venerdì 16 novembre 2012

Un giorno a Mondovì.

Langa.

Verdure in bagna cauda
Una piccola gemma occhieggia muta ai margini della pianura, punta estrema in cui si consuma la Langa, circondata più in là dalla presenza di montagne vere. Mondovì ti aspetta per offrirti regali diversi, oltre al piacere che ti concederà lasciandosi visitare, come una dama piemontese che ti ammette al suo salotto un po' provinciale, un po' esclusivo. Già l'arrivarci ti riempirà di gioia gli occhi, in una giornata autunnale dove il sole dona colori che solo gli artifizi complessi di Photoshop riescono a ripetere. Le vigne ormai spoglie paion tavolozze dove l'artista ha appena sparso gocce di paste diverse, prima di mescolarle  e decidere quale tinta stendere sulla tela. Verdi, gialli, rossi vivi e primari, si accalcano intorno ai paesi messi a cavalcapoggio sui crinali dolci e continui. Dietro, fa da barriera al pastello del cielo, la catena ormai candida dei picchi alpini. Eccola la cittadina divisa in due dal bosco carico di foglie morenti che si schiude appena passato il fiume, lasciandoti camminare sugli acciottolati che man mano conducono alle vie più nascoste, alle piazzette intime e schive con i loro negozi dalle insegne antiche, dalle facciate dei palazzi che bene ricordano che questa è città dall'importanza passata notevole e che ancora  resiste a non sfiorire. Fai un balzo con la funicolare fino   al quartiere Piazza, rinserrato sul piccolo pianoro alto e subito il Belvedere, con  la sua torre unica, ti sbatte in faccia un visuale mozzafiato di piana e colline che invoglierebbe qualunque condottiero all'insediamento e al possesso di questa terra, figuriamoci ai turisti nordeuropei adusi ai vantaggi che concede lo spread

Agnolotti al Castelmagno 
Cinghiale.
Le facciate attorno all'Agorà centrale digradante, raccontano di ricchezza antica e di stratificazioni successive; le chiese ti parlano di una comunità grande e vigorosa e quando sali le scalette anguste della vecchia casa che fu il ghetto degli ebrei monregalesi, arrivi alla piccola e nascosta Sinagoga che solo l'ultimo tetto separa dal cielo, con i suoi antichi banchi di legno e gli spazi angusti se pur sufficienti a quella piccola comunità ormai scomparsa, così lontana dalla ricchezza e fasto di quella di Casale o di Alessandria, anche se più accogliente all'apparenza, di quella quasi spoglia di Cherasco, un poco ti stringono il cuore. Quasi ti spiace scendere in basso, ma al nutrimento della mente e degli occhi, bisogna unire quello indispensabile del corpo, che l'uno senza l'altro male si compiono e questa è una terra che sa davvero darti molto anche sotto questo aspetto, oggi più che mai. Dunque se vi capiterà di passare da queste parti, viandanti che necessitano di un boccone in via, potete sostare un poco al Ristorante Tre Limoni d'Oro, proprio sulla piazza Battisti, che vi accoglie dopo il ponte. Questo ristorante appagherà in particolare gli amanti della vera tradizione piemontese a partire dal locale di classico stampo ottocentesco. Quindi come ovvio una serie di antipasti del passato, timballo di trippa, tortino di melanzane e frittatina calda alle erbette, verdure di stagione con bagnacauda gentile e saporosa e battuta di fassone al coltello che piacerà soprattutto a chi la ricorda come piatto del passato, molto ben condita e macerata a lungo in olio, limone, senape, aglio, pepe e sale, quando si amavano i gusti decisi eppure armonici, non per seguaci di una cucina moderna e un po' più fighetta, che la lascia quasi scondita per puntare soprattutto al gusto della carne (scelta assolutamente non disprezzabile ma diversa). 

L'inferno
Per il primo vi consiglio dei sontuosi agnolotti di Castelmagno al tartufo nero, decisamente il piatto top del pranzo, seguiti da un buon civet di cinghiale con polenta fritta, anche questo pensato per i palati decisi dei commercianti di bestiame che concludevano qui la loro mattinata di lavoro. In alternativa per le signore, rollata di coniglio e verdure decisamente più soft  e di accattivante aspetto. Ovviamente se vi capita non perdete il bollito misto ricco e diversificato come ci si aspetta in questa landa, paradiso dei ghiottoni. Al dolce cullatevi nei più classici bunet, panna cotta e pera al vino. Un pasto dai sapori decisi che richiede un adeguato dolcetto di Dogliani dal corpo ricco e dalle tante sfumature che bene amalgamano questa cucina langarola, con un conto finale al di sotto dei 30 euro, con un rapporto qualità/prezzo decisamente favorevole. Se ce la fate a staccarvi da questa zona di piaceri, sulla strada del ritorno fermatevi un'oretta a Bastia, sulla antica via del sale (forse lastricata di acciughe) per rimanere a bocca aperta appena superata la porticina delle anonime e bianche mura esterne di San Fiorenzo. Una lunga navata completamente ricoperta  di affreschi del quattrocento piemontese dai colori così vivi e dall'incredibile stato di conservazione, che vi assaliranno con le descrizioni puntuali dei supplizi infernali, le gioie del paradiso, teorie di martiri e santi e storie bibliche e medioevali, così ricche di particolari e spunti, da renderle specchio ed epitome impagabile della vita del tempo. Una visita da non mancare che vi concilierà la digestione, facendo trascorrere un po' del tempo necessario a non incorrere nelle procelle dell'etilometro.



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Piccoli piaceri.

1 commento:

Adriano Maini ha detto...

Appena posso, torno da quelle parti, del resto da me non molto lontane. Certo, quando facevo base al Col di Nava ero più incentivato...

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