombazzando a più non posso per cercare un varco tra i loro simili altrettanto nevrotici e singhiozzanti disagio. Un paio d'ore per uscire dalle periferie e muoversi sulle strade ondulate dell'altopiano verso Jimma, quasi 400 chilometri più a sud. A  perdita d'occhio, campi coltivati a cereali, da poco mietuti, che ancora mostrano stoppie scarne e rade, segno di produzione faticosa e difficile su terreni rossicci, poveri già dall'aspetto. I piccoli paesi che attraversi o che vedi al lato della strada sono fatti di capanne rettangolari di terra e fango impastato, steso su un traliccio di bastoni, rami di eucalipto piantati con cura nel terreno e abbastanza diritti da consentire la formazione di una sorta di parete  da ricoprire appunto e infine da rifinire con una superficie liscia, eventualmente dipinta con grandi scansioni geometriche colorate sotto un tetto di lamiera, che la pioggia arrugginisce rapidamente ed il sole arroventa con spietata consuetudine.

Case moderne
A fianco le capanne più vecchie, diciamo della passata generazione, costruite con la stessa tecnica, ma rotonde e col tetto a cono di paglia, quelle che il racconto della nostra infanzia chiamava tukul, tanto per capirci, di sicuro più fragili e da sostituire ogni decina di anni, ma decisamente più freschi durante la torrida stagione calda. Qua e là, le capanne sono circondate da siepi spinose per ricoverare il bestiame che circondano anche altre piccole costruzioni, magazzini per le derrate prodotte, tra grandi pagliai, formati nella stagione dei raccolti. Ci si ferma a mezza strada, a Wolkite, una cittadina mercato, costituita da una fila infinita di banchetti e negozietti di lamiera straboccanti di frutti e masserizie, alternate a locali che offrono di che rifocillarsi. Qui abbiamo il primo impatto con l'injera, il cibo assoluto etiope, quello che non manca mai, colazione, pranzo e cena. Si tratta di una crepe gigante, una cinquantina di centimetri di diametro stesa su un gran piatto di portata di alluminio, su cui sono versate diverse cucchiaiate di spesse minestre di lenticchie o fagioli, o verdure varie, o sminuzzati di pollo o altre carni, da mangiarsi con le mani in comune con i tuoi commensali.

Zucchero
Si strappa un pezzo di crepe, si pesca nel mucchietto scelto, se ne fa un malloppino e ce lo si caccia in bocca cercando di non colarsi addosso il sugo, cosa che avviene regolarmente se seialle prime sperimentazioni. Tutte le case e ovviamente anche tutti i sedicenti luoghi di ristoro, sono dotati sul retro di una sorta di braciere di terracotta sulla cui superficie viene gettata una mestolata di pastella, fatta con la farina scura di taf, un cereale simile al miglio, che fermenta per tre giorni prima dell'uso, conferendo alla crepe, che rimane morbida e porosa, un sapore piuttosto acidognolo che non viene smorzato neppure dalle robustissime dosi di peperoncino verde che livellano invece tutti gli altri sapori. Andare a dare un'occhiata nel retro ed osservare la donna che si prende cura dell'operazione, fa parte dello spettacolo. Poi non rimane che mangiare sotto gli sguardi indagatori degli astanti, visto che i faranji che mangiano (così sono chiamati gli stranieri, dal termine inglese foreing) rimangono sempre l'evento della giornata, non solo per i bambini del vicinato. Poi si riprende la strada, Jimma è ancora lontana.

Manichini

SURVIVAL KIT


Visto - Attualmente meglio farlo direttamente alla frontiera, nell'apposito ufficietto ben segnalato. Procedura rapida e costo di 50 $ cash. Ci sarebbe la possibilità per gli italiani di fare l'eVisa on line, ma il costo dell'operazione se non sbaglio è di 64 €, quindi non conviene.

Il peso del mondo

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