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venerdì 19 novembre 2010

Seminario: Biodiversità in allevamento.

Sono reduce dall'interessante seminario che si è tenuto oggi a Torino presso la facoltà di Veterinaria sulla Biodiversità nell'allevamento, organizzata dalla Associazione Museo dell'Agricoltura del Piemonte sul cui sito a cui vi rimando, dove tra breve compariranno gli atti nei dettagli. L'argomento era davvero stimolante ed è un piacere ascoltare i contributi in un contesto di serietà, quando alla base c'è un approccio scientifico e ragionato, perchè i numeri e le ragioni scientifiche non sono discutibili se non con altrettanti argomenti provati allo stesso modo. Il problema viene solo quando queste tematiche (anche queste che appartengono alla tipologia di quelle che apparentemente non si mangiano, mentre è poi proprio il contrario) vengono spesso prese a pretesto per andare a sostenere fuffe varie bio-organico-dinamiche (tanto cominciano nello stesso modo).
Come sempre per dimostrare e tenere in piedi la fuffa bisogna sempre partire da argomentazioni valide. La biodiversità invece è un argomento serio a cui va dedicata attenzione, investigandone tutti gli aspetti e le ricadute. Comunque una giornata ben spesa ad ascoltare come può diventare conveniente oltre che giusto mantenere in buono stato di conservazione la maggior parte possibile di biodiversità nel campo delle razze allevate, considerando un ritorno globale che comprende una attenzione specifica dedicata alla salvaguardia preventiva del territorio, alle nuove necessità di turismo desideroso di ecocompatibilità, ai nuovi prodotti di nicchia e così via. Tutte cose il cui giusto approccio deve essere molto scientifico ed economico e poco emozional- teosofico come spesso capita di sentire in altri luoghi.
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sabato 25 aprile 2009

Acciughe salate.

Nel bel seminario "Mestieri e Migrazioni" organizza-to dall'associazione del Museo d'agricoltura del Piemonte che si è tenuto ieri a Torino, si sono succeduti una serie di interventi di grande interesse, che al di là della illustrazione degli specifici argomenti hanno dato anche, a chi lo desiderasse, degli spunti di riflessione molto attuali. In particolare le relazioni sulle figure dello Spazzacamino, quella sui Colporteurs e l'intervento finale di Riccardo Abello sugli acciugai della Val Maira. Supportato da una splendida iconografia, ne è emerso un tratteggio a tinte forti di questi bambini, nati nelle nostre valli alpine poverissime, che a fine ottocento, tra i 6 e 7 anni, venivano venduti a padroni che li portavano in giro per l'Europa a pulire camini, incitandoli a sporcarsi bene la faccia di nerofumo, sia per mostrare la loro capacità lavorativa che per impietosire i clienti; mentre di pari intensità è il personaggio del colporteur, un mercante di sogni e girava per il mondo con una cassetta appesa al collo e sulla schiena, piena di piccole cose da vendere nei paesi, nelle fiere, nei luoghi dove si radunava gente. Si faceva anche 20 o 30 chilometri al giorno a piedi, illustrando le proprie povere cose, invitando all'acquisto; se ne partiva dal suo povero paese alpino o dalla Lunigiana e magari tornava a casa dopo due o tre anni. Anche ad Alessandria c'era memoria di questi personaggi che giravano per le cascine dei paesi gridando: "strenghi, frisa, buton da camisa". Nei paesi anglosassoni era conosciuto come "Will you buy", come possiamo tradurlo, così sui due piedi mi viene in mente solo vu' cumprà. Ma la storia degli acciugai è ancor più interessante. Come nasce l'acciuga salata ed in montagna, poi? Sembra dal fatto che il sale, nella repubblica di Genova fosse gravato da una forte gabella. Per aggirarla, oggi diremmo una via di mezzo tra evasione ed elusione, si riempivano botticelle piene a metà di sale, di pesce povero, le acciughe. Con la scusa di conservarle e col fatto che non pagavano gabella, si poteva tranquillamente contrabbandare il sale stesso oltre i monti verso la pianura. Alla fine anche le acciughe venivano vendute e queste presero un posto importante nella gastronomia del Piemonte e non solo. Molti abitanti della Val Maira si sparsero così per tutta la pianura padana ed oltre. Quale la mia sorpresa, chiacchierando col relatore Riccardo Abello, scoprire che il famoso Anciuè di piazza Marconi proveniva proprio da quella valle. Era costui, con la compagna, un altro dei personaggi iconici del panorama alessandrino del dopoguerra. Per decenni, dal suo banco malandato, distibuì agli alessandrini che si affolavano spintonandosi, acciughe, olive, baccalà e il miglior tonno sott'olio che abbia mai mangiato. Ovviamente si dice sempre così dei sapori che hanno caratterizzato la tua giovinezza, ma questo tonno era altro che insuperabile, era l'anciuè che lo rendeva tale. Potrebbe ancor oggi, essere oggetto di una tesi sullo studio del mercato e delle metodologie di marketing in generale. Come tale lo sottopongo all'attenzione degli studenti interessati. In breve, il suo tonno era noto oltre che per essere il migliore del mondo anche per essere in assoluto il più caro, costava infatti circa il doppio di tutti gli altri tonni della piazza. Nulla ci sarebbe da eccepire nel senso che la qualità si paga, direte voi, ma bisogna considerare i tempi e la particolarità della piazza di Alessandria e degli alessandrini, che sono poco inclini a questo ragionamento ed in ogni caso poco disposti a pagare di più per un aspetto immateriale della merce, sospettando sempre un sotterfugio, un qualche inganno al loro presunto acume intellettuale, direbbe Eco. Come aveva risolto allora la difficile sfida socioeconomica il nostro? Intano, con grande capacità affabulatoria, attirava, lui le femmine e lei i maschi, attorno al banco e quando era il tuo turno, tu chiedevi due etti di tonno e lui, forbitosi la manona sul grembiule di colore incerto, affondava nella latta la forchetta, cavandone un bel pezzo trattenuto dal pollicione bisunto e lo deponeva assieme alla doppia carta oleata sulla bilancia che segnava invariabilmente dai 3 ai 3 etti e mezzo. Ti diceva con un sorriso, via, buon peso e tu te ne andavi a casa con quasi il doppio del peso, pagato per due etti a prezzo doppio del tonno normale. Sì, la gente riconosceva che quello era migliore degli altri, ma la molla che faceva scattare l'acquisto era proprio il fatto di averne pagato una quantità molto inferiore. Ricordo bene gli occhi soddisfatti di mio papà, quando arrivato a casa, si pesava il pacchetto e si compiaceva di aver portato a casa un malloppo ben più pesante del dichiarato, ridendo di gusto. Psicologia e teoretica della vendita, ecco la disciplina giusta in cui si sarebbe dovuta conferire una laurea onoris causa. Si ritirarono una quindicina di anni fa, accusando improbabili malattie, mentre la diceria popolare, che li faceva ricchissimi, ancorchè apparissero molto male in arnese, li dava in Liguria in mezzo alle innumerevoli proprietà immobiliari accumulate in una vita di tonno ed acciughe salate. Che però, così buone, non ho mai più mangiato.

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