martedì 6 agosto 2013

La merenda sinoira.


Che poi, avendovi informato della merenda sinoira, adesso tocca relazionare. Perché il problema, quando fai queste toccate e fuga in pianura, diciamo andata e ritorno dall'inferno, è che quando arrivi a casa, ti pare di essere completamente distrutto e sfiancato, manco avessi tritato una foresta per far legna da stufa. Comunque, dopo aver lanciato maledizioni che non posso qui riferire all'indirizzo del computeraio, che me ne ha combinata una grossa, di cui magari una volta vi racconto, eccomi qua con un mezzo di fortuna a cercare di non perdere il lavoro. Aggiornare, aggiornare, che se no mi licenziate e di questi tempi sono guai. Comunque, vero che avevo un diavolo per capello, ma la prospettiva di una serata tra amici mi molciva il core. Quindi eccomi diretto verso la collina retrostante Perosa Argentina, innocuo paesetto delle valli circostanti. Sali dalla piazza mentre calano le ombre della sera, imbocchi una stradina in fondo dove lasciare l'auto e poi ancora per un sentierino che si addentra nel bosco, sorprendentemente fitto, pur così vicino alle case del centro del paese. Eppure c'è quasi un senso di mistero nell'addentrarsi tra le piante, facendosi largo tra i rami bassi, nell'ombra densa che protegge da una calura anche qui, ancora fastidiosa. Sei come alla ricerca della casetta segreta delle fate, o delle streghe,l dipende da come la vedi, insomma. Infine eccola che spunta tra le cime degli alberi, una casetta antica, di quelle fatte pietra su pietra dal primo proprietario, con le sue mani, per la sua famiglia che cominciava a crescere, costruita con l'amore di chi sa che sta mettendo insieme il futuro delle sue figlie. Pezzo a pezzo, pietra su pietra, il padre della nostra ospite ha raccontato un pezzo della sua storia, in quelle camere cresciute una alla volta, man mano che la famiglia cresceva, così tra gli alberi del bosco, come una dimora segreta perduta nel tempo. 

Quasi non la vedi anche così, esposta a solatio sul fianco scosceso della collina, da come è circondata di verde spesso e scuro, tra giardini ed orto su e giù per balze e terrazze tenute insieme dai muretti a secco. Ma finalmente eccoci arrivati alla pergola segreta, dove le larghe foglie della vite formano una spessa cortina di sapiente riserbo. Mentre sali gli ultimi stretti gradini, senti uno sfrigolar di oli, certa promessa di attività culinarie in corso. La nostra gentile ospite infatti è lì davanti al padellone, all'aperto e pesca con sapienza misurata dal recipiente ripieno di pastella, ora un fior di zucchina, ora una foglia di borragine e lo getta con noncuranza nel liquido dorato che lo accoglie bramoso, se lo prende, lo infiamma, lo accartoccia, lo rende croccante e pronto per i famelici avventori che appena arrivati si dispongono attorno al grande tavolo di granito a far festa ed onore al piatto che arriva ricolmo e che la spessa carta di sotto ha già disunto a dovere. Che delizia lo scricchiolar di fritto sotto i denti, quando il delicato fiore giallo si apre per lasciare fuoriuscire un ripieno delizioso di formaggi d'alpeggio, naturalmente a temperatura di fusione dell'acciaio. Ma subito viene in soccorso un fiume di vini pregiati che altre mani hanno portato e subito rese disponibili a spegner l'ustione in modo gradevole e vellutato. E poi frittate d'ogni tipo, che l'orto misericordioso, ha appena fornito, freschissime, zucchine, melanzane, cipolle ed altri ortaggi e poi ancora carciofini delicati a suo tempo messi a giacere e consumare nell'aceto. Ti sembra di saziarti con queste meraviglie, ma ecco che a spron battuto emergono dal forno, teglie fumanti ingombre delle stesse verdure, ma ripiene di un trito magnifico di carni fragranti, peperoni, cipolle, zucchini rigonfi e sapientemente gratinati di formaggi bruniti dalla fiamma viva. E ancora funghi sottolio dal bosco vicino e pannocchiette di mais, prese direttamente dal campo, a lungo serbate sottaceto ed infine avvolte in morbido prosciutto. Pare non finire mai e invece mentre si cominciano a dipanare discorsi più gioviali ecco che cala pasta. 

Fusilli ai gamberetti ed alle verdurine di stagione, delicate e sfiziose. Qualcuno senza ritegno fa il bis, mentre si aspetta la grande insalatona, il vero trionfo dell'orto, una nicoise di una ricchezza inusitata, con le classiche acciughe e capperi per un mordente ricercato di accompagnamento ad un goloso polpettone, un po' anche per mettere a posto lo stomaco. Barbaresco come se piovesse, dal gentile sapore di viola grato alle signore. Mentre cala la notte poi, spazio alle crostate ed alle torte di mele per gratificare meglio la sera ormai scesa a stendere la sua veste da sera di velluto nero trapuntata di strasse. Piccoli assaggi di liquorini fatti in casa, rosoli e il classico arquibuse piemontese delle signorine d'altri tempi. Non rimane che trascorrere le ore della notte girando la manovella di un vecchio fonografo ed osservando gli antichi 78 giri della Voce del padrone. La voce esce un po' incurvata dalla molla in disuso, ma Caminito, Vola colomba o Yves Montand che canta A Paris, non hanno prezzo, per tutto il resto c'è Mastercard. Grazie Carla! 



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