lunedì 10 agosto 2015

Bhutan - La valle di Paro

Un paese tra Thimphu e Paro



Tachogang bridge
Dopo un paio d'ore di pioggia e superata anche la valle di Thimphu, la strada verso Paro diventa più larga e curata. Se si tiene conto che alla fine degli anni '50 il premier indiano venne in visita al Re del Bhutan in groppa ad un cavallo con tutti i dignitari, per negoziare il trattato di amicizia, perché in tutto il regno non c'erano strade ma solo qualche sentiero di montagna, è proprio il caso di dire che di strada se ne è fatta, anche se alla fine ce n'è solo una che attraversa il paese in tutta la sua larghezza e poi raggiunge il confine con l'India. Una malalingua potrebbe dire che in fondo, dato che il potente vicino, in cambio di questa alleanza anticinese, acquista tutta l'energia in surplus prodotta dalle centrali idroelettriche del paese e pompa aiuti finanziari importanti, oltre ad occuparsi di tutte le relazioni col resto del mondo ed inoltre della costruzione della rete stradale, non ha poi tutto questo interesse a creare una rete importante, che arrivi fino ai confini al nord e comunque fa gioco anche a questo lontano regno himalayano, rimanere con un'aura di Shangri La irraggiungibile, nello spazio e nel tempo, chiuso al mondo in generale, ma aperto a chi se lo può permettere. Pensate che in Bhutan non esistono neanche i semafori, perché non sono attinenti alla tradizione! Certo quando esce un raggio di sole le vallate si illuminano ed il verde assume una tonalità smeraldina che incanta e quindi chi se ne importa dei semafori.

Nella caverna
Al di là dei colli più alti allora, emergono le nevi eterne e le creste delle montagne di 6 e 7000 metri. Al fondo, la valle è sempre tagliata profondamente da un torrente, che rumoreggia più o meno a seconda la forza delle sue acque per scavarsi nuovi spazi e rendere la gola sempre più profonda e scoscesa. E' una terra estrema, in lotta continua con terremoti, frane, diluvi che portano via tutto e temperature severe che rendono difficile un'agricoltura di pura sussistenza. Il benessere del regno rimane dunque legato totalmente a questa sua posizione chiave dal punto di vista geopolitico ed alla capacità di chi lo regna di approfittarne, barcamenandosi in un sottile gioco di equilibri e rapporti politici. Intanto, attraversare questi corsi d'acqua impetuosi rimane il problema continuo per ogni comunicazione nel paese ed i famigerati ponti tibetani sono l'unica soluzione praticabile con una tecnologia vecchia di secoli che rimane a costi accettabili. Il fatto è che io, con questo tipo di attraversamenti, non ho molto feeling, inoltre ho già dato una volta nel corso di questo viaggio e non vorrei ripetermi, visto che le cicatrici materiali e morali non si sono ancora chiuse. Però la torre che occhieggia davanti ad un piccolo tempio e ad una caverna, al di là del torrente, vista da questa riva, esercita un richiamo irresistibile.

Il fondo delponte
Questo ponte, però, sembra ancora più ciondolante del solito, costruito com'è di una larga rete metallica che forma una specie di tubo che dondola sull'acqua gorgogliante, una ventina di metri più in basso. Sui lati, qualche anima pia, con qualche corvé imposta nei villaggi vicini, ha steso una copertura di bambù, che purtroppo non ti evita la sensazione di camminare proprio sul vuoto, ed inoltre ti lascia anche vedere bene lo stato di corrosione del fil di ferro che sostiene il tuo passo incerto. Comunque il dado è tratto e vincendo la nausea dell'oscillazione, avanzo fino alla metà del guado, che la curvatura del ponte, assieme alla ulteriore accentuazione dovuta al mio dolce peso, mi pone al fondo di un'erta da risalire con una certa apprensione tra continui scivolii ed il rumoreggiare dell'acqua spumeggiante, che scorre al di sotto bramosa di cingerti in un gelido abbraccio. Anche la vecchia che sta all'inizio del ponte dall'altra parte esita a cominciare la sua traversata. Aspetta che io compia il mio tragitto, forse ha valutato il mio peso e ha ritenuto opportuno non forzare troppo la sorte, aggiungendovi il suo, minimo e quello della gerla carica. Questi stranieri, anche senza pesi sulle spalle, sono talmente grossi che è meglio aspettare. Arrivo alla fine, la signora ride, allargando di gusto le gengive senza denti, intanto io con un ultimo balzo guadagno la solida terra, supero la torre  ed arrivo alla piccola caverna che c'è dietro.

Paro
Qui la fede e pietas dei viaggiatori, ha riempito ogni anfratto, ogni spazio e superficie di piccole e rozze statuette di Buddha, così minuscole da non potere neppure essere viste da lontano. Alcune sono soltanto piccoli coni di argilla sbozzati alla meglio per simulare una piccola testa rotonda, altri sono solo un poco più definiti e colorati di pittura dorata. In fondo è soltanto una spaccatura nella roccia, eppure il luogo emana un senso di sacralità; un vecchio arriva anche lui dal sentiero che scende dal piccolo gompa sovrastante. Si ferma, sicuramente manda una preghiera verso il cielo, poi si china e aggiunge una pietra ad un monticello piramidale di altre pietre sovrapposte in ordine di grandezza. Un segno di presenza, di passaggio, io sono stato qua, rendetemi facile il resto del cammino, poi si alza e se ne va attraverso il ponte. Anche io scelgo la mia pietra e cerco una piramide, la mia piramide. Eccola là, di fianco alla caverna, sta lì, fatta di quattro pietre in ordine, sta aspettando proprio me. La mia pietra si adatta davvero bene, in scala proporzionale all'ultima, a completare la forma in perfetto equilibrio. Sono stato qui, ora è il momento di andare avanti. Riattraversare il ponte non è più una sfida, lo puoi ripercorrere tranquillo, la macchina è lassù che aspetta. Dopo un po' di curve l'orizzonte si allarga, la valle di Paro è di tipo glaciale classico, la curva delle colline scende dolcemente verso il torrente adesso piccolo e all'apparenza inoffensivo per risalire l'asindoto perfetto dalla parte opposta, scavato da un ghiacciaio millenni fa, senza scosse o spigoli.

La brigata delle muratrici
L'erosione delle acque dovrà lavorare ancora per altri millenni da queste parti se vuol farne un paesaggio più drammatico. Ora è solo dolce e gentile; vedi solo piacevoli pascoli, prati e campi punteggiati dalle casette bianche. Paro poi, è un'ordinata cittadina dalle vie che si incrociano ortogonalmente come un accampamento romano. Lo dzong dove domani comincerà il festival più importante del paese, domina la città da una vicina collina. La torre del castello è crollata nel terremoto del 2011, uno dei tanti e continui che sfigurano, qui, l'opera dell'uomo, non certo quella della natura. Un gruppo di ragazzotte col casco giallo, robuste anche se piccole muratrici, ci stanno lavorando sodo, però si fermano per asciugarsi la fronte ed intanto salutare i turisti di passaggio, che vanno verso il palazzotto che ospita temporaneamente il Museo nazionale. Dipinti, tangkhe, statue, cose antiche con allegato museo naturale in cui, anche se solo impagliato, posso finalmente vedere il famoso bucero dallo sproporzionato ed ambitissimo becco, più lungo dell'intero resto del corpo. Dalla terrazza un bel colpo d'occhio sulla città e la valle, poi non resta che perdersi nel mercato, ricco di bancarelle in occasione della settimana di festa, che comincia ad accogliere le centinaia di abitanti che dai villaggi vicini e no, sta convergendo in città, richiamata dai profondi suoni delle enormi trombe dei monaci.


Da Wang Di a Paro  (4-5 ore)

Paro - lo dzong
SURVIVAL KIT

Tachogang Lhakhang Bridge - A pochi chilometri da Paro, arrivando dalla highway di Thimphu. E' un lungo ponte costruito con fili di ferro. Dotato di due torri ai due lati conduce ad un piccolo ed antico gompa al di la del fiume. Dondola molto e non è molto adatto a chi soffre di vertigini, dato che si vede bene cosa c'è sotto. Inoltre i bordi rotondi sono piuttosto larghi e non ci si può neppure tenere per mantenere un minimo di equilibrio. Passare guardando fisso il punto di arrivo e meditando sulle prossime rinascite. Il ponte era stato spazzato via dalla forza delle acque nel 1969 e pare che le catene di ferro siano state controllate e "restaurate" nel 2005.

Dzong di Paro - Uno dei più grandi del paese, molto ben tenuto, nel grande cortile fuori dalla gradinata del tempio, si svolge l'annuale festival nel mese di marzo per la durata di cinque giorni. In questo periodo la città è piuttosto affollata. A monte la grande torre (il Ta Dzong) attualmente in restauro che doveva contenere il Museo nazionale, attualmente ospitato in un vicino edificio.

Ta dzong

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