venerdì 30 novembre 2018

Oman 27 - A pescare a Ras al Hadd

Aragoste

Meditando sulla caducità della vita
Il giro di ieri è stato appagante ma anche piuttosto faticoso, così ci voleva qualcosa di, per così dire speciale, tanto per dare un senso di appagamento finale alla giornata. Così, dopo la doccia ristoratrice, la mezz'oretta di cazzeggio sul divano nel cortile, mentre scende la notte ed il thé speziato spande i suoi aromi di zenzero e cardammomo nell'aria, non è fine a se stesso, ma è soltanto un intermezzo gradevole mentre alle nostre spalle senti Yanush che traffica attorno al fuoco, producendo carbonella in quantità, mentre la griglia comincia a prendere colore. Si parla di vita omanita, tanto per cambiare. Rachid aspira da narghilè, emettendo nuvole di fumo bianco che spande delicati profumi di mela. Lui non dice niente, anche se capisce abbastanza l'italiano, ascolta e basta, chissà se pensa che parliamo molto ma non abbiamo capito niente, noi poveri turisti che pretendiamo in quindici giorni di comprendere le complessità di un popolo e di una cultura così diversa. Poi l'aroma di mela si attenua affievolendosi, coperto da altri effluvi assieme delicati e tuttavia avvolgenti. Volgi con fatica la testa all'indietro e le vedi, sono lì tutte in fila a far bella mostra di sé, una serie impressionante di aragoste da quasi un chilozzo cadauna, che distese sulla griglia prendono lo schiaffo del calore della brace rosso cinerea che poi continua la sua carezza ammaliante. Ragazzi è giunta l'ora che volge al desio e la tavola è già pronta. Meglio affrettarsi.

In cottura
Arriva subito una crêpe gigante piegata in quattro e ripiena di ritagli di aragosta e ricoperta di crema di parmigiano che da sola già rappresenterebbe una cena sufficiente, ma il gran vassoio ricolmo degli amici crostacei è alle porte e occupa la parte centrale della tavola con regale imponenza. Due a testa, che spanciata ragazzi, cotte alla perfezione, odorose di salsedine senza l'insulto aggressivo di nessuna spezia, soltanto sapore di mare nature. Una tantum è una goduria alla quale bisogna cedere, d'altra parte è roba che Iapo ha già comprato e messo da parte per i suoi amati ospiti, qualcuno dovrà pur consumarle, vuoi mica fargliele buttare via? Ammetto che finire tutto è stato un lavoro duro e impegnativo, ma si sa, qualcuno lo doveva pur fare e poi i doni del mare (дары моря, si chiamavano così i negozi di Mosca che vendevano crostacei pesci costosi, nella mia trascorsa vita sovietica), si digeriscono senza problemi anche con un leggero sentore di aglio e la cuoca sopraffina, ci ha lavorato bene, dosandolo con sapienza, come il nostro grigliatore bengalese, per la verità. La notte così è passata senza sofferenze e neanche questa volta abbiamo sentito il muezzin nella preghiera del mattino. Così quandosi è aperto il nuovo giorno, un senso di appagamento generale mi ha colto, assieme alla volontà di trasformare anche questa giornata di riposo e poltroneria, in qualche cosa di speciale.

Sulla barca di Grezzolo
Infatti ieri sera è corsa una voce che la mattina stessa, a qualche chilometro dalla costa fosse stato avvistato un passaggio di balene, una ventina di megattere, così dicevano i pescatori. Allora alle nove, lancia in resta, tutti sulla macchina di Iapo per andare alla spiaggia dove è ormeggiata la barca di Grezzolo, l'amico pescatore, opportunamente avvisato e che è lì che ci aspetta, avendo appena terminato di fare il pieno al serbatoio. Varata la barca a spinta con il pickup, eccoci di nuovo in mare, chi si ferma è perduto. Grezzolo intanto che vira verso il largo, telefona agli amici per sentire se si vede qualcosa, intanto il mare non è liscio come l'altra volta e la barca salta sulle onde con una certa baldanza, traendo qualche gridolino alle fanciulle ogni volta che dà una spanciata, dopo aver superato la cresta di un'onda e ricadendo pesantemente sul fondo della sinusoide successiva. Tuttavia sto benissimo. Se penso che da ragazzo non riuscivo neppure a fare cento metri in macchina senza vomitare alla prima curva, soffrivo addirittura il treno, tanto per dire, ed ero convinto che per tutta la vita non mi sarei mosso più di tanto, al massimo a piedi, devo dire che chi la dura la vince e adesso direi che sono in grado di utilizzare qualunque mezzo di trasporto, dall'ottovolante al dromedario senza avere più problemi.

Delfini
Incrociamo altre barche di pescatori, ma sembra che oggi di balene non ci sia neppure l'ombra. Mentre stiamo elucubrando sulla nostra sfortuna, eccoci di nuovo in mezzo ad un brulicare di vita marina, siamo di nuovo assediati da centinaia di delfini che nuotano sollevando in sincronia il dorso fuori dall'acqua e accompagnano la rotta della barca precedendola o giocando con la sua scia spumeggiante, mentre altri più lontani saltano fuori piroettando nell'aria prima di ricadere pesantemente tra le onde con una spanciata rumorosa. E' davvero uno spettacolo avvincente seguire il branco che si muove all'unisono verso il largo. Vicino al bordo della barca, dove l'acqua è più trasparente, vedi le grosse sagome che nuotano zigzagando alla nostra stessa velocità rimanendo sotto di noi, per poi spostarsi di colpo avanti e scomparire nel blu più profondo. Sono animali davvero accattivanti questi delfini; quando il branco si muove ancora verso il largo, li lasciamo andare con un certo rimpianto; saremmo stati appresso a loro ancora per un bel po'. Riprendiamo così a navigare a bassa velocità; Grezzolo tira fuori le lenze che hanno attaccate al fondo un grosso pescetto colorato di alluminio di una decina di centimetri, da cui spuntano cinque o sei ami. Le ragazze cominciano a lasciare in acqua le lenza lasciandole scorrere per qualche decina dimetri, poi è tutto un prendi prendi, perché subito qualcosa morde e tra l'agitazione generale si comincia a tirar su.

La pesca miracolosa
Ecco che dalle onde emerge prima una grossa lampuga, poi altri pesci, pare pregiatissimi, infine Tiziana pesca un tonnetto di quasi un metro che come gli altri finisce nello spazio chiuso sotto la barca. Insomma una vera e propria pesca miracolosa che servirà per la cena di stasera. Ci affianchiamo ad una barca che beccheggia in mezzo ai flutti, evidentemente si è rotto il motore. I due ragazzi che sono sopra, due turisti francesi, stavano piangendo terrorizzati e persi in mezzo al mare, ma qui questi problemi si risolvono facilmente. Lanciamo una cima ed eccoli trainati a salvamento fino alla riva. Intanto ci siamo avvicinati alla spiaggia, dove sotto la barca cominciano a vedersi grandi tartarughe verdi che nuotano tranquille. Proseguiamo verso la laguna interna di Ras al Hadd, Una specie di fiordo dalle acque cristalline che tra alte pareti di roccia color ocra si insinua per un lungo tratto all'interno della costa. Giriamo attorno a piccole isole deserte e a dei pontoni galleggianti che ospitano locali dove trascorrere piacevolmente le serate di calura, mangiucchiando qualche cosa stesi sui tappeti ed i cuscini colorati, magari guardandosi una partita di Liga e poi con calma, bordesando, torniamo verso l'arenile, dove andiamo ad arenarci dopo la solita rincorsa all'assalto della battigia. Rimane solo il tempo per fare un bel bagno nell'acqua calda. Anche se delle bramate balene non c'è stata neppure l'ombra, la giornata è stata ugualmente molto piacevole. Direi che da queste parti fai davvero fatica ad annoiarti. Riempiamo la cassa dei pesci catturati e si riprende la strada verso casa.


Crêpe all'aragosta

La laguna di Ras al Hadd
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Grigliate a puntino




martedì 27 novembre 2018

Oman 26 - Al Ashkhara


Per le strade di Al Ashkhara


Al Askhara
L'oasi di Jalan Bani Bu Ali è molto grande, anzi diciamo che è la vera oasi classica delle zone desertiche di tutto il mondo. Una vasta area un po' più depressa del territorio circostante, dove si raccoglie una umidità sufficiente alla vita di piante non troppo igrofile come le palme e consente quindi, grazie ad una opportuna canalizzazione di qualche sorgente anche lontana, una circolazione della poca acqua disponibile. Le abitazioni vengono erette al di fuori ed ai margini di questa area, sulla roccia o sulla sabbia, proprio per non sprecare neanche un metro di terra utile. Certo è lontana dalla visione oleografica che abbiamo di solito dell'oasi, quattro palme attorno ad un pozzo, dieci dromedari assetati e due tende beduine in lontananza. Lasciato quindi il centro della cittadina tra case nuove, alternate a ruderi fatiscenti, polveroso e calcinato da un sole spietato, è piacevole fare un giro nella parte verde dell'insediamento, seguendo vie tortuose che penetrano i vari appezzamenti, regolarmente separati da muraccioli a secco per suddividere le varie proprietà, nei quali crescono i palmeti dai quali si ricavano i datteri, la vera ricchezza alimentare che ha mantenuto in vita per millenni, la scarsa popolazione di questa parte di mondo. A volte nei punti più umidi, sotto l'ombra degli alberi, vedi piccoli orti, un po' stentati, dove verdure di vario genere tentano di vincere la loro battaglia, sopravvivendo fino a fornire qualche pomodoro o melanzana, per meglio integrare la dieta.

Al bar
Forse oggi, che è così più semplice farli arrivare dall'estero, da paesi dove questi ortaggi crescono con prepotenza, spinti da una natura generosa, questo aspetto dell'oasi è un poco più trascurato che in passato, ma nei luoghi più lontani, questa pratica continua, per tradizione e per comodità. L'imponente rete dei falaj che trasportano l'acqua anche da luoghi molto lontani, forniscono anche l'utile mezzo per delimitare e suddividere le varie proprietà, anche se devono essere continuamente manutenuti. Un sistema di acquaioli, provvede poi a distribuire il liquido prezioso, aprendo e chiudendo le varie bocchette che accedono ai campi, che vengono via via sbarrate con sacchi di stoffa e sabbia, secondo una precisa turnazione, come accade da noi nelle zone di risicoltura. Anche se intorno non c'è quasi nessuno, la presenza di questa vegetazione ed il debole stormire delle fronde delle palme, ti dà immediatamente un senso di vita attiva, in netto contrasto con la sua totale assenza che percepisci tra le rocce immobili del deserto circostante. Passa un asinello col basto carico di sacchi che paiono scoppiare, tanto sono ripieni di datteri. Sta andando verso il mercato. Lo seguiamo, lungo la via stretta e tortuosa, senza accorgerci che stiamo imboccando un senso vietato, Immediatamente blocchiamo il traffico di una serie di macchine e camioncini che arrivano in senso opposto. Nessuno si agita o insulta. 

Polpo
Il bottino della giornata
Con gentilezza un signore ci spiega il nostro errore, come e dove indirizzare la nostra retromarcia, anzi uno ci accompagna addirittura per un pezzo di strada nella direzione voluta. Vicino al centro c'è uno dei pochi ristoranti davvero omaniti della regione. Infatti, essendo questa attività gestita per lo più da immigrati provenienti dal subcontinente indiano, la cucina prevalente ha sempre sapori orientali con preminenza di spezie e chilly che coprono ogni altro sapore. Qui invece puoi gustare alcuni dei pochi piatti a cui facevano riferimento gli abitanti autoctoni in passato. Si mangia sui tappeti, seduti per terra e appoggiati ad una serie di cuscini. Al centro si mette una tovaglia di plastica e in mezzo ai commensali vengono messi i vari piatti comuni, da cui ognuno si serve. La tradizione vorrebbe che si mangiasse con le mani, ma di norma vengono fornite delle posate. C'è un grande piatto di riso, con uvetta e zafferano, pesci alla griglia e del tenerissimo polpo in salsa, delicata e gradevolissima. Ma la chicca è un'insalata di tonno crudo sfilacciato, marinato nel lime, davvero delizioso. Ci spostiamo nel bar adiacente, anch'esso in stile omanita, dove gustare un buon thé alla menta, sdraiati sui cuscini tra fumi profumati di narghilé. Una serie di anziani accoccolati lungo le pareti, ci guardano compiaciuti, salutandoci all'uscita con aria rilassata. Hai una sensazione di assoluta gradevolezza che puoi gustare sulle piazze di certi paesi assolati del sud.

IL marlin
Da qui al mare c'è ancora un'oretta di strada attraverso un paesaggio roccioso e assolutamente desertico, fino ad arrivare al porto di al Ashkhara, un'importante centro dove confluiscono i grandi dhow che pescano al largo della costa. Proprio sul molo più estremo ne stanno scaricando uno. I marinai sono tutti bengalesi, piuttosto cordiali. Un gruppetto, probabilmente quelli che hanno seguito le faticose operazioni di recupero delle reti, sta mangiando a  poppa, mentre altri scaricano il pescato estraendolo dalla stiva sottostante. Già sul molo giace un marlin colossale di almeno tre metri di lunghezza, con la grande pinna dorsale a ventaglio ormai semichiusa, mentre via via vengono estratti da sotto innumerevoli squali neri di grandi dimensioni, che vengono ammonticchiati sul molo e successivamente caricati sul camion frigorifero che aspetta con le porte aperte per ingoiare l'intero bottino. I pesci più grandi vengono acchiappati con lunghi ganci e faticosamente portati a forza di braccia fin sul pianale per essere poi ammonticchiati all'interno. I facchini si danno forza con grida ed incitamenti ritmati per caricare i pesci più grandi che devono essere sollevati anche da due o tre persone. Poi è la volta dei tonni, delle lampughe e di tante altre specie esotiche dalle forme sconosciute. Questo è davvero un mare particolarmente pescoso e mi dicono che nei momenti di punta il prezzo del tonno scende ad un real al chilo. Non sorprende quindi l'uso continuo del pesce nella dieta quotidiana della costa.

Barracuda
Ci fermiamo più avanti sulla riva del mare sulla quale, la bassa marea ha lasciato scoperta una larga barriera di scogli appuntiti e corrosi, su cui camminano con aria intenta, donne, ragazzi, bambini con l'aria dei cercatori di tesori. Di tanto in tanto qualcuno si china e infila nei buchi che si formano tra le rocce, un lungo bastone, frugando con movimenti alterni per arrivare il più in fondo possibile. Di tanto in tanto un polpo si aggrappa al bastone ed il cacciatore lo estrae con giubilo, acchiappando il malcapitato che viene riposto poi in qualche sacchetto legato alla vita. La scogliera è piena di cercatori. Rachid parcheggia la macchina sulla sabbia di questa riva infinita di cui non riesci a scorgere neppure l'estremo limite e corre al limite dell'onda con il suo bastone. Lancia in resta, comincia compulsivamente a seguire un suo percorso, sasso dopo sasso ed ecco che finalmente mostra la sua preda, levando in alto il braccio attorno al quale il malcapitato cefalopode si aggrappa avvolgendola dei suoi tentacoli. Un altro paio sono acchiappati in pochi minuti, creando così una massa critica sufficiente per la cena e riprendiamo la strada, dopo esserci fermati con un gruppo di ragazzi che mostrano orgogliosamente il bottino della giornata appeso ad un lungo bastone. Per uscire attraversiamo il centro della città vecchia, molto bello ed omogeneo, fatto di case antiche. A quest'ora, col sole che scende, vedi qualche donna velata che esce, aprendo con timidezza le belle porte istoriate di legni antichi.

Squalo

SURVIVAL KIT

Al Shabai
Shabai Restaurant - Ristorante in stile omanita a Jalan Bani Bu Ali. Si mangia, seduti a terra, fatevene una ragione, perché intanto non ci sono sedie. I piatti sono gradevoli ed abbondanti, comunque c'è sempre pesce alla griglia, raccomandatevi sempre che non lo facciano cuocere troppo. Sosta obbligata nella zona.

Al Ashkhara - Città sulla costa a circa 50 km da Jalan e ad un centinaio da Ras al Hadd al nord, verso cui si rientra seguendola strada della costa, in circa  un'ora e mezza. Città nota per la sua attività di pesca. Al pomeriggio si può andare al molo dove arrivano le navi a scaricare il pesce. Centro interessante, perché ha mantenuto l'antica struttura. Da osservare le vecchie porte delle case.

La spiaggia

Pescatore bengalese
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Graffitari all'opera

lunedì 26 novembre 2018

Oman 25 - Le moschee di Jalan Bani Bu Ali


La moschea al  Hamuda

Mercato dei fieni
La cittadina sembra semideserta se giri appena per le sue stradine polverose. Tra le case, quasi tutte nuove o appena ridipinte, trovi qua e là un area occupata da muraccioli di argilla cruda caduti, dei quali rimangono soltanto spuntoni grigi dilavati da antiche piogge e cumuli di pietre ammonticchiate negli angoli. Sono le tracce del vecchio volto della città che a poco a poco vanno scomparendo per essere sostituite da quella nuova, più moderna e confortevole. Per le strade, adesso che è quasi mezzogiorno e il sole è dritto sule nostre teste, non c'è quasi nessuno; tutti hanno cercato la pace all'interno delle case, dove ronzano i condizionatori del nuovo millennio. Soltanto in una grandissima piazza, sede evidentemente di mercato, c'è qualcuno in sosta, auto e grossi camion carichi di fieno ed erba secca, merce molto commerciata in questo luoghi, dove il poco bestiame si aggira in perenne ricerca di qualcosa da ruminare. Sul cassone aperto di qualche pickup sono offerte merci alimentari, sacchi di datteri di diverse fogge e qualità, inclusi quelli di scarto riservati appunto al bestiame. Qualche capra gli fa la posta, ignorata dal venditore assonnato. Sotto una tettoia c'è anche qualche animale in attesa di essere venduto, ma le contrattazioni languono sotto il sole cocente; c'è poca gente, in fondo non è giorno di mercato. Lontano, dove finisce la piazza, una serie di bidoni disegnano una specie di pista segnata a terra. 

La scuola guida
Due auto si aggirano tra di essi con uno stretto slalom, è una scuola guida. Anche il beduino deve adattarsi e abbandonare inevitabilmente l'asino e il cammello, per passare al SUV, più pratico e veloce. Il resto della città sembra addormentata dal calore, che qui non è temperato neppure un po' dalla brezza del mare. Tra le case, ecco sorgere il gioiello di Jalan Bani Bu Ali, la sua antica e curiosa moschea, presente qui fin dalle origini dell'Islam e che mostra la sua forma attuale da oltre cinque secoli. In effetti la costruzione, che richiude completamente un ampio spazio quadrato, presenta una anomala copertura di 52 cupole, una per ogni settimana dell'anno ed è priva di minareto, con una struttura simile a certe antiche moschee delle oasi interne algerine. Nel cortile, un gruppetto di operai si arrabatta attorno a mucchi di sabbia. deve essere incorso un'opera di manutenzione straordinaria sulle pareti esterne, perché è presente anche l'Imam. Il nostro Rachid interviene e ci viene così dato eccezionalmente il permesso di entrare all'interno dell'edificio. Bisogna ricordare che in Oman l'unica moschea visitabile a scopi turistici è quella di Muscat, che, data la sua ricchezza e grandiosità, vuole rappresentare comunque un biglietto da visita della potenza e dei fasti del Sultano. Comunque, bardate acconciamente le nostre donne, entriamo nell'edificio, adesso completamente deserto. 

Il falaj per le abluzioni
Nel piccolo cortiletto, un falaj che arriva direttamente dall'oasi, porta un rivolo d'acqua per le abluzioni rituali, poi, passata la stretta porta, si entra in un interno basso e buio, scandito dal susseguirsi degli spazi sottostanti alle cupole esterne. Una serie di bassi pilastri fortemente conici dalla funzione portante, sormontati da pesanti archi dividono gli spazi in quadrati regolari. In un altra zona sono invece ottagonali i quadrati. Sul fondo il piccolo mihrab segnala la posizione della Mecca. Tutto l'ambiente apparentemente così grande dall'esterno, appare piccolo e raccolto, forse proprio per lo spessore delle mura e la poca luce che riesce a penetrare attraverso minuscole aperture. Respiri un senso di antico. La moschea di Al Hamuda rimane una delle poche testimonianze del passato omanita, eppure questa è una delle zone meno visitate in assoluto, difficilmente vi incontrerete occidentali e forse, proprio per questo, mantiene un fascino particolare. Poco più in là c'è un altro punto di estremo interesse, le rovine dell'antico castello. Vi penetri attraverso gli ampi squarci che il tempo ha provocato nelle mura imponenti. Tutto il vasto cortile interno è cosparso di detriti e cercare di raggiungere la costruzione centrale implica uno slalom su colline di terra e pietre provocate dal crollo in momenti successivi, di costruzioni interne, devastate dal tempo, dagli eventi atmosferici e dall'incuria dell'abbandono. 

Camminamenti del forte
Tuttavia aggirarsi per queste rovine riuscire ad entrare in queste antiche stanze dai soffitti crollati, percorrere camminamenti stretti che portano alle torri rimaste in piedi, ultimo baluardo di questa fortezza Bastiani, che permettevano di avvistare l'arrivo di un nemico che ormai di certo non sceglierà più la pista attraverso il deserto per venire ad impadronirsi della città, è un tornare indietro nel tempo, ripercorrere il rewind impossibile di una storia fatta di assalti di predoni, di grida di soldati, di lenta ed inevitabile decadenza. E' il fascino ineludibile delle rovine, che fanno sognare, magari sopravvalutandoli tempi passati e storie ormai concluse. Tuttavia, tra queste cinte potenti, giudicate forse imprendibili, in questi cortili che avranno visto evoluzioni di cavalieri bardati per le guerra, saranno risuonate grida di battaglia, clangor di armi, desideri di conquista, che il tempo ha disfatto sbriciolandoli come la sabbia del deserto, come le tracce di questo fango secco accumulato tra le pietre abbandonate, che non hanno più nulla da sorreggere. Le rovine, i muri a secco sbrecciati, i mattoni crudi in parte disciolti, raccontano un passato grande, forse, che tuttavia si è perduto nelle pieghe del tempo e che adesso, in fondo nessuno qui vuole neppure ricordare. Ora che sono tornati tempi ricchi e opimi, il passato della povertà può cancellarsi anche dalle memorie senza troppa malinconia.

Il mihrab della moschea abbandonata
In fondo alla strada che percorri tra ali di case nuove che tuttavia per tradizione evidentemente mantengono ancora magnifiche porte di antico legno con complessi ornamenti in ferro battuto, un altra rovina, più piccola e quasi nascosta, quella di una antica moschea abbandonata, soltanto un paio di piccole cupole, una cinta difensiva con la sua torre antica, crollata com quelle del castello, ma sul cui muro rimasto indovini ancora un fregio di abbellimento. In ogni epoca l'uomo vuole comunque lasciare il segno del bello sugli elementi architettonici. Un suo segno di presenza culturale accanto alle necessità tecniche. Si entra da una porticina sghemba e rugginosa. All'interno vedi sulle coperture delle cupole intatte la struttura sottostante delle pietre tonde prelevate dal greto secco di lontani wadi, che l'intonacatura di argilla cruda, caduta, ha lasciato scoperte. La porta in legno ancora delicatamente istoriata, è aperta nel suo estremo segno di abbandono. I pilastri di sostegno sono possenti simili a quelli che già abbiamo visto, segno della vicinanza architetturale e storica. Sulle pareti, scritte in arabo lasciate da qualche graffitaro in vena di protagonismo, vicino al minuscolo mihrab, dove ancora è deposto a terra un piccolo e consunto tappetino di preghiera. Chissà se qualche uomo di fede viene ancora qui qualche volta, tra i fantasmi del passato, a volgere la sua fronte e le sue intenzioni nella speranza di essere ascoltato dal suo Dio, che forse un tempo ha prestato attenzione ai suoi nonni.


Ruderi di una antica piccola moschea

SURVIVAL KIT


Il cortile della moschea
Jalan Bani Bu Ali - Assieme alla vicina Jalan Bani Bu Hassan, fa parte di una grande oasi ai margini del deserto di Wahiba Sands nella regione al Sharqiyya. Ci si può arrivare direttamente dalla costa o con la strada di una quarantina di chilometri da Wadi Bani Khalid. Proseguendo lungo la questa strada si arriva in un altra cinquantina di km sul mare alla città di al Ashkhara. E' un itinerario poco battuto e per questo molto interessante. Da vedere il mercato (informarsi sul giorno in cui avviene quello del bestiame), la moschea al Hamuda, una delle più antiche visibili in Oman, i resti del castello e non dimenticate di fare un giro attraverso le stradine della città che presenta ancora molti ruderi delle vecchie case in argilla cruda e nell'oasi, molto grande con orti palmeti, vecchi muri a secco e la sua rete di falaj. Molto interessanti sono le antiche porte che presentano molte case in ferro od in legno intagliato. Si può mangiare in città e da qui partono piste per attraversare il deserto


Esterno della moschea al Hamuda


Le mura
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domenica 25 novembre 2018

Oman 24 - Jalan Bani Bu Ali


Tutto nuovo

Oman tra vecchio e nuovo
Mentre l'auto sobbalza sul pietrisco della pista che lascia alle spalle Wadi Massawa, mi ritrovo a pensare allo strano saluto che si scambiano gli Omaniti, e che ho già notato avvenire più volte, in occasione degli incontri che si vedono nei vari mercati o in altre occasioni sociali, per lo meno nei piccoli paesi. Dopo essersi avvicinati e, come in tutto il mondo arabo, scambiata la classica formula del salam aleik, a cui si risponde con il rimando aleìk salam (plurale salam aleikum, la pace sia con noi e viceversa), i due, uomini naturalmente, fanno una specie di abbraccio con la mano destra sulla spalla sinistra dell'amico e poi si toccano la punta del naso accompagnando il tutto con uno schiocco della lingua. Non so se questa sia una abitudine comune ad altri areali, ma qui è piuttosto frequente. Certo se pensiamo che pace in ebraico si dice shalom, avvertiamo subito la vicinanza quasi identitaria tra due etnie che dovrebbero dirsi sorelle e nelle quali albergano invece i maggiori asti registrabili nel novecento. Forse più sei simile a qualcuno e più ne rilevi reciprocamente i difetti in maniera negativa, di qui all'odio, se poi questo viene sapientemente orchestrato, il passo è breve. Ma questo invece è un paese, forse anche grazie al suo isolamento, calmo e lontano dall'estremismo radicale che contraddistingue invece a quanto pare i vicini Sauditi che, a causa di ciò, sembrano essere assai poco amati da queste parti.

Gardaia - Oasi dello Mzab - Algeria - 1978
L'Islam omanita infatti è una variante, una cosiddetta terza via tra sunniti e sciiti, nata nel lontano 685 quando il fondatore rifiutò la violenza insita nella diatriba tra le due sette, rifiutando il cosiddetto "giudizio di Dio" della battaglia. Proprio per questo l'Ibadismo è rimasto un credo, certo molto tradizionalista, ma particolarmente  moderato che ripudia ogni genere di violenza, tanto che nella preghiera del venerdì non si accetta la pratica del qunut, nella quale i nemici vengono maledetti. Oggi questa variante religiosa, che all'inizio si era diffusa in tutto il nord Africa e nel sud della penisola arabica, è maggioritaria soltanto in Oman, mentre ne rimangono soltanto poche tracce a Zanzibar, a Jerba e in alcune tribù libiche e nel famoso gruppo di oasi algerine dello Mzab, con la città di Gardaia, in cui fui quaranta anni fa, in un memorabile viaggio attraverso il deserto. Tutto questo per sottolineare quanto la religione incida sul carattere generale degli abitanti di un paese e ne fornisca una caratteristica distintiva. Questa moderazione viene infatti riconosciuta in tutto il mondo arabo e molto spesso infatti gli ambasciatori omaniti o lo stesso Sultano vengono chiamati a fare opera di mediazione tra i riottosi rappresentanti delle due correnti principali, tra le quali è in atto da secoli, ma particolarmente adesso, una lotta senza tregua, che spesso viene confusa al contrario, per una lotta dell'Islam verso i valori occidentali, cosa che rappresenta invece solo quello che noi definiremmo danni collaterali.

Old Jalan Bani
Ma mentre elucubriamo su queste questioni, delle quali al nostro mondo non frega una beneamata cippa, per usare un ben noto dimaismo, siamo oramai arrivati all'oasi di Jalan Beni Bu Ali (una parte di questa si chiama Jalan Beni Bu Hassan). Questa, essendo proprio come già detto, una località dell'interno, mostra quelle caratteristiche di isolata tradizione che non si trovano nei centri della costa, normalmente più aperti alle contaminazioni provocate dai contatti col resto del mondo avvenute nei secoli. Qui davvero respiri quel senso di lontananza e di esclusiva differenza delle oasi algerine e il fatto che qui la vita si svolga in una sorta di ovattata tranquillità senza tempo. Tuttavia proprio qui hai una testimonianza del passaggio, avvenuto in questo paese tra il vecchio ed il nuovo. Coabitano infatti l'una accanto all'altra tutta la serie delle nuove abitazioni, dalle caratteristiche molto simili, case e villette ad uno o due piani con una piccola torre col terrazzo, circondate da un cortile protetto da un muretto che chiude la vista sull'interno, con le antiche case di argilla che quasi ogni anno, per lo meno dopo ogni pioggia, dovevano essere riparate e ristrutturate affinché non si sciogliessero. Queste, man mano sostituite dalle nuove, sono lasciate andare in rovina e della maggior parte rimangono solo muri sbozzati e residui da cui indovini soltanto il perimetro e poco altro. 

Le case di oggi
Soltanto qualche decennio fa, quando il Sultano decise di utilizzare l'enorme afflusso di denaro derivante dal petrolio per ricostruire completamente la nazione e dando ai suoi abitanti ogni comodità "occidentale", questo paese sarebbe stato irriconoscibile ad un visitatore di oggi, un luogo fiabesco di paesi di argilla arroccati tra i rilievi, difesi da torri e castelli, in una serie di istantanee oleografiche di bellezza oggi non immaginabile. Se penso che avevo programmato di venirci nel 76, subito dopo il mio viaggio nello Yemen, per poi rimandare il viaggio sine die, mi rammarico davvero per ciò che ho perduto. Niente di quanto ci circonda oggi, neanche una casa o una piccola moschea esisteva allora, avrei visto un luogo diverso e oggi scomparso completamente. Qui si pone un problema etico, perché se di questo se ne può rammaricare il turista, di certo non sarebbe corretto attribuire la stessa cosa agli abitanti, che potrebbero dirti, caro mio, per farti vedere un bel paesaggio ed ambienti da cartolina, noi avremmo dovuto continuare ad abitare in case di terra e fango, che vengono giù ogni due gocce dal cielo? Ma stacci pure tu, caro amico, noi stiamo di certo meglio oggi, con le nostre villette con le piastrelle italiane ed i bagni di maiolica bianca ed i televisori al plasma che la luce elettrica, dataci in dono dal Sultano, che Allah lo benedica sempre,  ci consente di far funzionare e magari ci compriamo anche quei bei divani di foggia occidentale o tavoli e sedie di legno pregiato, che si vedono in tutte le telenovele e che fanno tanto status simbol, anche se poi ci sediamo ancora per terra perché è molto più comodo, ma non pensare, l'aria condizionata fa piacere anche a noi, non ti sembra?

La fortezza di Jalan Bani Bu Ali
Insomma, il punto di vista del turista che apprezza l'incontro con la gente che vive ancora in un passato ormai lontano e superato, con tutte le sue iconografie non ancora "sporcate" dalla modernità e che se ne rammarica quando non le trova più o le vede contaminate dal presente, non è molto corretto dal punto di vista etico. La gente dei paesi del cosiddetto terzo mondo, in realtà sta molto meglio nel mondo di oggi, tanto è che ben volentieri sceglie di lasciare il passato per approfittare delle comodità del presente, anzi lo brama e che il turista, giustamente, vada a farsi fottere. Vada magari lui a farsi dieci chilometri nel deserto per prendere una tanica di acqua, se vuol fare una bella foto di una donna sorridente con venti litri sulla testa. Non so se è chiaro il messaggio, quello che piace al turista e che si rammarica che vada perduto (l'abbandono delle tradizioni e dei legami con la cultura del passato) interessa solo a lui, ma di certo non a chi in quei posti ci vive e che questi legami li molla ben volentieri appena può, in cambio della possibilità di bere un po' di acqua che scende da un rubinetto in casa e che è bella fresca perché è stata un paio d'ore in frigorifero. Se tu parlando con un omanita manifesti rimpianto per la bellezza delle città di argilla ormai perdute, per le torri di fango che cadono in rovina, non ti capisce, ti prende, e a mio parere giustamente, per matto, anzi leggi di certo in lui la volontà di cancellare ed il più velocemente possibile e senza rimpianto questi ricordi di un passato che è legato soltanto a povertà, privazioni, mancanza di tutto. E con ciò il pistolotto è finito ed adesso andiamo a vedere più da vicino l'oasi e quanto ne rimane.

Case nuove con AC e divani

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