lunedì 21 dicembre 2009

Letargo glaciale.

Accidenti, da ieri è calato un gelo mortale, siamo stati tutta la notte a -10°C , non ce la fa neanche a nevicare. Forse nel pomeriggio scenderà pesante una nuova coltre bianca a coprire questa città, precipitata all'ultimo posto tra i capoluoghi del centro-nord, in linea quindi con la testa dei suoi vecchi abitanti, ad ottundere i rumori, le menti, le idee già poco vivaci per inclinazione naturale. Un po' come nei boschi di betulle di Jangantau, dove pareva, in quell'inverno del '93, che niente potesse interferire con la gran pace che regnava tra le alte colline. Una calma quasi letargica, dove anche i piccoli problemi del nostro impianto, si discutevano con i tempi biblici delle calde isbe sepolte sotto la neve dell'inverno russo. Lontano migliaia di verste, a Mosca era in corso una lotta feroce per colmare il vuoto di potere che si era creato, ci si batteva senza esclusione di colpi per chi dovesse prendere in mano la nuova Russia bambina e la sua ricchissima eredità, nata da poco, già così contesa dalle dita adunche dei predatori, che si accalcavano dentro e fuori dalla Duma, la casa bianca russa, antagonista del Kremlino nella battaglia dei nuovi oligarchi. Noi, come ci diceva tranquillizzante il vecchio dottore che dirigeva il sanatory, eravamo fuori dal mondo, lontano da questi giochi e nulla dovevamo temere. Come in passato, quando avvenivano questi rivolgimenti, la provincia lontana, entrava in un sonno di tipo letargico, aiutata dal clima, e attendeva il trascorrere della nottata per capire chi aveva in mano il bastone del comando e uniformarsi al nuovo corso. Tutti i responsabili politici si davano malati, in attesa delle nuove fotografie da appendere al muro degli uffici. Non rimaneva che chiacchierare di letteratura, senza esporsi troppo e riposare con calma. La banija, la sauna russa con relative vergate di rami di betulla era il luogo ideale, ma, per amor di patria, trascurerò di scendere nei particolari, tutto sommato inutili al succo del racconto, se non per puntualizzare che qui fu presa la decisione di non interrompere precipitosamente il viaggio e di confermare i biglietti, aerei questa volta, secondo la corretta alternanza che ho già precedentemente spiegato, alla volta di Irkutsk, nel cuore della lontana Siberia, sulle rive di quel lago Baijkal, letto solo sui libri, il bacino d'acqua più profondo del mondo che contiene il 20% delle acque dolci della terra. Rimanemmo ancora un giorno nella pace degli Urali, guardando dall'alto il fiume d'argento, mangiando shashliky tra una interminabile foresta di bottiglie di vodka, nella calda dacia di legno, puntualizzando il progetto che avrebbe preso vita in primavera quando l'acqua mineral-radioattiva della fonte miracolosa, avrebbe finalmente avuto il corretto imballo che si meritava per poter prendere le vie del mondo. All'aeroporto eravamo in pochi, nel cuore della notte gelata. Nella saletta internazionale dove eravamo confinati, trovammo solo un bulgaro dalla faccia da lottatore che pareva uno di quei mediatori da foro boario delle Langhe. Vendeva di tutto e girava le estremità delle Russie cercando piccoli business commerciali, una specie di rigattiere ambulante di prodotti vari, segno dei tempi. Dappertutto, in ogni tempo, le necessità che nascono, vengono subito riempite da qualcuno, i bisogni vengono coperti, se manca la carta igienica in Chukotka a diecimila kilometri da Mosca, qualcuno sicuramente penserà che conviene andarci e vendergliela. Così dovunque andrete per il mondo, troverete sempre degli uomini, all'apparenza anonimi, con una piccola valigetta in mano, la valigetta dei contratti, nera e piena di carte, di foto e di campioni che aspettano un aereo, un treno, un autobus, che attaccano bottone con i vicini, tanto per ingannare le lunghe attese. Vi chiederete cosa ci fanno in quel posto sperduto e apparentemente privo di interessi. Stanno lì, silenziosi o chiacchiericci, pensierosi, a inventarsi qualcosa per portare a casa del lavoro ad altri, che aspettano a casa, con impazienza, di cominciare a fare delle cose, a muovere le macchine, a produrre roba. L'aereo che portava ad oriente, sempre più malandato man mano che ci si allontanava da Mosca, aspettava immobile di partire sulla pista di ghiaccio nel cuore della notte. Anche noi salimmo quella scaletta, silenziosi, verso un'alba gelida, remota.

3 commenti:

Angelo azzurro ha detto...

Brrrr...fa un freddo polare anche dalle mie parti...magari non come a Jangantau, ma... Intando si è fatto grigio ed è cominciato a nevicare ancora...
Entriamo nel clima natalizio del white Christmas!

Enrico Bo ha detto...

Anche qui sembra che cominci a nevicare, niente Tai Ji questa sera, altro che praticare sotto la neve, anche la mia maestra si è rintanata in casa.

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Il piazzista negli angoli remoti di un continente è un ottimo esempio di adattamento evolutivo della specie umana.

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