martedì 25 novembre 2025

Seta 57 - Verso nord

I templi di Qaraqoeum - Mongolia - giugno 2025 - (foto T. Sofi)
 

Comunque alla fine si parte, anche se mezzogiorno è passato da un pezzo. La nostra meta dovrebbe essere a circa 550 km di distanza e se la strada è buona, ce la dovremmo fare, anche se il nostro autista continua a farci capire che è impossibile e che dovremmo pensare a soluzioni alternative. Noi speriamo che la barriera linguistica sia il solo problema che non ci consenta di afferrare appieno il messaggio del pilota e facciamo finta di non aver capito, cosa tra l'altro reale. Ad un tratto ecco che molla la strada buona e prende una pista che si infila in una valle verde. Sarà una scorciatoia, pensiamo subito, il fatto è che la velocità passa subito dai quasi 90 km/h a meno di 40 e questo complica decisamente le cose per la tabella di marcia. Il paesaggio, tuttavia, è diventato magnifico, percorriamo valli infinite con pascoli ricchi, costellati di laghetti e stagni di piccole dimensioni. Col sole alto nel cielo appaiono come zaffiri incastonati in un pavimento di smeraldo. Le mandrie si moltiplicano, soprattutto di cavalli che brucano l'erba fresca voluttuosamente, questi sì che sono pascoli che fanno gola. I gruppi di giumente coi puledri nati da poco sono sparsi dappertutto, mentre al margine del gruppo, noti subito uno stallone dalla criniera foltissima e dalla coda nera che caracolla intorno preoccupato più di sorvegliare le sue femmine che di nutrirsi di un'erba così golosa. 

Attraversiamo una zona piuttosto acquitrinosa e, con le zampe nell'acqua ecco due gru grigie che scavano il fondo in cerca di cibo, con i lunghi becchi. Sono le cosiddette demoiselles de Numidie (Grus virgo), che d'inverno migrano fino alla lontana India scavalcando l'Himalaya e che avevamo visto in Rajastan anni fa. Un viaggio quasi impossibile che pure loro compiono ogni anno per sottrarsi ai -30 C° e più, che arrivano implacabili da queste parti. Intanto la valle finisce e faticosamente risaliamo verso un passo, mentre la velocità continua a rallentare. Ecco un'altra valle nella quale scendiamo e percorriamo per un tratto e poi ancora si risale e si ridiscende. Stiamo facendo un su e giù incredibile attraverso una serie di rilievi paralleli che costringono la strada a tortuose curve. Certamente è un ambiente bellissimo, credo che abbiamo percorso un lungo tratto all'interno del parco nazionale della valle dell'Orkhon, ma di chilometri se ne fanno pochissimo, dopo tre ore di giravolte ne avremo fatti meno di un centinaio. Continuiamo a consultare disperatamente tutti i mezzi a nostra disposizione, Maps.me, Google map, che qui inopinatamente funzionano e a noi sembra che stiamo andando da tutt'altra parte di quella prevista, anche lo studio dei punti cardinali dice che ci stiamo muovendo verso est invece che verso nordovest, accidenti, carta canta. 

I tentativi di segnalare la cosa al nostro autista, con continue richieste di spiegazioni, si scontrano con  una serie di grugniti, che non riusciamo ad interpretare in nessun modo. Alla fine la nostra disperata perplessità deve arrendersi e ci lasciamo andare agli eventi. Lasciamo fare a lui quel che deve succedere succederà, non si può fare altro e godiamoci il panorama. Intanto passiamo per una cittadina tra le montagne piuttosto grande, ma fatta come al solito da una distesa di recinti che racchiudono gher e baracche di legno verso il centro, probabilmente un paese dove si raduna la scarna popolazione degli alpeggi vicini durante l'inverno e continuiamo su una strada sempre sterrata, ma di dimensioni più grandi, quasi fosse approntata per un futuro di asfalto. Qui si procede un po' più velocemente e cominciamo ad incrociare altri mezzi sempre con maggiore frequenza. Ad un certo punto cominciamo a costeggiare un evidente progetto di futura strada, rialzata rispetto al nostro livello e con frequenti mezzi di movimento terra al lavoro, addirittura di tanto in tanto riusciamo ad introdurci su questa carreggiata e a percorrere diversi chilometri su quella che è ormai un percorso battuto in attesa di bitumazione. 

Intanto sono quasi le cinque, ma finalmente arriviamo a Bulgan, Una cittadina di almeno 10.000 abitanti a meno di 150 chilometri dal confine con la Russia siberiana, popolata principalmente da Buriati che non amano la vita nelle gher e infatti, qui intorno vedi solo casette di legno dall'aspetto nordico. Finalmente è comparso l'asfalto e la strada diventa buona, forse il nostro autista era a conoscenza che questo era l'itinerario migliore, ma compulsando le carte vediamo con orrore che per arrivare a Mörön ci sono quasi 340 km e almeno altri 100 per arrivare al lago e sono già le 5 del pomeriggio! Non ci resta che abbandonarci agli eventi. Lasciamo velocemente Bulgan alle nostre spalle dopo aver fatto rifornimento e procediamo in un ambiente che diventa sempre più bello e rigoglioso. Qui vedi campi coltivati a cereali e verdure, qualche frutteto, case sparse sulle pendici dei rilievi e cominciano a comparire boschi e vere e proprie foreste di alberi, i primi che vediamo in Mongolia. Siamo ormai oltre i 1500 metri costantemente e la strada sembra risalire ancora. Qui l'ambiente naturale è ormai completamente diverso da quello in cui eravamo questa mattina, Dall'altopiano desertico siamo passati alla taiga siberiana, con una serie di vallate verdissime caratterizzate da un clima continentale specifico, con inverni freddissimi e brevi estati molto piovose che ingrossano i fiumi che scorrono verso a nord verso l'Artico. 

Le foreste diventano sempre più ricche ed estese. Lontane oltre a qualche piccolo villaggio più colorato, si vede anche qualche piccolo tempio dai tetti dorati che brillano in lontananza. Intanto, dopo una giornata di sole, ha cominciato a piovigginare, da un cielo gonfio di nuvole grigie che però all'orizzonte tra cime lontane lasciano passare la colata vermiglia di un tramonto assolutamente fuori dal comune. Gli ultimi raggi passano al disotto degli strati lontani e illuminano la coltre grigia che si incendia, colorando alfine tutto il cielo di viola carico, mentre si aprono le cataratte e comincia a piovere a dirotto. La strada continua a salire e ormai è diventato buio. Il nostro, che guida ininterrottamente da stamattina alle sei, quando è venuto a prelevarci nel deserto, salvo la sosta di un paio d'ore attorno al mezzogiorno, sembra decisamente stanco e quando finalmente arriviamo a Mörön, la città principale del distretto, sono quasi le 11 e bisogna fermarsi, quantomeno per esigenze fisiologiche e trovare un supermercato aperto per prendere qualche cosa da ingurgitare. Ne peschiamo uno ancora illuminato e velocemente ci riforniamo di quanto serve. Per il resto finiamo per usufruire di un vicolo dietro le prime case, tanto è buio pesto e non si vede in giro nessuno. 

Poi bisogna procedere perché al lago mancano ancora 100 km. Il nostro scrolla il testone, mentre noi, spietatamente, lo incitiamo a partire e non vorrei dire, ma mi sembra che stia crollando dal sonno. Stiamo arrivando verso i 2000 metri di quota e la strada verso il lago, se pur di montagna, procede abbastanza rettilinea, anche se il nostro ha decisamente diminuito la velocità. Incrociamo i fari di molte macchine; Il lago Khövsgul Nuur è forse la meta turistica più importante del paese e anche i Mongoli che se lo possono permettere vengono fin qui dalla capitale per godere della sua bellezza, anche se ci vuole un giorno di viaggio per arrivare, quindi sembra che sulle sue rive siano sorti tutta una serie di campeggi e strutture per un turismo bucolico di amanti della natura. Anche noi però crolliamo dal sonno quindi non possiamo neppure mettere in atto qualche modalità per tenere sveglio il pilota che continua a stropicciarsi gli occhi e a scrollare la testa, tanto ha capito che di riffa o di raffa bisogna arrivare fino in fondo e quindi continua a procedere, se pur lentamente, quasi appoggiato al volante. Alfine arriviamo al lago; butto un occhi all'orologio, è ormai la mezza. La cittadina sembra ancora sveglia e sul lungolago c'è anche qualche locale ancora illuminato. Crediamo di essere arrivati e invece no. Infatti bisogna ancora trovare il campeggio, dove dovremmo essere attesi, almeno speriamo. 

Il tipo telefona, poi prende uno stradino sterrato che procede lungo la riva del lago, speriamo bene perché il lago è lungo almeno cento chilometri e non abbiamo idea in quale punto sia la nostra meta, Non ci resta che procedere nel buio fitto della foresta, anche se la strada diventa sempre più malandata e si procede a fatica. I campeggi continuano ad apparire lungo la strada, nascosti tra gli alberi, ma l'insegna col nome che cerchiamo disperatamente non è mai quella giusta. Di tanto in tanto si ritelefona e si riparte, nel buio più fitto, rischiarato solo dai fari del nostro van. Qualche luce lontana alla nostra sinistra dove dovrebbe essere il bordo del lago, occhieggia di tanto in tanto, ma sono tutti falsi allarmi. Qualcuno di noi è già crollato e russa sonoramente, io dormiveglio, per fortuna la necessità della ricerca tiene sveglio chi guida, intanto io ho lasciato ogni speranza, ci siamo irrimediabilmente persi nella taiga come nel film di Dersu Uzala. Finalmente, quando vi dico la verità, non ci si sperava più e si temeva un'altra notte a bordo, ecco l'insegna desiderata, seminascosta tra gli alberi; una fioca lampadina accesa; qualcuno che apre un cancellone che dà l'accesso ad un prato. Ombre nere nella notte ci scaricano i bagagli e ci infiliamo di corsa nei bungalow di legno dai tetti aguzzi, decisamente spartani che ci aspettavano. Il sonno cala benevolo e mi cuce le palpebre immediatamente. Sono le due e tutto va bene, dice la sentinella elettronica.


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