domenica 28 febbraio 2010

Troppa libertà.

Sono proprio indignato. Sul web gira qualunque cosa e poi la gente la prende per buona! Pensate che ieri ho ricevuto da un'amica questa robaccia qua che adesso vi sottopongo:
Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto
delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.

Pensate che questa robaccia qui me la vogliono far credere per uno scritto di Elsa Morante. Come è ovvio si tratterà di un sordido apocrifo di certo, perchè come tutti sanno la Morante è morta nel 1985 e qundi mai avrebbe potuto scrivere queste cosacce. Non c'è niente da fare, bisogna prendere dei provvedimenti e mettere un qualche controllo alla rete, come già fanno molti paesi più illuminato del nostro, come Cina, Iran e altri. Non si può permettere che ognuno apra la bocca e dia fiato, tanto per parlare, per mettere zizzannia, per invidia e malanimo. Presto metteremo a posto tutta questa gentaglia torva e pessimista che non ama il proprio paese.


Lo scritto, del 1° maggio 1945, intitolato Il Capo del Governo è in Pagine autobiografiche postume, pubblicate in “Paragone Letteratura”, n. 456, febbraio 1988, ovviamente si riferisce a Mussolini ed è stato riproposto recentemente dalla rivista Atti impuri.


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sabato 27 febbraio 2010

La freccia Dhongria.

Passammo la notte in una stamberga orribile a Rayagada. La bambina era inorridita e parlò più volte di telefono azzurro o quantomeno di denunciarci alle nonne, ma quello era il massimo che passava il convento e almeno ci eravamo levati dal fango delle strade. Dopo una notte buia e tempestosa partimmo al mattino presto attraversando le risaie attorno alla cittadina. Durante la notte era venuto giù un mezzo diluvio e anche nelle prime ore del mattino il monsone era insistente. Nei piccoli campi le donne si riparavano accovacciate sotto enormi cappelli conici continuando il loro lavoro di trapianto come nani da giardino. Pian piano la jungla prese il sopravvento sui campi e quando fummo sulla pista di montagna che portava ai vilaggi dei Dhongria Khondh, isolati e in qualche caso inaccessibili durante il monsone, assunse un aspetto decisamente salgariano, fitta, umida e misteriosa. I Dhongria, sono il gruppo dei Khondh più isolati e meno toccati dalla civilizzazione indoccidentale. Vivono in una dozzina di villaggi nascosti sulle montagne Niyamgiri coltivando ortaggi, ma vivendo soprattutto come cacciatori-raccoglitori di radici e frutti della foresta. Mantengono più degli altri gruppi le tradizioni legate ai sacrifici alla Madre Terra e per questa ragione sono il gruppo tribale che si sta opponendo con più convinzione alla Vedanta Resouces di prendersi le loro montagne. Le caratteristiche che li rendono pìù riconoscibili sono i tre anelli di bronzo alle narici per le donne ed una piccola ascia che gli uomini portano sempre sulla spalla come si può vedere in questo video di Survival che già vi ho segnalato. Tutti portano i lunghi capelli in crocchie fermate da file di forcine. Arrivammo al villaggio mentre ancora pioveva e percorremmo il grande spazio in salita tra le due file di grandi capanne dai tetti di paglia che correva dall'alto al basso per agevolare il flusso dell'acqua. Le giovani stanno in una grande capanna comune in cima al villaggio dove vengono raggiunte alla sera dai ragazzi dei villaggi vicini che si trattengono lì durante la notte, durante la quale si sviluppano le conoscenze che sfoceranno nei futuri matrimoni. Il tabù di evitare le ragazze del proprio villaggio garantisce un minimo di ricambio genetico. Qui, dopo il tramonto si fa largo uso di bevande fermentate che favoriscono balli e canti sfrenati; l'omosessualità è comune e questi ragazzi vivono di norma nello spazio femminile usando lo stesso tipo di anelli ed acconciature senza subire alcun tipo di intolleranza o discriminazione. Per la verità i Dhongria sono piuttosto selvatici e non amano molto che gruppi di curiosi vadano a rompere loro le scatole, così il nostro Prakash , ci disse di tenere un profilo basso e di non esibire le macchine fotografiche. Ma essere solo in tre è un grande vantaggio e riuscimmo a non disturbare più di tanto, stando bene attenti a non penetrare nel piccolo recinto al centro dell'area centrale dove campeggiava bene in vista il palo a cui vengono legate le vittime dei sacrifici, un area sacra da rispettare. Ce ne andammo dopo un po', sotto una pioggerella sottile, lasciando una atmosfera di grande rilassamento con gli adulti coricati nelle grandi capanne che fumavano grandi sigari artigianali e bambini che scorrazzavano nella fanghiglia in fondo al villaggio. Prendemmo il lungo sentiero che costeggiava un torrente gonfio di acque fangose, camminando con fatica nella foresta anche se l'aria non era molto afosa, data l'altitudine. Ci voleva un'oretta di cammino per raggiungere l'auto, ma camminare nella jungla dava un grande senso di scoperta. Verde ovunque, grandi alberi che circondavano piccoli spazi aperti, rumori selvatici e ignoti ma non paurosi, nencha la pioggia rada sembrava più fastidiosa. Tra due alberi uno scintillio di colori vivaci ci fermò di botto. Una bellissima ragazza si muoveva con grazia tra gli alberi raccogliendo bacche; aveva accanto a sé un canestro quasi pieno di papaye selvatiche. Ci guardò sorridendo e io non seppi resistere, scattando veloce. I clack secchi dello specchietto della reflex erano gli unici rumori della selva, quando d'improvviso dall'alto, tra gli alberi si udì un gran frastuono di rami spezzati ed un vociare irato. L'accompagnatore della ragazza, da una forcella tra i rami, mentre staccava frutti maturi, cessò d'improvviso la sua attività e con grida minacciose tese un piccolo arco su cui aveva incoccato una freccia dall'aspetto inquietante. Prakash si mise subito a gridare facendo grandi gesti con le mani, richiamando l'attenzione del ragazzo che scese, scuro in volto dall'albero con la corda tesa e la freccia ancora icoccata rivolta verso di me. Ci profondemmo in scuse sentitissime che rabbonirono l'iroso accompagnatore. Non so cosa gli raccontò Prakash, ma quando tornammo alla macchina la coppia aveva assieme alle papaye una ventina di rupie in più e io due frecce da appendere al muro.


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venerdì 26 febbraio 2010

I sacrifici dei Desia Khondh.

Addentrandosi attraverso piste sempre più fangose, nel fitto della foresta, raggiungemmo dei gruppi di capanne più isolati alla base di una serie di colline scoscese e ricoperte di verde. Questo vasto areale è abitato da un sottogruppo dei Khondh, i Desia, le cui donne hanno perduto la consuetudine al tatuaggio e conducono una vita di agricoltura di sussistenza basata sulla coltivazione del riso e degli ortaggi. Nel villaggio principale composto da una trentina di capanne c'era anche una piccola scuola composta da una sola aula con una trentina di bambini ed una maestra Hindu. Questo è uno dei pochi servizi che il governo fornisce a questa popolazioni. La maestra aveva un salario di un cinquantina di dollari al mese e dormiva nel villaggio tutta la settimana in una capanna che le veniva messa a disposizione e le attrezzature scolastiche fornite, consistevano in una scolorita e datatissima carta geografica dell'India, una lavagna scheggiata sul muro e alcune lavagnette che i ragazzi si litigavano. I bambini, chiassosi come i loro compagni di tutte le parti del mondo, ci mostrarono i progressi fatti nella lingua Oriya ed ottennero la prevista fornitura di caramelle, mentre la dotazione di ordinanza di biro, fu appannaggio della maestra, anche perchè i bimbi non avevano quaderni su cui utilizzarle al momento. Uscimmo seguiti dal coro dell'inno nazionale indiano cantato a squarciagola e una ragazza con un bimbo in braccio ci portò a salutare la sciamana che stava in una capanna ai margini del villaggio. Era seduta a terra all'ombra dello spiovente di paglia e ci accorgemmo subito che era cieca. Teneva anche lei in braccio un bambino piccolo che sembrava dormire tranquillo ed aveva il volto coperto dei tatuaggi della tigre. Era molto vecchia o così almeno sembrava e di una magrezza fragile e consunta, eppure mostrava una voce sorprendentemente chiara e acuta. Con l'aiuto di Prakash che masticava diversi dialetti Khondh, ci raccontò del sacrificio che aveva fatto il giorno prima, una capra per ingraziarsi la buona sorte ad una ragazza incinta. I sacrifici sono fondamentali nella cultura Khondh, il sangue delle vittime irrora la Terra, la dea madre, che in una recente commistione sincretistica viene assimilata al culto Hindu di Durga, e la feconda placandola e portando benessere. Certo un tempo le vittime erano umane, costituite da una specifica casta, i Meriah, come ho già raccontato qui; adesso in casi gravi si provvede con un bufalo, che è poi anche un'ottima scusa per consumare un po' di proteine animali, in una dieta piuttosto povera. D'altra parte la puepera aveva certamente bisogno di buona sorte, considerando che più o meno il venti per cento dei bambini non arriva al quinto anno di vita. Ce ne andammo dopo poco, mentre il cielo si preparava ad una nuova razione di pioggia monsonica. La pista si inoltrava più contorta verso i monti Nyamgiri, lontani e all'apparenza inaccessibili.





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giovedì 25 febbraio 2010

Le donne tigre dei Kutia Khondh.

La mattina presto Prakash ci aspettava sulla strada fangosa davanti all'albergo con la Ambassador bianca appena lavata e tirata a lucido. Partimmo senza perdere tempo, ma lui volle fare comunque una breve sosta al tempio di Ganesh per rivolgere una piccola puja che ci garantisse un viaggio senza inconvenienti. Il tempietto era basso e buio, pieno di fumi e di odori. Consegnammo due banane e una coroncina di fiori al sacerdote che salmodiava assorto e che le depose assieme a un bastocino di incenso acceso assieme alle altre sull'altarino. Ci appose la tikha di ordinanza sulla fronte e dopo aver fatto scivolare la banconota tra le pieghe del dothi bianco, riprese a cantare le Upanishad tranquillo in attesa del prossimo cliente mentre la statua del Dio dalla testa di elefante, coperta di ghi untuoso, sogghignava augurandoci buon viaggio. Era piccolo e sorridente Prakash e quando ciondolava la testa per confermare, ti dava una impressione di tranquillità che ti faceva accomodare sereno sul sedile posteriore. Pareva particolarmente affezionato alla nostra ragazza, che evidentemente considerava dei suoi, ma la trattava con particolare deferenza cercando sempre di darle per prima riparo dalla pioggia. Il monsone non era particolarmente forte quell'anno, ma l'umidità spessa ti ricopriva la pelle come il burro chiarificato che si cola sulle statue che meglio assicurano l'esaudirmento dei desideri. Su strade fangose uscimmo dalla città, quasi subito aggrediti dalla selva, dapprima meno fitta e con ampie radure dove bufali sfiancati tiravano piccoli aratri di legno per ritagliare fazzoletti di risaia. Dietro, file di donne dagli sdruciti sari colorati, sollevati fino alle cosce, trapiantavano l'oro verde pallido, muovendo a fatica le caviglie nelle buche di fango grigio e colloso. Contadini poveri ma non affamati, in un equilibrio precario che la natura amica/nemica regola a fasi alterne, ma che difficilmente conduce alla carestia più nera. Gli Adivasi (quelli che c'erano prima) sono quasi un quarto della popolazione dell'Orissa e, come tutte queste popolazioni "primitive", ambirebbero solo ad essere lasciate in pace, cosa che in linea di massima il governo centrale fa per non crearsi problemi ed evitare spese. La grana sorge quando qualche azienda decide di "valorizzare" un territorio, avendovi individuato qualche cosa da sfruttare (vedi la storia della Vedanta Resources contro la tribù dei Dongria, di cui ho già parlato qui). Allora per l'area scelta son dolori; in generale, la gente viene depredata dei suoi territori e delle sue pur misere ma sufficienti fonti di sopravvivenza e lasciati a marcire in bidonvilles ai lati del nuovo insediamento, magari con quattro soldi per dare una parvenza di legalità alla cosa. Il governo chiude gli occhi sulle porcherie più grosse e magari garantisce una baracca/ambulatorio dove una volta al mese passa un infermiere a dare un'occhiata. Il fatto è che in India ognuno pensa di appartenere ad un gruppo (indù, mussulmano, giainista, cristiano) o ad un sottogruppo (casta o sottocasta che dir si voglia) ritenendo che questo sia assolutamente superiore a tutti gli altri, con cui ha orrore a mescolarsi, né ha alcuna intenzione di cambiare ad esempio con una scalata sociale. Questo significa disprezzo assoluto per tutti i non appartenenti al proprio gruppo e totale e spietata indifferenza per i loro eventuali diritti. Solo la forza del denaro e del potere possono garantirli ed è chiaro che per gli Adivasi lo spazio è quasi nullo ed il loro destino è segnato nel tempo. I Kondh appartengono al gruppo delle lingue dravidiche e divisi in sottogruppi popolano le colline circostanti. I primi villaggi che vedemmo, già nel folto della foresta, erano di Kutia Khondh, forse il gruppo più numeroso. Sono noti anche come il popolo dei tatuaggi. Ci fermammo a riposare in un largo spazio tra le capanne. C'erano poche persone, la maggior parte impegnate nei lavori dei campi, ma schiere di bambini interessati ad eventuali caramelle e parecchie ragazze e donne di ritorno dalla consueta corvée del rifornimento dell'acqua. Avevano le orecchie quasi frastagliate per l'enorme numero di anelli ed altri piercing che ne deformavano anche le dimensioni ed i volti piccoli e scuri ricoperti di tatuaggi. A volte simboleggiano fiori, ma nella maggior parte dei casi sono punti e righe nere e sottili che ricoprono completamente il viso. Sono i baffi del felino più temuto, che ogni tanto si porta via qualcuno rimasto isolato nella foresta e questi segni servono ad esorcizzare la paura e a spaventare la belva. Le donne tigre vanno da sole tra gli alberi, non hanno timore dell'animale affamato che le aspetta nell'oscurità nebbiosa verde e grigia; in effetti, non ce ne sono quasi più di queste belve e loro ne ridono, se ne fanno beffe, esibendo con orgoglio i volti sorridenti. Altre belve, invece, sono acquattate nella pianura, meno interessate alla carne, più ai terreni o magari alla bauxite di cui pare queste colline siano ricche. Ma queste, non sembrano spaventarsi molto se le ragazze si girano mostrando fiere i baffi della tigre.


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mercoledì 24 febbraio 2010

Prìncipi o princìpi.

Senza parole (da un suggerimento di Fabristol).





E con questo direi che se ne è già parlato troppo.

martedì 23 febbraio 2010

Zhǔ, Shì.

La società cinese è sempre stata molto sensibile nei confronti degli anziani. Tutta la filosofia morale del confucianesimo è indirizzata a considerare l'anziano come il depositario della cultura ed il patrimonio della memoria per la società. Potrete ben capire come questo sentire mi sia particolarmente caro, per ragioni squisitamente personali e interessate. Di certo questa posizione sta cambiando, come è naturale, visto che il sapere si sta spostando sempre più rapidamente nelle mani dei gruppi più giovani e non passerà molto che anche in Cina i vecchi verranno accantonati con fastidio come già da tempo avviene dalle nostre parti. Il sapere ed il potere marciano di pari passo e chi detiene l'uno ha contemporaneamente anche l'altro e non lo molla facilmente. In questo ha sempre aiutato la scrittura cinese che, ricca oggi, si dice, di circa 100.000 ideogrammi, di cui non più del 15% conosciuti dalle classi con cultura universitaria, possiede interi gruppi di caratteri cosiddetti specialistici (come quelli legali, medici, scientifici e altri) che sono conosciuti solo dagli addetti ai lavori. Fate conto che un documento legale, che già da noi si interpreta con una certa fatica, risulta non leggibile in Cina da qualcuno che non abbia una specifica competenza legale e così via. Una forma di potere particolarmente impenetrabile e forte dunque. Ecco come nel passato Anziano = Sapiente fosse una equazione particolarmente valida. Il Lao contrapposto allo Shao (giovane e inesperto) di cui abbiamo già parlato qui, è "colui che ha cambiato colore dei capelli" e col grigio ha acquisito esperienza e saggezza e non ci sono santi, bisogna stare a sentire quello che dice. Questa sottolineatura si ritrova in molti altri caratteri come ad esempio quelli, molto semplici, che vedete in alto (grazie Ferox). Zhǔ - 主, si compone a partire da Wang (vedi qui) che significa Re, ma sul quale è stato apposto un piccolo segno, una fiammella, cioè "Colui che ha il potere di un Re con in più o grazie al fatto che possiede la fiamma del sapere" e significa Maestro, padrone in cui si rileva sempre la commistione irrinunciabile tra sapere e potere. E' ovvio che in ogni società che si consideri civile, chi governa "deve" anche essere saggio e sapiente, cosa che era comune anche nella nostra società, un tempo, forse. Il secondo, Shì - 士, significa "uomo colto e sapiente" ed è formato dai due ideogrammi più semplici che significano 10 (la crocetta) e 1 ( il trattino orizzontale) per rimarcare che di uomini di questa fatta non se ne trovano molti, sono una rarità, non più di uno su dieci. Certamente essere non troppo giovane e magari con la barba, contribuiva, in Cina, ad essere ascoltato con più attenzione e deferenza; sarà anche questo uno dei motivi per cui me la sono fatta crescere quando bazzicavo da quelle parti. Che infingardo! Eh no! Non dite così, anche questo fa parte dell'esperienza, del potere, del sapere e quindi della dovuta considerazione che meritiamo noi anziani. Le cose che diciamo sono quasi sempre molto intelligenti e degne di essere ascoltate. E con rispetto. E' chiaro? Ricordo una volta a Shanghai, che, durante una fiera nello stand vicino al mio, stava un tizio non più giovane che rappresentava diverse ditte. Rimaneva tutto il giorno appollaiato con aria sonnacchiosa vicino ad un tavolo dove si alternava una coorte di questuanti che lui trattava con una certa supponenza e liquidava con poche e certamente sagge parole. I giovanotti, dopo aver ricevuto il viatico se ne andavano con la testa bassa a svolgere i loro compiti. Quando non aveva nessuno da benedire, chiacchierava con me in un inglese molto approssimativo (sapere è potere, i cinesi infatti, sono infastiditi dal fatto che uno voglia imparare la loro lingua, cosa che farebbe loro perdere un vantaggio notevole). Una sera particolarmente fiacca, mentre sorseggiavamo un delicato thé oolong, osservavamo con il distacco proprio dell'anziano, due standiste, molto gradevoli all'occhio, che di fronte a noi distribuivano volantini di una ditta della Mongolia interna. Il viso minuto e gli occhi più sottili, ne facevano intuire facilmente la provenienza. Così anche quella volta, il vecchio saggio volle lasciarmi una delle sue perle. Strinse un po' gli occhi per guardare meglio, poi esalò: "You know, Mister Bo, Mongolian girls are the best, because they smell of cheese" e non volle aggiungere altro chiudendosi in un silenzio meditativo. L'esperienza, ah l'esperienza!

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lunedì 22 febbraio 2010

Rosso tandoori.

Sto cercando una scusa per parlare un po' più a fondo dell'Orissa. Sapete già che mi piace vedere come è fatto il mondo, magari per cercare pretenziosamente di capirlo. Ma più che la bellezza dei luoghi e delle opere dell'uomo, che pure spesso mi lasciano senza fiato, sono attratto dalla gente, soprattutto quella meno omologata alla mia cultura, che cannibalizzando con la sua forza di attrazione tutte le altre, lascia sempre spazi minori alle diversità e alle loro ricchezze (in positivo, ma anche in negativo naturalmente, sono attratto da tutto meno che dal mito del buon selvaggio). Uno dei luoghi (assieme all' Indonesia) più ricchi di questi aspetti è l'India e lo stato dell'Orissa in particolare, con oltre una cinquantina di tribù di Adivasi, ossia popolazioni preesistenti all'invasione ariana che da nord, è penetrata in India qualche migliaio di anni fa sostituendo quasi totalmente le popolazioni locali. Le più isolate hanno resistito, conservando quasi al completo usi, religioni, aspetto e lingue. Così qualche anno fa, la mia famigliola, composta di curiosi di conoscenza allo stesso grado, anche la bambina è stata ormai contaminata, credo, si è ritagliata un giro da quelle parti che consiglierei assolutamente a chi ha i nostri stessi pruriti. La base di partenza è Bubaneswar, la capitale dello stato. Si capisce subito di essere lontani dall'India rampante del BRIC e dei softwaristi. Ci si cala in una città abbastanza tranquilla e meno caotica delle grandi metropoli, direi più campagnola. I turisti in giro sono pochissimi e ci si può aggirare nei molti templi della città quasi deserti, apprezzando la antica severità della pietra, le costruzioni qui più semplici e meno barocche di quelle dei secoli successivi e proprio per questo più intense, con la selva di stupa rossicci per la pietra locale, levati verso il cielo come ogive di missili in attesa del lancio. Le piccole figure scolpite sui pilastri a scandire, cadenzate, gli spazi, danzatrici nelle pose più classiche, animali o gruppi, sono più rade e meno ammiccanti che in altri luoghi, ma sempre eleganti e mai rozze. Grava una sensazione di composta bellezza. In uno dei più belli ed antichi, il tempio Hudaighiri, un bramino a torso nudo attraversato solo dal filo di cotone che scendeva dalla spalla sinistra, che gli era stato apposto alla nascita, ci seguì con uno sguardo stanco dopo aver ricevuto l'offerta per la puja di rito. Camminammo a lungo sul selciato di pietra antica per aspettare che il sole, continuamente coperto dalle nuvole gonfie del monsone agostano, calasse dietro le cuspidi il cui rosa diventava più intenso, fino a diventare rosso vivo, rosso come il magro pollo tandoori che ci aspettava a cena, unici stranieri, circondati, pur in un tre stelle piuttosto modesto, da sette camerieri che si intralciavano l'un l'altro nel tentativo di guadagnarsi la mancia. Il giorno dopo sarebbe cominciato un lungo giro in una jungla fitta e popolata di piccoli villaggi.

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domenica 21 febbraio 2010

PET, petali e petaloidi.


Finalmente è arrivato il sole. Ti fa venir voglia di smettere di pensare, di lasciarti andare a subire soltanto le sensazioni. Però spesso credo sia necessario cercare di considerare meglio le cose, pensandoci, valutandone gli aspetti intrinseci, magari trascurati da una visione superficiale. A volte è importante per traslare queste prese di coscienza in altri campi. Così oggi voglio richiamare la vostra attenzione su una piccola cosa considerata di valore quasi nullo, di uso minimo e svalutato al punto da farla diventare un problema anche quando questo utilizzo ha conpiuto il suo breve corso. Mi riferisco alla bottiglia di plastica che con stizza ogni giorno gettate nel pattume con un gesto di cui qualcuno, interessato, vuol farvi sentire colpevole. Tutto parte dal PET, il granulo informe e apparentemente senza anima, questa creazione dell'Uomo, che però contiene in sé tutte le anime delle sue potenzialità future che il suo creatore gli ha previsto e destinato, che, scaldato e sciolto in un magma informe è pronto a prendere forma non appena infuso nello stampo chiuso con la forza titanica di centinaia di tonnellate, il vaso di Pandora che contiene l' εἴδωλον della preforma, passaggio indispensabile per arrivare alla creazione finale, la crisalide necessaria a dar vita alla meravigliosa farfalla, il bocciuolo che aprirà i suoi petali meravigliosi. Il gelo dell'acqua che corre nelle viscere d'acciaio farà rapprendere la forma potenziale. Altre mani meccaniche la coglieranno per farle iniziare il cammino a cui è destinata, la gran macchina che dapprima la farà girare a lungo riscaldandola dolcemente quasi a trarla in vita da un sonno profondo e la ammorbidirà prima di farle conoscere un nuovo stampo, di soffiaggio stavolta, dove è scolpità la premonizione della sua forma definitiva, quel suo destino di diventare bottiglia, di contenere e proteggere in sé un liquido. Ecco entrare potente il soffio vitale, le centinaia di atmosfere che il demiurgo ha predisposto per assottigliare le pareti della preforma, per stenderle fino a quando non saranno adagiate sulle pareti dello stampo a segnare la forma definitiva, lungamente studiata per essere resistente all'uso che se ne dovrà fare, con le costolature che, scelte per rafforzarla tecnicamente, la faranno bella e spesso da sole, ne identificheranno il prodotto contenuto con il solo richiamo visivo. Eccola pronta, la nostra bottiglia, diritta in piedi, elegante, sulla mirabile invenzione del suo fondo petaloide quasi fossero tacchi da sera, bellissima nella sua nudità, perfetta, leggera, delicata eppure funzionale a quanto da lei si richiede, a svolgere il suo compito indispensabile di contenere al minimo costo, al minimo consumo richiesto per quell'uso. Eccola, presa per il collo e con molte compagne avviata ad una lunga via segnata dal suo karma, girata, lavata, immessa su un carosello che sembra infinito, una giostra in cui il suo destino si fa pieno, riempita di colui per cui è stata creata, femmina nuda che accoglie e contiene, amorevole e consolatrice. Eccola che corre ancora verso un incontro preordinato, verso il piccolo ma perfetto tappo, il suo tappo, che la aspettava tra migliaia di altri, per correle incontro preciso e complicato ad un tempo, delle cui meraviglie vi parlerò un'altra volta. Un tocco lieve ed eccolo calzato su di lei, in una nuova giostra gioiosa, mentre una testina scende magicamente, lo preme e lo gira spietata, fino a che la curva studiata dell'anellino abbia superato il sottosquadro con un piccolo scatto, profittando della sua plasticità prima e rendendo il sigillo inviolabile dopo, rigido e vigile in attesa che la mano di chi la vorrà, lo giri con la giusta forza, con la morbida delicatezza che strapperà i ponticelli, che ne violerà primo ed unico la purezza per averla finalmente tutta per sé. Ma prima ancora un carosello, per vestirla con il vestito migliore, per coprire la sua pur stupenda nudità con l'etichetta per lei disegnata da qualche grande stilista, che la renda ancor più bella e desiderabile verso chi sarà il suo compagno. Ma quando vuota avrà esaurito il suo compito, voi, senza considerarla, la getterete, accartocciata se vi sentite ecologisti , intera e con fastidio, senza pensare che potrà essere ripresa amorosamente e con poco spreco, energia e calore (non più di 180°C), non come la sua presuntuosa compagna di vetro, che riutilizzata inquina montagne di acqua per essere ripulita, o che pretende più di 1000°C per essere ricostruita, pesante infida rilasciatrice di metalli pesanti, lei che davvero può permanere indistruttibile per migliaia di anni, colpa che, vile, ha cercato falsamente di addossare alla sua ingenua ed inesperta compagna, eccola appunto, rinascere a nuova vita a formare un'altra sé stessa di forma diversa, o se troppe volte riutilizzata, diventare un pile sportivo e caldo, come sempre protettiva e materna. Pensateci un attimo prima di gettarla via, magari insultandola ingiustamente per la dedizione che vi ha dato.

sabato 20 febbraio 2010

Cronache di Surakhis 26: La morale prima di tutto.

Man mano che passavano i giorni, la temperatura si alzava e una pioggerellina fine e neppure troppo corrosiva prendeva il posto dei fiocchi di metano che erano caduti lievi per tutto il mese precedente. Quando il vento leggero non spirava da est portando con sé gli inevitabili effluvi delle centrali a merda, cominciavano a sentirsi i profumi della primavera che cercava di annunciarsi e farsi largo tra le nebbie. Surakhis era un pianeta prevedibile e anche la vita dei suoi abitanti in fondo scorreva secondo canali preordinati, soltanto un poco controllati da chi, proprio questo aveva il dovere/diritto di fare. Paularius si svegliò tardi quella mattina, la grande festa della sera precedente lo aveva spossato, soprattutto le quattro vibromassaggiatrici convocate apposta per rilassarlo e che si erano date da fare con vigore, gli avevano veramente esaurito ogni forza residua. Che professioniste, certo costavano un sacco di soldi, ma a regolare i conti avrebbe pensato l'organizzatore della bisboccia, un piccolo imprenditore arrivato da una luna di Mizar IV, che voleva farsi strada nel ramo energia e costruzioni. D'altra parte, se vuoi entrare in affari, qualcosa devi pur investire. Anche lui agli inizi aveva dovuto mostrarsi generoso con quasi tutti gli esponenti della Pantocrazia dell'epoca per avere l'appalto della miniera, ma in seguito ne aveva avuto i giusti benefici, l'assenza di controlli, l'esenzione perpetua dalle tasse per evitare quei noiosi sotterfugi per evaderle e tutte ciò che era giusto e normale nel funzionamento della società civile. Certo chi sceglieva la carriera del Pantocratore non lo faceva per desiderio di santità, era un mestiere come un altro per arrivare in fretta alla ricchezza ed al potere per sé e per la propria famiglia e Dio sa se ne servono di soldi soprattutto per garantirsi l'elezione, che essendo ancora stupidamente soggetta al voto, necessitava di ingenti investimenti per il controllo della volontà soggettiva tramite i media, che per fortuna costava un po' meno da quando per mezzo della TV cerebrale, si poteva penetrare direttamente nel cervello degli spettatori. Era un mondo difficile, eppure c'era sempre qualche fastidioso Oppositore che cercava di mettersi di mezzo per creare problemi, per inceppare la macchina bel oleata della politica. Bisognava dare una bella sterzata moralizzatrice a tutto quel bailamme. Si alzò cercando di controllare il mal di testa con un paio di piste e arrivò al Consiglio appena in tempo per l'inizio dei lavori. Oggi si sarebbero prese delle decisioni importanti, che fossero di monito severo alla popolazione. Era necessario che la gente capisse che non si poteva esagerare, che la morale aveva ancora un suo peso su Surakhis, che a tutto c'era un limite, perché se si andava oltre, anche la società civile si sarebbe naturalmente sfaldata. Senza ordine e corretti freni morali sarebbe stato il caos. Furono esaminati tutti i fatti gravi di cui oramai era impossibile tenere all'oscuro l'opinione pubblica e fu facile arrivare ad una decisione rapida e condivisa. Ormai tutti avevano sentito e sapevano. All'unanimità si decretò la messa a morte ad bestias (e non sarebbe stata una passaggiata con le licatigri della foresta grigia di Surakhis, ridacchiò Paularius dando di gomito ad un giudice molto vicino all' imperatore) dell'anziano Bigatius che aveva osato dichiarare di essersi cibato di diversi gatti, gli animali sacri a Bastet, una cinquantina di anni prima. Ben gli stava allo sciocco, non poteva mangiarseli tranquillo senza dirlo, come faceva la gente seria e rispettosa? Paularius lasciò l'assemblea frettolosamente come tutti, ognuno aveva i suoi impegni, chi doveva distribuire tangenti, sui lavori fatti, chi le doveva ritirare, chi doveva favorire i Clientes, chi concordare compensi per studiare le nuove leggi morali da promulgare al più presto. Per fortuna la parte sana della società andava avanti e le cose da fare, le faceva, in barba ai lacci e lacciuoli.


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mercoledì 17 febbraio 2010

Avatar e realtà reale.

Voglio tornare sull'argomento Avatar, perchè spesso la gente non ama collegare la fantasia alla realtà. Va al cinema e si emoziona, fa buoni pensieri e poi li mette lì da parte, perchè la vita reale è diversa , perchè in fondo anche se si ruba e si fan porcherie almeno le cose vengono fatte con efficienza e chi se ne frega delle escort e delle tangenti. Vi ricordate quando vi ho parlato dei Kondh e delle altre tribù dell'Orissa in India? Ecco qui a sinistra una Kutia Kondh che ho fotografato nel mio viaggio del quale forse vi relazionerò nei prossimi giorni. Sorprendente somiglianza coi Na'vi di Avatar, no? Va beh, direte è solo una questione di tatuaggi. Mica tanto. Informato da Indonapoletano, sempre molto interessante per chi vuol sapere quanto succede in Oriente, voglio sottoporvi la storia dei Dongria Kondh e della loro montagna sacra. C'è una società indiana, la Vedanda Resources, che avendovi scoperto un ricco giacimento di bauxite, vi ha già costruito una raffineria, occupando con l'inganno una vasta area di pianura alla base delle montagne, i cui abitanti (altre tribù Adivasi) sono state private delle loro aree e che adesso conducono una vita miserabile di stenti nei dintorni, privi di sostentamento. Ora la Compagnia vuole la montagna, scoperchiarla e cominciare ad estrarre la bauxite, cacciando via i Dongria Kondh che la abitano, magari convincendoli con qualche promessa e quattro soldi, tanto son selvaggi nativi e arretrati. Ma questi, che forse vi avevo già descritti, son gente tosta e mica tanto malleabile e dicono che combatterano fino alla morte con gli archi, frecce e le loro piccole asce. L'ho già vista l'altro giorno al cinema questa storia, ma lì è facile fare il lieto fine, intanto in Orissa ai bordi della montagna Niyamgiri ne hanno già ammazzati una dozzina, complice la polizia che ha restituito alcuni corpi alla tribù con le mani mozzate, tanto perchè si capisca che si fa sul serio. Ma questa è gente con la testa dura. Io credo di sapere come andrà a finire, un conto è il cinema e un conto la vita reale, dove contano i soldi e l'efficienza, la cultura del fare e non la chiacchiera, però parlare, fin che si può, non guasta e il web ha una forza insospettabile. Date quindi un'occhiata al filmato sottostante (chissà se lo ha visto anche Cameron) e se non si apre, cliccate direttamente qui: al sito di Survival che mi sembra molto bello. Qui le ultime notizie in merito.


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martedì 16 febbraio 2010

Chiacchiere di Carnevale.

Una giornata più grigia di questa è difficile trovarla, aspettiamo solo più, assieme all'aria gelida, una tirata di neve bagnata e fastidiosa, quella che neanche si ferma per terra, per darti un senso di calma e di inverno sereno, ma, cadendo maligna e di sbieco, ti incide la faccia trasformandosi subito in poltiglia sporca e fanghigliosa, che le auto, passando, ti schizzano addosso prepotenti. Poi siamo a posto. Non ti viene neanche voglia di uscire in questa città triste e grigia come le maglie della sua squadra di calcio, senza un bambino in giro vestito da Zorro o una fatina che ti tiri due coriandoli. Una città di vecchi accidiosi che vanno a guardare se il Tanaro è già alto, sotto lo scheletro del ponte che non c'è più. Hanno solo voglia di rinvangare il passato, poveri vecchi, di illudersi che quella stessa bigia città immersa in una ovatta grigia di nebbia persistente, forse diversa, ricordandosela più viva e frizzante, mentre era soltanto la loro diversa età che la rendeva tale ai loro occhi più giovani, ma forse già allora grigi, se in tanti anni non abbiamo saputo migliorarla, farla crescere questa crisalide di città. Sarà certo da ricercare nel nostro atteggiamento genetico che ogni attività va a finire male, persino una spaghetteria era stata aperta e chiusa dopo un annetto, mentre da ogni altra parte facevano soldi a palate. Un attendismo ricoperto di critica distruttiva a prescindere, che ha trasformato la città in un polo del terziario arretrato. Una massa di pensionati lamentosi e terrorizzati dai pochi immigrati rimasti (che anche loro se ne sono andati in cerca di posti migliori), che mantengono supermercati e sportelli di banche che dragano le pensioni depositate per andarle ad investire lontano, dove pulsa l'economia. Qui rimaniamo a crogiuolarci nei ricordi. Di come erano buone le cose di una volta, la bellecalda di Savino, il gelato di Cercenà, le chiacchiere di Carnevale della mamma. Però la mia mamma era proprio specializzata nelle chiacchiere di Carnevale! Anzi qui si chiamano anche bugie, per il fatto che sono un po' gonfie ma dentro rimangono vuote e leggere, come promesse non mantenute. Su nostra sollecitazione, cominciava verso i primi di febbraio, tirava, anche negli ultimi anni, quando faceva fatica anche a stare in piedi, una grande sfoglia sottilissima, da tortellini, con un lunghissimo e poderoso matterello, poi con la rotella da agnolotto, ritagliava meticolosamentele striscie della misura corretta. Avevano un gran padella piena d'olio dove con attenzione lei calava le frappe senza fare schizzi, mentre, dall'altro lato, munito di una schiumarola, il mio papà le tirava su appena prendevano il giusto colorito ambrato. Lavoravano in coppia e a catena e la sera passavamo a prenderne un paio di vassoi alla volta, ghiotta gioia per noi, poi per la bambina e per i nostri amici che ne hanno sempre apprezzato la assoluta leggerezza. Sembravano sbriciolarsi in bocca con una fragranza delicata e una friabilità che non siamo mai più riusciti a provare, mentre il poco zucchero a velo, sparso con cura, ne aumentava la dolce appetibilità. Non si riusciva proprio a smettere prima di aver svuotato il vassoio, che mi affrettavo a riconsegnare perchè fosse al più presto riempito. E loro, orgogliosi per l'apprezzamento, provvedevano senza sosta, fingendo di non sapere che il carnevale era già finito, ma tanto qui si segue il rito Ambrosiano. Eh sì, chiacchiere come quelle non se ne fanno più. Che tempi!!


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lunedì 15 febbraio 2010

Dan Brown - Il simbolo perduto.

Mi sono preso un week end di pausa, perchè lavorare stanca e anche la mente ha bisogno di riposo, soprattutto se già naturalmente è portata all'otium. Una parentesi temporale da impiegare respirando semplicemente l'aria fine dell'alta quota, come propone il Buddha e godendo del sole forte che filtra tra i pini coperti di neve oppure spendendone una gran parte per leggere qualche cosa. Sciaguratamente, ho optato per questa seconda ipotesi, impiegando così sette od otto ore della mia vita che avrebbero potuto/dovuto essere meglio spese. E' un po' l'irritazione che ti prende quando ti vuoi far del male con le tue mani, quando sai già che una cosa ti fa venir mal di testa eppure la mangi/bevi lo stesso; in particolare per me che non riesco a trovare il tempo per leggere più di una quindicina di libri all'anno (per forza che poi siamo un paese di ignoranti, direte voi) e poi vado a spendere una delle opzioni in questo bidone, pure costoso. Ciò detto bisogna pur che dica due parole per esaminare il caso in questione, per mettervi in guardia, per lo meno la cosa non sarà stata completamente vana. Va bene, non sono così ingenuo da non sapere che cosa avrei trovato. Il buon Dan, avendo trovato per puro caso, dando casuali calci alle pietre, una enorme pepita d'oro, non può fare a meno di continuare ad approfittarne, però da uno scrittore ci si aspetterebbe qualcosa di più che scrivere per la quinta volta lo stesso libro. Il fatto è che Brown più che uno scrittore, è uno che scrive libri come mestiere, come quei mestieranti della penna che dovevano buttare giù un giallo ogni quindici giorni, un romanzo d'appendice per solleticare i palati spessi dei lettori dei giornali della domenica, dei seriali di bassa qualità just in time, cotti e mangiati. Se esaminiamo l'oggetto con un minimo di attenzione, emerge prepotentemente la scarsissima qualità letteraria del testo. Diciamola tutta, come già i precedenti, Il simbolo perduto, è proprio scritto male, raffazzonato e confusionario, forzato in ogni sua parte, con i caratteri improbabili tirati via grossolanamente e pieno di svarioni e di topiche proprie di chi deve consegnare il lavoro entro mezzanotte e non ha neanche il tempo di rileggere. Il fatto che, come sembra, sia addirittura stato tradotto da più mani per fare più in fretta, la dice tutta sulla qualità dell'operazione. Non ci sono errori di ortografia proprio, forse perchè esiste il correttore automatico. Uno che vuol fare un libro basato su riferimenti storici e geografici reali e che dichiara di avere persino un consulente alla bisogna (ma cosa lo paga a fare?), confonde addirittura l'Odissea con l'Iliade e il fatto che non ci sia neanche stato il tempo di correggere lo svarione (perchè qualcuno glielo avrà sicuramente fatto notare dopo l'uscita del lavoro originale) la dice tutta sulla necessità di dare in pasto alle fiere il prodotto, senza stare a preoccuparsi dei dettagli. Altro che limare l'opera! Mi direte che per l'uomo medio americano ciò che riguarda la cultura del vecchio continente è un dettaglio trascurabile, sarà così ma anche per un mestierante, le topiche più grosse dovrebbero avere un minimo di importanza. Infine, più che nei precedenti, il nostro dimostra di non saper trovare un finale decente, sprecando un ulteriore centinaio di pagine per avvoltolarsi su sé stesso senza sapere dove andare a parare. Sento già una voce che mi dice: - Ma allora, disgraziato, perchè lo hai comprato se già sapevi cosa ti aspettava, perchè non lo hai buttato dopo le prime pagine, perchè hai voluto bere fino in fondo l'amaro calice? Sei di quelli che una volta entrati, vogliono comunque vedere il film fino alla fine per non perdere i soldi del biglietto?- Il problema è che il meccanismo perverso di questi prodotti (avrete notato che non riesco proprio a chiamarlo libro) è costruito in modo che quando attacchi, non riesci a staccartene fino a quando non sei arrivato al termine. E' la maledizione dell'adesso voglio vedere come va a finire, che ti fa continuare rovistando fino alle ultime pagine e crogiuolandoti nell'abisso della tua stessa viziosità. Forse funziona così con le droghe, sai che è una porcheria che ti farà male, ma non riesci a staccartene finchè ne hai a disposizione ancora una pista. L'operazione è certo tutta calibrata al fine di fare più soldi possibile. La stesura è tipica delle sceneggiature cinematografiche degli attuali film di azione, per non perdere tempo quando servirà. Capitoli brevissimi che terminano sempre con una sopensione, che invoglia a vedere cosa succede dopo. Cambi di scena alternati per dare movimento alle inquadrature e per aumentare un po' il debolissimo interesse alla solita caccia la tesoro, condita da esplosioni, fuoco e fiamme e salvataggi dell'ultimo secondo, di cui pare che gli sceneggiatori americani non riescano a fare a meno, che vuol tenere alta la tensione fino all'acme delle rivelazioni finali, la cui banalità lascia davvero sconcertati. Però in questo modo, alla fine ci arrivi e il libro non lo posi prima dell'ultima inutile pagina, il grano lo hai tirato fuori e sono tutti contenti. Amen.

venerdì 12 febbraio 2010

Dalla finestra.


Domani sera comincia il nuovo anno in oriente, ma spesso laggiù, oltre alla festa ed all'allegria , spira anche una leggera vena melanconica. Mentre dalla mia finestra, guardo il grande pino sulla montagna coperta di neve, mi ha colpito un Haiku dedicato a questo giorno, dal grande poeta giapponese Onitsura, alla fine del 1600, che ho trovato nel bel sito di Mario Polia e che giustamente annota il potente effetto onomatopeico delle due terminazioni in -shi del secondo verso, a sottolineare l'acuto sibilare del vento tra i rami coperti di neve. Chiudete gli occhi per un attimo, anche se non conoscete la lingua, provate a ripetere lentamente i versi giapponesi e ascoltate con me.



Primo giorno dell’anno,

un vento di tanto tempo fa

soffia tra i pini.


Ô–ashita

mukashi fukinishi

famatsu no kaze

giovedì 11 febbraio 2010

Andare al massimo.

C'è un sacco di gente che dice che i vari Facebook, Twitter, Skype e compagnia, siano una gran perdita di tempo per ragazzini o per gente che ha voglia di cazzeggiare in ufficio. Sarà pur vero, ma l'altro giorno, dalle nebbie del passato, proprio grazie a questi strumenti, hanno bussato alla mia porta due vecchi amici che non vedevo, né sentivo, più o meno da 40 anni. Eccoli lì, al di là dello schermo davanti ad una webcam, non molto diversi da allora, a chiacchierare di cosa è successo in tutti questi anni a prometterci di fare la rimpatriata, che tanti cinici sostengono di essere cosa tristissima (vedi il verdoniano Compagni di scuola) e che io invece trovo sempre molto piacevole e rilassante, come tutti i vecchi che si lasciano andare all'onda del passato in un dolce naufragio. Certo eravamo ragazzini, io quantomeno ero uno dei più piccoli e quindi non avevo neanche ancora ben chiaro cosa sarebbe stato della mia vita, in quelle estati in campagna. C'era in compagnia, un amico ricco, che passava l'estate dalla nonna, in una splendida villa d'apoca, almeno così appariva ai miei occhi di ragazzino che ben poche cose aveva visto e che mi sembrava enorme e bellissima, con grandi saloni in cui perdersi e che oggi, un po' svaniscono nel ricordo. Quella che mi affascinava era la sala del biliardo che rappresentava per me uno status talmente elevato da incutere una specie di reverenza, in particolare verso la vecchia nonna che si vedeva di rado. I suoi genitori non li vedevamo mai, sempre impegnati altrove, mentre lui ci ospitava, nei caldi pomeriggi estivi, complice la piscina. Era particolarmente estroso e determinato, il nostro amico. Un po' più vecchio di me, di certo la sua posizione sociale gli aveva fatto accumulare esperienze che lo mettevano su un piano di predominanza assoluta rispetto a noi, che pur paritariamente gravitavamo presso quella corte. Era sempre pronto a ideare nuovi giochi avventurosi e coinvolgenti nel grande giardino che circondava la casa. Un pomeriggio lo trovammo che aveva appena terminato, credo grazie all'aiuto di un suo fratello maggiore, alcuni carrettini su cui misurarsi in una corsa giù per la discesa che conduceva all'ingresso della villa. Allora, questo era un gioco comune ai ragazzini arditi; la sofisticatezza del mezzo dipendeva solo dalle possibilità dei concorrenti nel costruirsi questa specie di veicolo basso sui cui assi venivano montati dei grossi cuscinetti che fungevano da ruote, mentre lo sterzo si otteneva mediante una corda che tirava verso di sé la destra o la sinistra dell'asse anteriore durante la discesa. L'abbrivio, se l'inizio della discesa non era sufficientemente ripida, era ottenuto dalla spinta potente di un compagno assistente, poi la pendenza della strada faceva il resto. Una specie di skateboard ante litteram su cui si viaggiava seduti in equilibrio instabile, seguito sempre da rovinose cadute al termine della discesa quando i piedi non bastavano a frenare la velocità. Il nostro amico era particolarmente spericolato e anche quel giorno si lanciò senza paura, dopo la mia spinta, lungo il vialetto di bassi alberi, prendendo sempre maggiore velocità, mentre gli altri dietro, più moderati cercavano di rallentare la marcia lasciando strisciare i piedi sulla ghiaietta fine e pericolosa. Lui no, non gli piaceva frenare, voleva sempre andare al massimo e anche quella volta, arrivato al termine della corsa, quando la stradina terminava sulla strada provinciale, tentò inutilmente di fermarsi con una sterzata decisa ma inutile. Il carrettino attraversò la strada, dove per fortuna non passava nessuna auto (com'erano poche le macchine in giro allora) capottandosi su un mucchio di ghiaia dall'altra parte. Solito seguito di ginocchia sbucciate che erano una specie di marchio di fabbrica di cui nessun ragazzino riusciva a fare a meno. Senza lacrime o lamentazioni particolari, volle subito ripetere la discesa, anche stavolta senza controllo. Si leggeva nei suoi occhi una forte determinazione ad osare, a cercare il suo limite, quello che si vorrebbe oltrepassare; si capiva già che avrebbe cercato una vita spericolata. Finito quel periodo, quando tutti ci perdemmo di vista, affrontando quelle che sarebbero state le sfide del nostro futuro, per parecchio tempo non seppi quasi più nulla di lui, se non parecchi anni dopo, quando saputolo essere diventato importante, lessi che era morto di AIDS.

mercoledì 10 febbraio 2010

Avatar: recensione.

E' la fine del mondo, in una settimana mi hanno portato al cinema due volte! Questo però, non me lo volevo perdere assolutamente, per cui ho un po' forzato la mano. Che dire. Il film è certamente furbastro e confezionato in modo da portare a casa una marea di soldi, ma questo è davvero molto importante ai fini della sua godibilità? Noi bimbi non possiamo rimanere insensibili a queste cose e ci godiamo lo spettacolo con i nostri occhialini di ordinanza attaccati alla testa e le 2 ore e 40 passano senza che tu te ne accorga. Ora, concordo completamente con chi ha rilevato (come Fabristol che ne fa una recensione intelligente e condivisibile) che è in pratica lo stesso film che gli americani fanno da cinquanta anni, senza neanche mescolare troppo il minestrone, si cambiano solo i costumi, dall'Assedio delle 7 frecce a Balla coi lupi a Pocahontas (questa copiata anche nei tratti somatici) a Star wars all'Ultimo Samurai e tanti altri, sempre si tratta di cattivissimi disonorevoli e anche stupidi da una parte e buonissimi dall'altra, con l'eroe straniero che becca la figlia del capo al meglio guerriero della tribù, con tanto di battaglia finale e arrivano i nostri; i buoni e cattivi si alternano nelle varie epoche a seconda degli umori degli utenti, e cambiano solo i nomi in codice della squadriglia all'attacco, mentre si conserva il succo dello script. Ma di tutto questo a noi bambini frega poco. In fondo ci è sempre piaciuto che la mamma ci ripetesse all'infinito la stessa favola, e quando saltava una pagina o faceva qualche variazione, subito la richiamavamo all'ordine tornare sulla retta via per recitare assieme ad alta voce la battuta finale. E poi anche Eco dice che “Un clichè è stucchevole, mille sono sublimi”. D'altra parte è pur vero che i topoi li avevano già inventati tutti i greci e bisogna ripescarli comunque, si tratta solo di farlo bene o male. Per esempio a Ginevra è piaciuto molto il tema della rete che inserisce un concetto di novità piuttosto attuale, ma quello che più mi ha affascinato è stata senza dubbio la descrizione puntuale e fantasmagorica della foresta e del paesaggio di Pandora, una attenzione minuziosa ai particolari che, potentemente valorizzata dal 3D, vale certamente il prezzo del biglietto, anche se io l'ho visto in una sala attrezzata 3D, ma non specificamente. La serie delle forme e dei colori presentati ti avvolgono davvero, come dice qualcuno, in modo tale che si fa fatica ad uscirne e a noi puffi, alla fine non interessa molto se nella RR (Realtà Reale), invece, i nativi sono quelli che perdono sempre, come capitava ieri e capita oggi in Amazzonia o nelle zone tribali dell'India e la cosa più sensata che deve fare un nativo, quando sente arrivare i bulldozer, è infilarsi nel fitto della foresta finché gliene rimane un pezzettino o mettersi un paio di jeans e fare il turista. Noi teniamo sempre per quelli che con le frecce tirano contro il carro armato, sia Vietnam o Bataclava. La cosa che invece mi ha entusiasmato meno tra le molte furbate, tanto per andare un po' controcorrente, è la tirata new age dell'unione dell'uomo con la natura, un ecologismo di facciata acritico, certo molto attuale e acchiappaconsensi, che punta tutto da una parte sul mito del Buon Selvaggio di Russeauiana memoria, ben lontano dalla realtà e della perfida multinazionale dall'altra, se si vogliono indagare questi problemi in maniera non emozionale. Mancava solo qualche frase che assicurasse che i cibi mangiati dai Na'vi erano garantiti OGM free ed eravamo a posto anche per la Coop. Questo taglio deciso mi sembra indicare che, anche se la gestazione del film è stata di 15 anni, l'inserimento di alcuni precisi indirizzi sia più recente, ben tastato il polso della moda teoecologista, anche se io per esempio, tanto per essere ancor più furbastro, i nativi, li avrei fatti vegetariani. Ciò detto, ho quasi voglia di ritornare a vederlo, magari in una sala real 3D. Noi fanciulli non ne abbiamo mai abbastanza. Intanto beccatevi il trailer.


martedì 9 febbraio 2010

Oggetto misterioso 4: soluzione.

Dunque, anche a causa di una notizia che mi ha profondamente turbato e di cui dopo vi relazionerò, corre l'obbligo di dare la soluzione dell'oggetto misterioso n. 4. Ricorderete che eravamo ai bordi di un sentiero dell'Orissa, una stato indiano ricco di razze tribali e pre-ariane, a colloquio con una timida ragazza Kondh dalla inquietante dentatura, mentre contrattavo l'oggetto di cui sopra, che stava appeso in bella mostra tra i neri e lucidissimi capelli della medesima. Portava orecchini bellissimi e tre collane di perline e non aveva bustino sotto il sari giallo oro che le copriva la spalla destra e teneva in braccio un bimbo vivace. Si tolse dunque il pettinino e me lo porse dopo averne dimostrato l'uso specifico. Si trattava infatti di un togli-pidocchi dai rebbi strettissimi e sottili, fatto con legnetti levigati ad uno ad uno e legati assieme con fibre colorate a formare un motivo geometrico ornamentale. Una compagna prendeva le ciocche alternativamente facendo passare il pettine per evidenziare gli animaletti e staccava i lendini che rimanevano pervicacemente attaccati ai capelli, che venivano poi unti con olio per abbellimento e protezione. Ma lasciamo le nostre ragazze che se ne vanno verso il mercato ad impiegare il denaro ottenuto dallo scambio e veniamo alla notizia che potrete più diffusamente leggere su Milleorienti o da Indonapoletano: -Muore l'ultima dei Bo-. Capirete bene che la cosa non poteva lasciarmi indifferente. La signora Boa era l'ultima sopravvissuta della tribù dei Bo del gruppo Jawara, nelle isole Andamane ed era l'unica rimasta a parlare il Bo, una delle dieci lingue andamanesi. Questa area, proprio come l'Orissa è popolata di tribù pre-ariane ed è particolarmente interessante dal punto di vista antropologico. E' vero che quando scompare un popolo e la sua lingua, il mondo diventa un po' più povero, ma probabilmente questo è un destino che non si riesce ad evitare in nessun modo. Sarebbe interessante almeno conservarne le conoscenze, ma credo che anche questo non interessi a nessuno. Nel video qui allegato tratto dal sito Survival a cui consiglio di dare un'occhiata, sentirete la struggente voce della ottantenne signora Boa cantare una canzone nella sua lingua ormai perduta.

lunedì 8 febbraio 2010

Il concerto: recensione.

Il titolo di oggi è già pomposo e pretenzioso quanto basta, ma, dato che mi portano al cinema di rado, l'occasione di ieri è stata così piacevole e divertente che non posso fare a meno di fare un cenno al riguardo. Il film di Radu Mihaileanu, regista anche di Train de vie, non poteve certo deludere e men che meno deludermi, dato lo stile narrativo che mi è particolarmente congeniale. Un racconto semplice quello de Il concerto, fondato su un topos classico, quello della sostituzione e dell'inganno, raccontato in maniera lieve ed aiutato da un montaggio indovinato che riesce ad equilibrare ed a sostenere la storia anche nei rari momenti di perdita di tensione. In breve, alla fine degli anni ottanta, il grande direttore d'orchestra del Bolshoi di Mosca, Filippov, viene destituito ed umiliato perchè si rifiuta di aderire alle imposizioni antisemite del regime e costretto a trascorrere i successivi trenta anni come uomo delle pulizie del teatro stesso. Un giorno intercetta casualmente un fax di invito, per l'orchestra del Bolshoi, da parte di un teatro di Parigi per tenere un concerto. Così comincia questa improbabile sostituzione, con l'affannosa ricerca dei vecchi componenti dell'orchestra finiti in un girone di vite miserabili, per sostituirsi agli attuali musicisti. Lo scombinato gruppo riesce ad arrivare a Parigi, dove, complice la più classica delle agnizioni, si svolgerà l'apoteosi del concerto di Tchaikovsky, ragione di vita dei vari personaggi. Il film è certamente elegante e carico di emozione nel suo svolgersi ed è particolarmente godibile, per chi come me ha frequentato la Russia di quegli anni e che potrà ritrovare con impressionante vividità e precisione, personaggi, situazioni, particolari che appaiono come macchiette, magari un po' forzate ed invece, vi assicuro, avevano un riscontro con la realtà preciso e reale. L'antisemitismo sovietico, molto presente nella società russa, la descrizione del Nuovo Russo, personaggio delle infinite barzellette, ma riscontrabile continuamente in molti ambienti, il vecchio membro del partito, ex-KGB, il colore dei diversi personaggi e delle loro vite disperate eppure, in un certo senso serene, la vodka, presenza ineludibile e costitutiva dell'intero paese, i matrimoni che, invariabilmente finiscono con la sposa ubriaca e le bottigliate in testa, anche il gruppetto di nostalgici prezzolati in Ploshad Revoluzij, alla domenica mattina, che ho fotografato anch'io, tutto apparentemente esagerato ed invece incredibilmente vero. Una serie di situazioni tragiche e divertenti che vi condurranno al gran finale con struggente divertimento. Fossi in voi andrei a vederlo, ve lo consiglio caldamente. Vi aggiungo, per stuzzicarvi, il trailer visibile su Youtube.

domenica 7 febbraio 2010

Niù, Hù.

La prossima settimana in Cina ed per estensione in tutte le Chinatown del mondo sta per scoppiare il capodanno, la festa per eccellenza per i cinesi, che si fermeranno completamente per almeno una settimana alla faccia del lavoro indefesso. Si passerà dunque dall'anno del bue a quello della tigre. Ecco perchè oggi ho deciso, previa consultazione con Ferox, mio duca in questo campo minato, di esaminare questi due caratteri, che come molti altri, provengono dall'osservazione precisa della natura. Il bue (o bufalo) ,-niù , il segno dell'anno che se ne sta andando, è il secondo animale che accorse al richiamo del Budda morente e quindi è anche il secondo segno dell'oroscopo. Viene considerato segno di grande meticolosità e di concentrazione nel lavoro e chi è nato in questo segno è generalmente considerato molto affidabile ed apprezzato. Segnalatelo nel curriculum se intendete andare a lavorare da quelle parti, tutto serve. Nel pittogramma originale si vedevano entrambe le corna assieme alle quattro zampe; qui, nel semplificato, si vede la testa di profilo con un corno solo, ennesimo sfruttamento da parte dell'uomo. E' curioso notare che questo ideogramma unito a quello di cavallo, altro animale da fatica, significa "bestie da soma" ma, per estensione anche "contadino" .Se invece si scrive sotto il segno di tetto, che già ben conoscete vale "recinto", ma anche "prigione", il bue è mica scemo e lavora appunto come un bue perchè è costretto a farlo, ovviamente. Ma lasciamo l'anno che se ne va e osserviamo quello che arriva sotto il segno della Tigre, -hù, il terzo animale arrivato dal Budda, simbolo di carisma, fascino, fermezza, dinamicità e anticonformismo. Imprevedibili e originali, i nati di questo anno, amano il rischio ed infrangere le regole, per questo non sono molto amati dai datori di lavoro; anche qui, dunque occhio al curriculum. Lì ci badano a queste cose. Il radicale originale rappresentava solo le complesse striscie del felino sopra al segno che significa "zampe". Quindi l'ideogramma definitivo mostra la belva stilizzata, ritta sulle zampe posteriori in procinto di gettarsi sulla preda e sbranarla. Appaiato al segno di bocca, significa"le fauci della morte".Brrrrrr... Però date retta a me, se trovate qualcuno della tigre, non abbiate timore, sarà un incontro piacevole; come dice il proverbio, cinese appunto, "Chi cavalca la tigre, non vuole mai smettere."

sabato 6 febbraio 2010

La bellezza e la storia.

Non c'è dubbio che questi siano tempi difficili. Tutti intorno a me continuano a ripeterlo in un persistente e fastidioso lamentarsi, senza rendersi conto che nessuno di coloro che ci ha preceduto, ha vissuto un'epoca così bella, ricca di stimoli e di benessere come la nostra. La scienza ci ha dato molto, la nostra cultura ci permette di godere della bellezza che ci circonda, i nostri artisti ed architetti hanno popolato le nostre città di meravigliosi palazzi in cui vivere è bello a confronto di quanto era triste e disagevole il nostro passato. La scienza, le matematiche, la fisica e l'astronomia hanno aperto le nostre menti alla conoscenza di tutte quelle verità che ci hanno permesso di capire molto del nostro mondo, permettendoci di lasciare alle spalle credenze e superstizioni del passato. I medici conoscono adesso molti segreti del nopstro corpo ed intervengono in modo efficace quando, maligna, si presenta la malattia. Come è difficile però in questi tempi, governare questo popolo che è diventato esigente e infastidito da ogni difficoltà che si frappone tra sé ed il proprio desiderato benessere. Il mio popolo è diventato vecchio, ha perduto la forza e l'iniziativa che lo hanno portato alla splendida cultura di oggi ed io che devo governarlo, migliorarne il suo benessere, se possibile e pensare al suo futuro, mi trovo ogni giorno stupito di come il nostro splendore e il nostro sapere ha fatto adagiare il nostro popolo in una sorta di torpore tranquillo e senza creatività. La nostra tolleranza che ci ha fatto accettare tutto e tutti, anche i barbari violenti che premono ai nostri confini, attratti dalla nostra ricchezza e dalla nostra vita apparentemente serena, è diventata, secondo chi mi critica, una colpevole debolezza che ci fa accettare senza reagire, prepotenze ed attacchi al nostro sistema. Certo questa folla di barbari, giovani e determinati, vogliono venire nella nostra terra. Come non potrebbero essere attratti dalla sua bellezza e dalle sue ricchezze, là nel loro mondo, dove vivere è difficile, dove la povertà e l'ignoranza miete vittime e predispone quindi i più disperati ad essere facile preda dei loro peggiori maestri, quelli che hanno trasformato la loro religione, che come la nostra predicava amore e tolleranza verso il prossimo, in una ragione di odio verso l'altro, determinata soprattutto a conquistare gli infedeli e a sottoporli al loro giogo, senza accettare il loro modo di pensare. Dicono che è il loro Dio che vuole questo, eppure noi ci stiamo comportando verso di loro con tolleranza e li accogliamo senza troppe remore. Ecco, anche di questo mi accusa spesso il mio popolo ed i miei consiglieri, di concedere loro di seguire il proprio culto, di avere concesso luoghi dove praticarlo, di non imporre loro regole più stringenti che li obbligassero ad assimilarsi a noi velocemente, E non considerano il fatto che questa gente svolge lavori che noi non vogliamo più fare, ci servono in effetti, i mercati ne sono pieni e anche la nostra economia ne ha bisogno per aumentare la propria prosperità, messa così duramente alla prova in questi ultimi tempi. Anche le altre nazioni nostre amiche mi accusano, con questa politica troppo tenera nel confronto di questi stranieri di essere il ventre molle del Mediterraneo, la breccia attraverso cui l'orda degli invasori si precipiterà per distruggere il nostro mondo, la nostra cultura. Forse hanno ragione, fin dall'antica Grecia il cui pensiero è stata la fonte prima della nostra storia, fin da quando i suoi pensatori ineffabili hanno potuto e saputo condizionare il nostro mondo, sempre i barbari hanno premuto alle porte attratti morbosamente dalla ricchezza e dalla presunta facilità di vivere. Più vivi e vitali hanno premuto fino a rompere la debole diga e hanno invaso i mondi desiderati; poi, invece di devastarli come temuto ne hanno assorbito la cultura, vi hanno riversato la propria, piccola o grande che fosse e da lì è nata una nuova realtà capace di crescere ancora, di svilupparsi e di creare nuova bellezza. Certo chi rimprovera la tolleranza del mio governo, teme questo come la peste, non accetterà mai di abdicare, di mescolarsi, di riconoscere la propria decadenza. Ma temo che questo processo vada avanti da solo, senza possibilità che il suo corso venga mutato dalla volontà degli uomini. La nostra terra, lo splendido reame di Al Andalus sarà forse destinato ad esser invaso dall'orda dei cristiani violenti ed assetati del nostro sangue, con i loro vescovi che predicano la violenza, dovuta e richiesta dal loro Dio verso il nostro mondo. Forse il nostro mondo scomparirà. Ma la bellezza di Cordoba e di Granada, non potrà mai essere uccisa, seppellita dall'ignoranza. La rozzezza violenta delle croci brandite non potranno ignorare la bellezza dei nostri palazzi e le conoscenze che i nostri scienziati condensano nelle nostre biblioteche non andranno mai perdute, forse proprio da lì i selvaggi potranno recuperare la sapienza degli antichi che il loro mondo ha perduto da mille anni e che noi abbiamo serbato per loro arricchendola con la nostra intelligenza nei secoli. Non possiamo fermare la storia; io, Abū Abd Allāh, Sultano di Granada, so di essere nel giusto a proseguire lungo il mio cammino. Chi ha una cultura più avanzata non può accettare di usare le stesse armi dei barbari. Risponderò all'odio con la tolleranza, anche perchè non posso fare altrimenti, i pochi e deboli guerrieri che mi rimanevano li hanno fatti fuori tutti a Roncisvalle. Che tempi difficili!

venerdì 5 febbraio 2010

Oggetto misterioso 4: Zucche verdi.

Eccoci ad una nuova puntata dell'oggetto misterioso, che stavolta ho ripreso solo parzialmente, in un suo particolare per non scoprire troppo le carte e facilitarvi eccessivamente, levandovi il divertimento di indovinare. Dunque siamo in Orissa, uno degli stati indiani più poveri ed arretrati, ma ricchissimo di diversità etnico-culturali. Il monsone che non dava tregua da giorni, aveva avuto una piccola pausa e la foresta che ricopre una larga parte della regione brillava di un verde carico, in attesa di pompare umidità man mano che il calore, perduta la moderazione della pioggia, aumentava, rendendo l'aria pesante e appiccicosa. Camminavamo lungo un largo sentiero di terra rossa fangosa che, dal punto in cui avevamo lasciato l'Ambassador bianca, raggiungeva un largo spiazzo dove si radunava un grande mercato che raccoglieva gente proveniente da una dozzina di villaggi delle montagne circostanti. A piccoli gruppi o da soli, uomini e donne arrivavano dai sentieri laterali, portando sulle spalle o in testa, contenitori artigianali di paglia e frasche secche con ogni tipo di cose da vendere o da scambiare, soprattutto frutta e verdura. Erano i ritardatari ed i compratori evidentemente, in quanto il mercato era già popolatissimo ed erano ormai le nove del mattino. Ci fermammo un momento a riprendere fiato sotto un grande albero di fianco al quale affluivano due piccoli sentieri seminascosti da giganteschi philodendron dalle foglie così grandi da riparare dallo sgocciolamento degli alberi soprastanti. Sedute a terra e circondate da ceste piene di piccole zucche verdi e di peperoncini scuri dall'aspetto inquietante, due donne di etnia Gondria Khond ci guardavano curiose ridacchiando tra di loro. L'approccio fu condito di sorrisi e ammiccamenti, mentre la bambina col fratellino in braccio che le accompagnava era invece più seria e sospettosa, stropicciandosi il naso ornato con i tre anelli che contraddistinguevano la sua provenienza, una sorta di piercing che, se conosciuto, potrebbe attaccare anche da noi. Il mio interesse fu attratto dall'oggetto in questione che una delle due donne portava con sé, come evidente strumento di utilità, anche se univa le sue necessità costruttive ad un particolare gusto estetico che aveva trasformato i particolari tecnici in elementi decorativi particolarmente piacevoli. Ci accordammo sul prezzo rapidamente, anche perchè la ragazza, stupita che fossi interessato a quell' oggetto già palesemente ed a lungo utilizzato, riteneva probabilmente molto facile ricostruirselo rapidamente. La bambina ed il fratellino forse non erano d'accordo e per rabbonirli, lasciammo le solite caramelle. Quando ce ne andammo verso il mercato, ricominciò a piovere piano, ma anche i bambini sorridevano. Non sarà difficile anche per i miei lettori individuare l'uso dell'oggetto in questione. Attendo la consueta valanga di risposte. Intanto approfitto per esibire anche un'immagine dei bambini in questione.




giovedì 4 febbraio 2010

La musa inquietante.

Ne ho già parlato, ma devo ribadire che Tersicore è una Musa che pretende fedeltà e dedizione, quando ti accoglie tra i suoi adepti, non c'è più niente da fare, è un abbandondarsi totalizzante che non lascia spazio ad altre passioni, che ti prende senza che tu possa più opporti al suo abbraccio soffocante. E come ho già detto è, in generale, la femmina a soggiacere a questo dominio, quando entra nel tempio e se ne fa sacerdotessa per sempre, pronta a partecipare e a subirne i prepotenti e periodici baccanali, in cui persa la cognizione del tempo e dello spazio si fa interprete perfetta del volere della dea. Tutti credo concordano col fatto che invece, il genere maschile è assai meno sensibile a questo morbo, se non in rari casi, in cui diventa difficile discernere se l'attività coreutica è veramente fine a se stessa ed al godimento puro che deriva dallo stordimento causato dall'apnea delle continue giravolte, con conseguente minore afflusso di sangue arterioso agli emisferi cerebrali, cosa che come è noto era ricercata da certi particolari cultori del piacere estremo, oppure se viene considerata come parte accessoria ma non certo secondaria, dell'arte dell'acchiappo, attività questa, ancora molto curata da diversi elementi, anche in età più avanzata, che suggerirebbe all'opposto, altre e meno impegnative, se pur soddisfacenti dedizioni, come gli scacchi e le bocce (aggiungo per carità di patria, tenere in piedi un blog). Rimane il fatto che tutte queste sacerdotesse ambirebbero invece ad avere un sacerdote accanto che consentisse contemporaneamente lo studio e lo sviluppo del baccanale in maniera tradizionale, mentre, proprio per le ragioni sopra accennate, questa categoria deficita nel modo più tragico, costringendo le poverette a non potersi dedicare a settori come il liscio e i balli standard per totale mancanza di materia prima. Più soddisfazione invece arriva dalle sezioni latino-americano e tango argentino, ma qui è facile leggere la cifra della succitata voglia di acchiappo, che fa lievitare se pur di poco, la presenza maschile. Ecco il motivo del grande successo dei balli di gruppo che possono sfuggire parzialmente a questa logica di coppia, potendo comunque avere soddisfazione anche da una sbilanciata presenza dei due sessi. La mia povera signora è stata particolarmente sfortunata sotto questo riguardo, avendo maturato da un lato una sfrenata passione per la danza e subendo al suo fianco la presenza di un personaggio, assolutamente inadatto, per dimensioni e per attitudine, alla bisogna. Per non intristirsi dunque avvizzendo vicino al caminetto nei lavori di ricamo e di tombolo, abbandonata da tempo la sublime arte del Tai Ji (dopo aver confessato che praticava solo per amore), ha dovuto quindi rivolgersi a questo tipo di balli, che per la verità, anche visti dall'esterno appaiono accattivanti e non privi di una loro selvatica attrattiva. Così il virus della febbre del Country Line Dance e la scuola di ballo Eclisse, l'hanno ormai completamente conquistata, ne è avvinta e convinta allo stesso tempo e pare ne tragga un buon giovamento fisico e psicologico e questo mi sembra che sia un bene. Naturalmente io, anche se non partecipe dell'attività più propriamente ludica, sono chiamato spesso ad intervenire per documentare e allo stesso tempo ho così la possibilità di apprezzare i progressi e di controllare che il danaro delle lezioni sia stato ben impiegato. Comunque anche al fine di tenervi al corrente di questi fatti, allego il video che illustra la performance di Natale, chi sa che anche qualcuna delle mie lettrici non venga attratta nel gorgo. Non fatevi distrarre dagli altri ballerini, la mia ha cappello nero e camicia a scacchi blu.

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