giovedì 22 gennaio 2009

Quasi primavera

C'è il sole oggi, finalmente, quindi il tema di meditazione è:
1. E' facile governare la testa della gente.
2. Basta un attimo e di noi non rimane memoria
3. Bello è vivere in una terra che non ha bisogno di eroi
Come di consueto per condensare i tre punti in un unico discorso vado a pescare nei miei ricordi. Vjacheslav era ricco, molto ricco, eppure, in quel 1993 di grandi novità, era la prima volta che usciva dall'URSS e tutto gli sembrava bello e diverso, anche una cittadina spenta ed anonima come Alessandria. Era ansioso di raccontarsi, con l'entusiasmo di chi esce dal guscio e si guarda intorno avido di imparare, di provare, di conoscere. Veramente non era proprio la prima volta che lasciava la Russia. Mentre gli chiedevo se non avesse mai visto neppure qualche paese all'interno dell'area sovietica, il suo viso si rabbuiò mentre risaliva la scala degli anni. Certo, uno lo aveva visitato, molti anni prima. Era d'inverno, un inverno molto freddo, quello del 1968 e lui, che era ancora un ragazzo, trascorreva il Capodanno in una gelida tenda con i suoi commilitoni, accampati tra le colline, lontani dai centri abitati. Le razioni erano insolitamente abbondanti e di buona qualità da giorni e anche la vodka veniva distribuita senza troppa avarizia. Poi arrivò l'ordine e lui, addetto alla mitragliera, era nella colonna di carri blindati che entrarono a Praga. Era il gennaio del 1969 e tutti erano ben motivati, sapevano bene(da settimane glielo spiegava il commissario politico) che l'Occidente stava per invadere la Cecoslovachia e che i fratelli Cechi li avevano chiamati in aiuto, per proteggerli e difenderli dall'invasore. Era pronto, nel suo slancio giovanile, a combattere per loro, ma mentre il suo carro avanzava sferragliando lungo la grande Uliza Venceslao, comprese subito che c'era qualcosa di strano. Emergeva con quasi tutto il busto dall'oblò del suo tank e girandosi intorno vedeva la folla, la folla dei Praghesi, che non gli lanciava fiori e grida di benvenuto, ma soltanto insulti e grida di "tornatevene a casa". In russo. Quella gente per cui era pronto a combattere, gli mostrava i pugni con ira, oppure lo guardava soltanto con sguardo severo e triste, molte donne piangevano. Uno shock, un ribaltamento di valori. Piano, piano cominciò a capire, risalì alla cura con cui nei giorni precedenti erano stati evitati, addirittura proibiti i contatti con la popolazione. Le sue certezze si sgretolarono a poco a poco in quella acerba primavera, man mano che le richieste di spiegazioni erano aggirate od ignorate. Per sua fortuna non dovette mai sparare e non seppe mai neppure di Jan Palach e degli altri ragazzi. Però la sua verginità condiscendente fu perduta quel giorno e negli anni a venire, guardò sempre chi prendeva per oro le dichiarazioni ufficiali del regime, con l'occhio di chi ha visto. Oggi la maggior parte delle persone con meno di 40 anni che conosco, non sanno neppure chi sia Palach. In un attimo la memoria svanisce se non l'hai vissuta direttamente, specialmente nei luoghi dove i problemi sentiti come i più gravi sono la presenza dei Rom e gli sbarchi a Pantelleria.

1 commento:

Anonimo ha detto...

nessun commento(per ora)ma solo esercitazioni di contatto con il vento dell'est. Gianlorenzo

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