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domenica 5 dicembre 2010

Il Milione 32: Le triglie di Shanghai.


Il nostro Marco Polo, ormai ambasciatore plenipotenziario del Gran Khan, comincia i suoi viaggi verso sud, dove gli si aprono scenari completamente nuovi, paesi esotici e ricchi di profumi di spezia e di potenzialità commerciale, le stesse sensazioni che non possono non cogliere chi oggi gira per l'Asia. Attraversa il fiume Giallo, confine tra il regno di mezzo e il reame di Mangi, la seconda colossale via d'acqua cinese, folgorato dall'energia che la percorre.


Cap. 134


Quando l'uomo è ito per tre giornate a mezzodie truova città e castella e di capo giugne allo grande fiume Cameraman (Huang Ho , il fiume giallo) che vien de la terra del Preste Gianni (si riferisce ad una figura mitica dell'Asia centrale, a capo di un regno di cristiani Nestoriani) e ch'è largo un miglio e molto profondo, sì che bene puote andare grande nave. E in questo fiume à bene 15.000 navi del Grande Cane per portare sue cose. Quando l'uomo ha passato questo fiume, entra nel reame del Mangi e lo conquistò il Grande Cane.


Questa parte era allora come adesso la più ricca e produttiva della Cina ed è proprio in questa area che si addensano le maggiori attività commerciali. La sua linfa vitale la percorre immensa ed inarrestabile. E' il fiume Azzurro, lo Yang Tse Kiang, la via d'acqua più popolata del mondo.


Cap. 143


Quando si va per isciloc (oriente) per 15 miglia, si truova la città di Signi in sul maggiore fiume del mondo, ch'è chiamato Quian. Egli è largo fino a 10 miglia e lungo più di 100 giornate. E per le molte città che sono su per quel fiume va più mercatantia e più cara che per tutti i fiumi del mondo...che io vidi a questa città una volta 15.000 navi aportate.


Davvero uno spettacolo incredibile, il fluire di tutto questo traffico sul grande fiume fino alla città sull'Oceano, oggi la colossale Shang Hai (letteralmente Sul Mare), forse allora piccolo villaggio di pescatori sul delta del fiume. Ho avuto il privilegio di vedere i cambiamenti di questa città incredibile durante tre lustri, un luogo con una vitalità ed una forza straordinaria. Ogni volta che ci tornavo trovavo interi quartieri stravolti e irriconoscibili. In soli tre anni l'isolone di sabbia di fronte al Bund, la sfilata di edifici commerciali di inizio secolo che l'impero britannico ha posto sulla riva, si è trasformato, da un cantiere pieno di gru, in una selva di grattacieli multicolori e sfavillanti di luci.


Ero davanti alla vetrata della torre della televisione, davanti ad un piatto di delicate trigliette stufate coi cipollotti e le fettine di germogli di bambù (vedere da Acquaviva per la ricetta assieme allo splendido post) sui tavolinetti del ristorante girevole. Duecentocinquanta metri più in basso le navi scivolavano lente sul sinuoso nastro azzurro, un vorticoso muoversi senza fine, un insaziabile desiderio di affermazione, di ricerca di ricchezza e di potenza. Oggi in questa città trovi tutto quello che offre il mondo; puoi mangiare il Churrasco brasiliano come bere vino in una Brachetteria, degustando, tra cinesi compiti, il profumato ed unico vino dell’Acquese. Questo incredibile paese sta correndo su di un rollercoaster in continua accelerazione, senza più potersi fermare. Credo che abbia in mano la palla in assoluto e l'unico modo perché questa corsa si arresti, è che si faccia del male da solo.





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venerdì 19 marzo 2010

Il Milione 2: a Costantinopoli per guadagnare.

Bene, bene, dai commenti al post di ieri, vedo un certo interesse all'argomento e quindi mi ci butto subito a pesce essendo uno dei miei favoriti. Intanto tenete sempre d'occhio la mappa che allego, che descrive l'ipotesi del percorso del nostro Marco, da cui si vede che un po' tutta l'Asia sia stata bene percorsa ed investigata, dopo di ché dobbiamo dire due parole sul libro. Infatti questa, che è una delle prime opere di letteratura davvero europea, vi ricordo, stesa in francese d'oil, misto a molti italianismi, da Rustichello da Pisa sotto dettatura, ebbe un immediato successo e fu subito tradotta e ricopiata più volte e pensando che allora i libri se li ricopiavano a mano, non è cosa da poco. Il motivo del successo, secondo me, sta proprio nell'essenza dell'opera. Non è solo un romanzo o un racconto di viaggio, come qualcuno lo ha definito, e neanche quello che si può catalogare come la prima guida turistica. Certo, è vero infatti che par di leggere la Lonely Planet Asia, con precise indicazioni di quanto tempo ci vuole a cavallo da una città all'altra o che nel tal posto si è ospitati degnamente in buone locande o ancora di fare attenzione ai mariuoli del tal posto che ti fregano il portafoglio. In realtà, sempre secondo me, è un vero e proprio manuale del mercante, con indicazioni e note necessarie a chi si voleva mettere in viaggio per fare affari; ecco quindi che si precisa dove comprare le merci migliori ed al minor prezzo, dalla bambagia alle spezie richiestissime o le pietre prezione o altro, sempre attento al valore delle cose ed alla convenienza dello spostare merci da un luogo all'altro per trarre profitto dalle differenze di valore. Si direbbe un manuale sull'arbitraggio, un trattato sulla globalizzazione e sui vantaggi della delocalizzazione ante litteram. Addirittura vengono segnalati i rapporti di cambio tra argento ed oro, sottolineando la convenienza di una piazza rispetto alle altre. In quei tempi di relativa pace e di conseguenza di crescita economica, ecco che tutti gli aspiranti mercanti si gettarono a pesce sul volume, ansiosi di avere informazioni utili. Certo in quei tempi gli unici viaggiatori erano i soldati ed i mercanti e non lo facevano per diletto. La molla del guadagno spingeva questa gente, ma chi non aveva la curiosità di conoscere, la voglia di capire il mondo e la sua vastità, improvvisamente disponibile, non aveva la voglia di andare al di là di una tratta già conosciuta e certa. I Veneziani erano tra i più intraprendenti ed è per questo che la Serenissima, pur piccola, cominciò il suo percorso di supremazia commerciale e politica nel Mediterraneo. Gente aperta che sapeva vedere nelle diversità, occasioni e vantaggi, che andava a cercarsi le opportunità dove c'erano, senza richiudersi a riccio nella sciocca difesa di un indifendibile particolarismo becero e ignorante, prodromo del declino economico e mentale, ma queste son cose di tempi successivi. Certo il buon Marco non parte alla cieca. Padre e zio, già accorti mercanti, giravano dalle parti di Costantinopoli a cercare buone occasioni e da lì ebbero le notizie che li spinsero al primo viaggio esplorativo verso est. Sentiamo Marco:
Capitolo 2…messere Matteo Polo e suo fratello venuti da Vinegia nella città di Costantinopoli con mercatantia, per guadagnare, partironsi in nave e andarono in Soldania….
Ce li immaginiamo certo, i due mercanti che partono da Piazza San Marco e vanno a Costantinopoli che era un po' lo snodo dei traffici con l'Oriente(e vorrei sottolineare quel "per guadagnare"; il mercante si diverte solo così, solo dopo si può fermare un attimo a considerare, a pensare). Era il1260 e la città era appena tornata in mano ai Bizantini. Santa Sofia aveva subito danni, ma non irreparabili e tutta la città era in fermento ricostruttivo dopo i disastri prodotti dalla IV crociata (che incidentalmente ricordo, saccheggiò l'impero Bizantino fregandosene di Saraceni e Terrasante varie). Paragonando il centro, con la Istambul di oggi, si può dire che mancavano solo i minareti e già si vedeva Galata e la torre allora diroccata dal saccheggio crociato ed in piena ricostruzione. Le mura semidistrutte dall'assedio, forse non differivano molto dal loro aspetto odierno. Era terra Genovese, ma quello che la accomunava alla cittàdi oggi era proprio la sua posizione chiave, un crocevia di commerci, di mercati, di scambi e occasioni. Quando passeggiavo nei bazar di Istambul, certo il profumo forte ed aggressivo delle spezie, i colori dei tappeti distesi davanti alla mille botteghe, le grida dai venditori che cercano di invitarti a fare un buon affare erano le stesse che avevano sentito i Polo quasi otto secoli prima. Gli stessi sguardi, lo stesso interrogarsi se quello sarebbe stato l'affare della vita, la stessa voglia di fermarsi, contrattare, scambiare zecchini con bisanti, tetradramme e piastre o lire o dollari contro merci. A Costantinopoli, a Istambul, comincia la voglia di "mercatantia" che in fondo mi ha accompagnato, anche se praticata per conto terzi, per tutta la vita.


Vi segnalo che in concomitanza con questa serie di post del viaggio di Marco, nel bellissimo blog di cucina di Acquaviva che vi invito a seguire, comincerà l'esposizione di una serie di ricette che trovereste oggi in quei luoghi e che forse avrebbero gli stessi sapori che ha provato il nostro eroe.
Quella di oggi riguarda un classico di Istambul: l'involtino di riso in foglie di vite.

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giovedì 18 marzo 2010

Il Milione.

Un personaggio del passato che invidio e cui cui guardo ammirato come ad un punto di riferimento? Ve lo dico subito, Marco Polo. Facile, direte voi, ma come si fa a non restare affascinati dalla sua vita in tutte le sue sfaccettature. Giovane e desideroso di vedere il mondo, di andare sempre al di là, di conoscere in maniera pratica e financo utilitaristica. Cercare di capire tutto quanto era diverso, non disdegnando di godere del meglio. All'apparenza mai accidioso o intento a sottolineare le cose negative che certo, ci sono dappertutto, ma pronto piuttosto a concentrarsi sugli aspetti positivi, atteggiamento che in generale porta vantaggi a tutti. Mercante che ha saputo unire la curiosità all'interesse personale. Persona di successo comunque e dovunque, sempre ammirato per la sua capacità ed intelligenza, amante di un rischio valutato e calcolato che lo ha predisposto ad una vecchiaia serena ed augurabile. Anche banfone al punto giusto, che di certo amava colorire un po' i suoi racconti, tanto da farli apparire del tutto inverosimili o fantasiosi, eppure così reali e concreti da risultare guida e fondamento per chi, dopo, volle ripercorrere i suoi cammini. Sì, sì, che grande voglia di identificazione con questo uomo che viveva in un mondo ed in un periodo tutto sommato aperto e libero, in uno spazio temporale in cui erano appena finiti i grandi scontri crociati e le scaramucce dei localismi non impedivano quasi per nulla i movimenti degli uomini e delle idee. Se non si considerano i tempi di percorrenza, in un certo senso, era più facile muoversi per il mondo allora che adesso. Niente barriere o passaporti, ma lo spazio libero che l'eterno mercante ha sempre sognato. Gli unici vincoli dati dalla mancanza di voglia e di intraprendenza, dalla deprivazione di curiositas che ti impedisce di prendere le vie del mondo. Ogni volta che riprendo in mano il Milione, mi si apre il mondo ed ultimamente mi sono accorto che, quasi per intero, leggendo la descrizione puntuale ed accorta, in quei luoghi descritti, ci sono proprio stato, durante quaranta anni di viaggi e di spostamenti, per il mio piacere, per caso o per esercitare proprio l'arte della mercatura, come Marco. Ma la cosa più straordinaria è che leggendo quelle pagine, mi sono reso conto che delle cose e dei posti raccontati, essendo questi riconoscibilissimi, avrei potuto dare quasi le stesse descrizioni, a testimonianza che tanti luoghi del mondo in ottocento anni, non sono cambiati, nella sostanza, quasi per nulla. Così ho pensato che di tanto in tanto riprenderò una pagina del libro, che vi incito a leggere con attenzione soprattutto se siete appassionati del mondo, appaiandola alla mia esperienza personale in quei luoghi. Vi lascio allora con l'incipit del libro su cui meditare, attenzione, è una minaccia!


Capitolo I

Signori imperadori, re e duci e tutte le altre genti che volete sapere le
diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete
questo libro dove troverete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi
delle genti d’Erminia, di Persia e di Tartaria, d’India e di molte altre
contrade…..


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lunedì 21 dicembre 2009

Letargo glaciale.

Accidenti, da ieri è calato un gelo mortale, siamo stati tutta la notte a -10°C , non ce la fa neanche a nevicare. Forse nel pomeriggio scenderà pesante una nuova coltre bianca a coprire questa città, precipitata all'ultimo posto tra i capoluoghi del centro-nord, in linea quindi con la testa dei suoi vecchi abitanti, ad ottundere i rumori, le menti, le idee già poco vivaci per inclinazione naturale. Un po' come nei boschi di betulle di Jangantau, dove pareva, in quell'inverno del '93, che niente potesse interferire con la gran pace che regnava tra le alte colline. Una calma quasi letargica, dove anche i piccoli problemi del nostro impianto, si discutevano con i tempi biblici delle calde isbe sepolte sotto la neve dell'inverno russo. Lontano migliaia di verste, a Mosca era in corso una lotta feroce per colmare il vuoto di potere che si era creato, ci si batteva senza esclusione di colpi per chi dovesse prendere in mano la nuova Russia bambina e la sua ricchissima eredità, nata da poco, già così contesa dalle dita adunche dei predatori, che si accalcavano dentro e fuori dalla Duma, la casa bianca russa, antagonista del Kremlino nella battaglia dei nuovi oligarchi. Noi, come ci diceva tranquillizzante il vecchio dottore che dirigeva il sanatory, eravamo fuori dal mondo, lontano da questi giochi e nulla dovevamo temere. Come in passato, quando avvenivano questi rivolgimenti, la provincia lontana, entrava in un sonno di tipo letargico, aiutata dal clima, e attendeva il trascorrere della nottata per capire chi aveva in mano il bastone del comando e uniformarsi al nuovo corso. Tutti i responsabili politici si davano malati, in attesa delle nuove fotografie da appendere al muro degli uffici. Non rimaneva che chiacchierare di letteratura, senza esporsi troppo e riposare con calma. La banija, la sauna russa con relative vergate di rami di betulla era il luogo ideale, ma, per amor di patria, trascurerò di scendere nei particolari, tutto sommato inutili al succo del racconto, se non per puntualizzare che qui fu presa la decisione di non interrompere precipitosamente il viaggio e di confermare i biglietti, aerei questa volta, secondo la corretta alternanza che ho già precedentemente spiegato, alla volta di Irkutsk, nel cuore della lontana Siberia, sulle rive di quel lago Baijkal, letto solo sui libri, il bacino d'acqua più profondo del mondo che contiene il 20% delle acque dolci della terra. Rimanemmo ancora un giorno nella pace degli Urali, guardando dall'alto il fiume d'argento, mangiando shashliky tra una interminabile foresta di bottiglie di vodka, nella calda dacia di legno, puntualizzando il progetto che avrebbe preso vita in primavera quando l'acqua mineral-radioattiva della fonte miracolosa, avrebbe finalmente avuto il corretto imballo che si meritava per poter prendere le vie del mondo. All'aeroporto eravamo in pochi, nel cuore della notte gelata. Nella saletta internazionale dove eravamo confinati, trovammo solo un bulgaro dalla faccia da lottatore che pareva uno di quei mediatori da foro boario delle Langhe. Vendeva di tutto e girava le estremità delle Russie cercando piccoli business commerciali, una specie di rigattiere ambulante di prodotti vari, segno dei tempi. Dappertutto, in ogni tempo, le necessità che nascono, vengono subito riempite da qualcuno, i bisogni vengono coperti, se manca la carta igienica in Chukotka a diecimila kilometri da Mosca, qualcuno sicuramente penserà che conviene andarci e vendergliela. Così dovunque andrete per il mondo, troverete sempre degli uomini, all'apparenza anonimi, con una piccola valigetta in mano, la valigetta dei contratti, nera e piena di carte, di foto e di campioni che aspettano un aereo, un treno, un autobus, che attaccano bottone con i vicini, tanto per ingannare le lunghe attese. Vi chiederete cosa ci fanno in quel posto sperduto e apparentemente privo di interessi. Stanno lì, silenziosi o chiacchiericci, pensierosi, a inventarsi qualcosa per portare a casa del lavoro ad altri, che aspettano a casa, con impazienza, di cominciare a fare delle cose, a muovere le macchine, a produrre roba. L'aereo che portava ad oriente, sempre più malandato man mano che ci si allontanava da Mosca, aspettava immobile di partire sulla pista di ghiaccio nel cuore della notte. Anche noi salimmo quella scaletta, silenziosi, verso un'alba gelida, remota.

domenica 13 dicembre 2009

Verde ghiaccio.

Il giro nelle fabbriche di Ekaterin -burg o Sverdlosk come ancora si chiamava, non fu molto diverso da quello delle altre città. Dovunque impianti fatiscenti che volevano essere sostituiti, riammodernati o anche completamente spostati su produzioni nuove, più efficienti e moderne. Tutti volevano entrare nella nuova era, mancavano solo i soldi, non certo la volontà. Quindi lungo e paziente lavoro a discernere il loglio dal grano, la pula dal riso, insomma, chi la possibilità di avere i dollari ce l'aveva, da chi invece sognava solo di averli. Così via, qua e là, dalla fabbrica di spumante (sovietskoije champagne) con la linea di imbottigliamento a pezzi (sapete che là lo spumante non si fa(ceva) né con il metodo Charmat, fermantazione in autoclave, né con lo Champenois, fermentazione in bottiglia, ma con un metodo brevettato russo , brrr, ancora più rapido, di fermentazione in continuo in poche ore, eheheheh, alla fabbrica di polietilene, dove lo sgarbatissimo direttore, che ci aveva invitato ad andare, ci mise praticamente alla porta dicendo che non aveva bisogno di niente e mentre uscuvamo, a testa bassa, confessò che in realtà non aveva speranza di avere soldi per una linea di sacchetti di cui aveva urgente bisogno, alla Parfumerija dove avevano in mente tutta una linea nuova di rossetti, con la necessità di un ricco set di stampi, fino alla fabbrica di occhiali che faceva terrificanti montature anteguerra, tipo tartarugone larghi un centimetro che pesavano almeno un etto cadauna senza lenti. Irina la direttrice, era la solita matrona di peso con magliettina bianca di angora cinese pelosissima (la maglietta). L'altissima architettura della massa di capello biondo che le sovrastava la testa, la faceva sembrare ancora più imponente. Chissà com'è che le donne russe, bellissime in una media veramente anomala, non appena raggiungono un posto di potere, si dilatano in tutte le direzioni in maniera proporzionale al grado? Sarà la dieta ricca di patate o la vodka dei brindisi delle riunioni di lavoro? Chissà. La nostra era però gentile e disponibile e ci mostrò con piacere tutta la produzione, ma dal tono dimesso della voce era già intuibile che il finanziamento necessario era talmente lontano da renderlo improponibile. Guardava con invidia e desiderio il baldanzoso Ferox, non certo per la sua avvenenza, ma per la leggerissima e moderna montatura dei suoi occhiali, che volle esaminare con cura, Se li passava da una mano all'altra, controllandone i particolari con la professionalità di chi conosce bene il suo campo. Ammirò con sospiri malinconici la mirabile tecnologia italiana, restituendo il reperto quasi con dispiacere, come se avesse voluto trattenerlo per meglio studiarlo, sezionandone i particolari attraverso una specifica autopsia industriale per carpirne i misteriosi segreti. Quasi non si capiva cosa ci eravamo andati a fare, poi in un attimo tutto fu chiaro Il maggiorente politico che ci accompagnava, tromboneggiando sulle doti ed i pregi della nostra italijanskaja firma e sulle grandi potenzialità industriali della città, sponsorizzando la creazione di un ufficio di rappresentanza in loco, di cui, benignamente avrebbe potuto prendersi carico, aveva solo bisogno di un paio di occhiali nuovi, che, la corposa Irina, gli fece scivolare in tasca, mentre ci accompagnava all'uscita. Il Dio minore delle piccole cose ci accompagnava sempre nei nostri vagabondaggi. Cosa stavamo cercando? Un sentore, una traccia. Eravamo come cani da tartufo che scodinzolando si aggiravano nei boschi degli Urali cercando di avvertire, anche se tenue e ricoperto dall'acre odore di marcescenza di un sottobosco antico, il delicato profumo dei dollari amici, sottili lamelle verdi con cui cospargere il risotto dei nostri delicati e tecnologici stampi. Così, vigili ed attenti, salimmo sulla Lada Niva che ci avrebbe portato a Sverdlosk 44, la città segreta tra le colline basse degli Urali, circondata dai reticolati e di cui avevo già parlato qui, un po' di tempo fa e a cui vi rimando. Il paesaggio innevato di questa zona è molto bello, dolce e calmo, mentre la strada percorre i fondovalle con curve ampie circondata dalle betulle fittissime e bianche . Quasi non distingui la neve dalla corteccia, se non dai piccoli segni neri orizzontali che la fendono delicatamente. Ogni tanto si incontra un piccolo specchio d'acqua ghiacciato. Vicino ad uno di questi, un po' più grande che appena si intravedeva la riva opposta, lasciammo la strada che lo circondava per attraversare direttamente la distesa di ghiacchio. Ci fermammo quasi in mezzo al lago; sotto di noi ghiaccio verde trasparente e pulito di neve dal vento tagliente che quasi smerigliava la superficie piatta. Un verde quasi smeraldino, tutto percorso da crepe inquietanti che si allargavano fino a che l'occhio, nella penombra del pomeriggio inoltrato, le poteva scorgere. Più di due metri di spessore, assicurò Kostija che ci accompagnava, ma quando risalimmo in macchina e le ruote riguadagnarono la riva scoscesa, mi sentii più tranquillo. Poco lontano, il triplo reticolato di Sverdlosk 44, mostrò un varco in cui ci insinuammo, dopo un rapido controllo dei nostri permessi. Ce ne andammo verso l'albergo in pochi minuti allontanandoci dal gate dove con mia inquietudine, avevano trattenuto i nostri passaporti. Nell'aria un profumo amico e promettente, che veniva dalla fabbrica del marmo.

venerdì 11 dicembre 2009

Rossetti ed acqua minerale.


L'inverno russo è un po' un limbo perenne, in cui si passa dal buio poco illuminato della notte ad una penombra lattiginosa che dura poche ore, sempre ovattata dal bianco sporco della neve che attutisce ogni rumore, in particolare allora, quando il traffico era scarso. Anche se tutta la città era servita di teleriscaldamento, quei pochi mezzi circolanti ammorbavano l'aria. Avevi senpre in gola uno sgradevole sentore di cattiva benzina bruciata male. Tutto questo ottundeva alquanto i sensi, creando un certo torpore che leggevi chiaro negli occhi dell'umanità che, nonostante il freddo, affollava i marciapiedi, la mattina per andare sul posto di lavoro. Questo non significava certo andare a lavorare, sono due concetti radicalmente diversi. In quel periodo infatti, era luogo comune dire che lo stato faceva finta di darti uno stipendio e tutti facevano finta di lavorare. Procurarsi qualunque cosa era un po' un percorso ad ostacoli, in cui valevano solo le conoscenze, delle persone giuste e delle giuste modalità. Qualunque tipo di biglietti, sia per i trasporti che per gli spettacoli o l'ottenimento di visti o permessi, prevedeva il contatto con persone misteriose che, pagando il giusto, ti procuravano il tagliando desiderato. Così dovemmo rinunciare al viaggio previsto ad Alma Ata, non avendo in tempi utili, il visto necessario. La notizia ci giunse da Zhenija, che in pratica fungeva da trovarobe, mentre andavamo ad un importante incontro di rappresentanza al ministero del commercio, dove un personaggio di peso ci attendeva in una enorme salone con classica scrivania sovietica a T, tra un andirivieni di ancelle recanti thé e misteriosi fogli dove lui, con noncuranza, dopo aver gettato un'occhiata, vergava uno scarabocchio. Quello era certamente un uomo di peso (almeno 150 kg) in classica grisaglia, che scese dal trono per abbracciare e baciare il tenero Ferox, cercando di metterci a nostro agio. Di certo, l'accreditamento ed i precedenti della nostra azienda, che era una delle pochissime, allora, ad avere un accreditamento ufficiale, aiutava, ma, come mi fece poi notare Ferox, si avvertiva un certo qual cambiamento nella condiscendenza con cui il mammasantissima ci trattava stavolta. Si complimentò per le nostre realizzazioni e mentre si parlava del più e del meno, non perse occasione per far scivolare tra le pieghe del discorso la sua famigliarità con Craxi, De Michelis e compagnia bella. La prendemmo come un cambiamento dei tempi ed in ogni caso ci diede interessanti dritte su nuovi contatti da prendere. Il suo occhio era vivo e attento, a dispetto della mole, come di chi sente il branco di iene che ha ormai circondato la tana del vecchio leone in difficoltà e ha ben compreso che è il momento di cercare nuove piste su cui svicolare per evitare i pericoli e rimanere a galla nella battaglia di potere appena scatenatasi. Ce ne andammo dopo un'oretta. In ufficio ci aspettavano, anche se avevamo cercato di evitarle, altre due iene, i padroni dell'appartamento, una coppia che nella privatisazija, da inquilini ne erano rimasti proprietari con un riscatto nominale. Trasferitisi in una piccola dacia nei dintorni di Mosca, campavano dell'affitto ed ogni mese arrivavano come sanguisughe richiedendo un aumento delle prebende che superavano ormai ampiamente i 2000 dollari. Un vero furto. Sembava una coppietta di tranquilli pensionati dediti alle pratiche dell'orto, invece seduti dietro il tavolo della cucina, non mollavano l'osso, sapendo che ci eravamo ormai impiccati con la nostra stessa corda, avendo completamente ristrutturato a nostre spese i locali. Pretesero altri 200 dollari adducendo inesistenti spese di manutenzione, pena lo sfratto immediato. Temendo l'arrivo dei picciotti, Ferox aderì obtorto collo al taglieggiamento e i due banditi se ne andarono a braccetto, dondolandosi lungo le ampie scale imperiali al buio, essendo rotto l'ascensore e tutte le lampadine rubate. Risolta la pratica andammo all'aereoporto ad accogliere R. che arrivava dall'Italia carico di materiale. Anche qui bisognava conoscere le segrete strade. Trovata infatti una vecchia amica che apprezzò particolarmente la scatola di Rocher Ferrero che avevamo casualmente con noi, ci fu permesso di entrare nelle aree speciali dove facemmo transitare facilmente tutto il materiale, evitando pratiche burocratiche infinite che, nella maggior parte dei casi si traducevano nel sequestro di parte della merce. Ansiosi di saper le ultime notizie italiane arrivammo in ufficio appena in tempo per sentire il ticchettio del telex che batteva due fondamentali notizie. La prima ferale, comunicava che l'affare degli stampi per i rossetti ed i mascara su cui speravamo tanto era sfumato a favore di una ditta coreana, l'altra, che da una finanziaria canadese erano arrivati i soldi per la prima linea di riempimento di acqua minerale e che il contratto poteva partire senza altri indugi. Grandi festeggiamenti; dalla cucina Angela arrivò con una cofana di spaghetti appena scolati, il parmigiano, appena arrivato dall'Italia, come se piovesse e lo stappo di una bottiglia di champagne (bulgaro) segnò il successo dei nosti sforzi. Ma le valigie erano pronte, dopo due ore eravamo già all'aeroporto secondario di Domodiedovo dove un rabberciato Ilijushin ci avrebbe portato prima di sera a Ekaterinburg che, anzi ancora si chiamava Sverdlosk.

sabato 3 ottobre 2009

La mortella.

C'è stato un periodo all'inizio degli anni novanta in cui in URSS non girava un soldo, o meglio non girava un dollaro, perchè di pezzi di carta senza valore ne giravano un sacco e non era semplice portare a casa la pagnotta nella nostra attività di trading, così si pensò di tornare all'antico, recuperando il sistema più vecchio del mondo, quello che precedette l'invenzione del denaro, il barter per dirla in maniera moderna, ovverossia il baratto. Si cercarono i prodotti più classici della santa madre, dal legno, ai concimi, ai rottami di alluminio o al compensato, per arrivare alle pellicce. Niente fare, già tutto in mano a giri di antica data, in cui era meglio non andare a cercare di infilarsi e te lo si faceva capire subito con chiarezza. Così cominciarono a venire fuori le cose più strane e arrivavano in ufficio telex che proponevano materiali di cui prima si doveva capire l'uso e successivamente se quella roba era vendibile da qualche parte. Arrivavano anche campioni ineccepibili per dimostrare la qualità della merce, che per un po' fecero bella mostra di sé nelle nostre bacheche come ad esempio le corna di cervo giovane, disponibili in grande quantità in Čita e in Yakuzjia, che arrivavano già affettate in sottilissime slides (forse con uno strumento tipo mandolina), già pronte per il ricco mercato farmaceutico tradizionale cinese oppure il veleno d'api offerto a grammi, di cui le repubbliche caucasiche sembravano avere grossa produzione. Una volta ci proposero, da una zona siberiana, una bile d'orso in cambio di tre Toyota (veniva assicurato che quella era la quotazione regolare del mercato), ma anche qui, a mio parere latitavano i compratori. Un tizio a cui avevamo proposto una macchina imbustatrice di sementi da orto (il mio passato di esperto sementiero, mi attraeva morbosamente verso questo mondo), ci offrì in cambio un vagone di semi di zucca. Non parliamo dei girasoli ukraini, con i cui campioni andammo avanti mesi a sgranocchiare in ufficio. L'unico affare che andò in porto in effetti furono un po' di TIR di semi di erba medica e trifoglio di pessima qualità per altro, che ritirammo in cambio di una fornitura di caffé. Però il tarlo più grosso che rimase in testa per parecchio tempo riguardava una offerta che si ripeteva di tanto in tanto per grosse quantità di "клюква" di cui il dizionario (invero un po' datato ma preciso) dava il lemma: "mortella di palude". Ce n'erano a disposizione tonnellate e tonnellate. Solo che nessuno sapeva a cosa servisse. Doveva essere una specie di bacca che pullulava tra i sarmati e i siberiani e di cui queste genti evidentemente andavano ghiotti, se ne raccoglievano queste quantità. Qualcuno per caso l'ha vista o assaggiata? Datemene eventualmente conto, per favore. Chissà se l'amico Xesco che fa il cuoco da quelle parti, l'ha mai utilizzata nella sua cucina che mi dice, unisce tradizione e sperimentazione. Rimase un buco nero nelle nostre conoscenze ed ancora oggi, ogni tanto, ritorna alla mente questa, forse, grande occasione perduta. Poi tornò a girare il dollaro e queste cose a poco a poco svanirono nei ricordi. Ogni insuccesso è una opportunità che non si è saputa cogliere e questa dovrebbe essere la riflessione di oggi, cari Michelle e Obama.

mercoledì 30 settembre 2009

Proposta indecente.

Il Kazakistan è un paese strano, fatto di vaste aree semidesertiche e di grandi spazi contaminati da innumerevoli nefandezze compiute qualche decennio fa. Adesso risulterebbe anche un paese assai ricco e deciso a spendere a più non posso per lasciare il tranquillo medioevo centroasiatico in cui versa da secoli e transitare a pieno titolo nel terzo millennio, come si vede dallo sviluppo di Astana, la nuova capitale sorta dal nulla nel deserto, ma nel momento del disfacimento dell'URSS di soldi ne giravano pochi, in contrasto con la buona volontà di fare che sembrava assolutamente apprezzabile. A dispetto delle decine di etnie che popolano il paese, ad un primo sguardo, senza problemi di convivenza, ma da sempre attendiste alle decisioni del potere centrale assoluto, fin dai tempi di Tamerlano, gli affari, allora si facevano esclusivamente con i ministeri. E, assolutamente in linea con le sane decisioni di un paese che mira alla modernizzazione, appena liberato dal giogo delle decisioni moscovite, ci era giunta una richiesta dal Ministero della salute per un piccolo impianto di produzione di latte in polvere per i bambini, che finalmente godevano delle attenzioni dell'esecutivo dopo anni di dimenticatoio. Ci lavorammo un po' e poi presentammo la nostra proposta, interessante perchè permetteva, con una spesa ragionevole di attrezzare una linea modulare, eventualmente moltiplicabile in futuro, quando le condizioni economiche lo avessero permesso. Ritenevamo la cosa quasi fatta e io mi trovavo a Mosca proprio mentre si attendeva la decisione in merito. Come ben si può immaginare le pratiche ministeriali hanno tempi uguali in tutto il mondo, figuriamoci dove si deve scegliere tra cavallo e cammello. In quel tempo non era ancora entrato in uso il telefonino, le linee telefoniche fisse internazionali, funzionavano in quella parte del mondo con prenotazioni al giorno successivo, così la comunicazione standard era il telex, un imponente ambaradan che faceva bella mostra di sè quasi al centro dell'ufficio, dove ancora non si vedevano monitor di computer. Di tanto in tanto la macchina si svegliava, come un robot dormiente di un romanzo di Asimov e cominciava un ticchettio allegro ed autonomo che risuonava lungo i corridoi e predisponeva all'attesa della novità in arrivo. Così quel giorno al termine della trasmissione, ecco arrivare Anja sulla porta dell'ufficio con la strisciata del telex appena arrivato da Alma Ata tra le mani. Era rossa come un peperone di Cuneo e pareva che il foglio di carta le bruciasse tra le mani. Quasi balbettando disse a voce bassa:" Ministero dice che soldi per latte di bambini non c'è. Ma fa altra richiesta, ma io non posso tradurre. Troppo mi vergogna. Prego scusa, ma non traduco questo." e se ne va lasciandoci interdetti con il foglio di discreta lunghezza sul tavolo. La pruderie delle signore russe è ben nota, perciò fu con molta curiosità che ci accingemmo a leggere il messaggio, che era comunque chiaro nel suo dipanarsi. Il Ministero della salute, ci comunicava infatti, che lo stanziamento previsto per la linea era stato annullato a causa di una mancanza di fondi e si scusava per questo inconveniente, ma richiedeva comunque un'offerta urgente. Si trattava di attrezzare completamente a partire dal knowhow per l'allestimento e proseguendo con tutti i materiali necessari, un pornoshop di medie dimensioni. seguiva un lungo e dettagliatissimo elenco di materiali che spaziavano dalle bambole gonfiabili a differenti attitudini, ad una lunga serie di vibratori di ogni foggia, colore, uso e dimensione (dettagliata in cm, diametri e lunghezze), un congruo numero di cassette VHS (non esisteva ancora il DVD) suddivise per generi e un fornito guardaroba di biancheria particolare. Largo spazio era dato alle attrezzature sadomaso e così via cantando. Per questo progetto il ministero avrebbe reperito senza dubbio il finanziamento. Rispondemmo che la proposta esulava dal nostro business usuale e che pur ringraziando per la preferenza non avremmo potuto presentare un'offerta. Dopo qualche giorno Anja si licenziò per andare a fare la traduttrice presso un ufficio di religiosi in contatto con la Santa Sede.

giovedì 17 settembre 2009

Sogno kazako.


Il Kazakistan è una terra un po' desolata. Quasi tutto deserto e pianure sconfinate. La gente, che probabilmente aveva passato durante il periodo dell'URSS qualcosa di simile a un lungo sonno, sembrava ancora un po' stordita dai cambiamenti provocati dal passaggio alla CSI, di cui però nella vita di tutti i giorni si sentiva poco o nulla. Gente varia anche lì, come in tutti i melting pot, costituita dalle diverse etnie dell'Asia centrale, uzbeki magrolini e barbuti, turkomanni rubizzi, kirghisi più montagnini mescolati alla maggioranza kazaka, formata da personaggi immensi, alti, grossi, dai visi simili a statue orientali. Sembra che ci sia poco da fare in quei posti, invece, il soldo circola bene anche da quelle parti e avevamo clienti anche lì. K. era uno di questi. Se dovevi figurarti le fattezze di Gengis Khan o di Attila questi era perfetto per la parte. Smisurato nell'altezza e nelle dimensioni, dava l'idea di un forza disumana, con mani enormi e dure come tenaglie, ma era la testa quella che più impressionava. Quadrata, completamente piatta davanti, con labbra spesse e gli occhi ridotti a due fessure sottili. Se te lo immaginavi con un elmo a cavallo con una spada in mano, sapevi che non avresti potuto chiedergli mercede. Invece era sorprendentemente gioviale ed allegro, sempre pronto a fare festa e a dare temutissime pacche sulle spalle con le tremende manone, mentre cercavi di schivare i suoi tentativi di baciarti sulla bocca con affetto. Era ricco ovviamente e si voleva sentire munifico come un satrapo orientale, per sentirsi amato dai suoi, come quando regalò mille dollari (cifra esagerata per il posto) al matrimonio di un suo scagnozzo, quando gettava mazzi di banconote ad un gruppo di cavalieri incontrati lungo la strada perche dimostrassero per i suoi ospiti un buskashì, la gara in cui ci si strappa di mano, cavalcando, una carcassa di montone o come quando voleva organizzare un marito appropriato per la nostra Stefania, scelto con cura tra la sua gente migliore. Gli avevamo venduto una linea per produrre ed imbottigliare bibite gasate, ma aveva tanti sogni, tanti progetti. Un sistema di serre per ortaggi, una fabbrica per produrre alimenti per neonati; tutte cose utili al paese e infine la cosa a cui teneva di più un grande albergo moderno come ancora non ce n'erano nella sua città, un po' periferica rispetto alla capitale. Voleva che fosse all'altezza dei migliori del mondo, come quelli che aveva visto durante il suo viaggio in Italia e ci mandammo appositamente un architetto specializzato perchè vestisse da occidente il fabbricato che stava per essere costruito. Fu portato in pompa magna sul luogo dove già sorgeva una fatiscente costruzione a due piani. Qua e là emergevano tratti di calcestruzzo eroso, putrelle corrose dalla ruggine, pietre spezzate sui davanzali di finestre cieche; pareva uno scheletro dopo il bombardamento. Il nostro chiese se quello era l'edificio da abbattere per far posto al nuovo albergo. K. ci rimase male perchè quella era la sua costruzione appena finita, fresca di muratori, che lui considerava un po' il suo capolavoro. Allora non se ne fece niente. Era un candido K., così quando chiedemmo spiegazioni per i trecento euro di extra che ci erano state esposte in fattura, quando lo portammo a pernottare a Venezia una notte sul Canal Grande, ebbe difficoltà a capire un meccanismo estraneo alla sua cultura. Disse che aveva telefonato tutta la notte ad un numero indicato da un canale televisivo e che iniziava con 144, per chiedere che gli mandassero in camera quella gentile odalisca che veniva mostrata nel programma, ma non era riuscito nell'intento ed a tarda notte aveva desistito. Non lo turbammo più con spiegazioni troppo complesse.

mercoledì 15 luglio 2009

Bianco di betulla

L'inventiva è dono raro, se poi si unisce all'immedia-tezza ed alla capacità di utilizzo dell'idea folgorante nell'occasio-ne propizia, allora diventa arte ed è di pochi. Quanti si rammaricano, terminato l'evento, di come avrebbero potuto intervenire con arguzia, aggiungere un'osservazione intelligente, dire una cosa memorabile. Troppo tardi, tutti se ne sono già andati e l'idea rimane lì, sterile, ormai inutile a frullare nella testa per tutta la notte. Ancora inverno con babbo gelo che copre la foresta infinita di betulle dell'immensità siberiana di neve vergine. Irkutsk pigra ed immobile sul Bajkal, dorme tranquilla tra Jakutsia, Buriatja e Chita, terrae incognitae, note solo ai giocatori di Risiko. Eravamo stanchi dopo una giornata trascorsa all'accettazione definitiva di un piccolo impianto per produrre casse portabottiglie e dopo una cena anonima nel salone dell'unico albergo, ci preparavamo al sonno del giusto per recuperare le forze alle battaglie del giorno successivo. Blinj con sevruga, balik, una saljanha un po' oleosa e carne grigliata anonima. Mentre attendevamo il dessjert, ecco dal fondo della sala, avvistata la preda, avvicinarsi la tipica fauna degli alberghi russi, due gentili signorine che con uno smagliante sorriso di circostanza pongono le domande di rito e che la cortesia impone di far accomodare. Per fortuna la cena era ormai finita e ci si salva con un bicchierino di classico Amarjietto, il più amato dalle russe. Caso anomalo per la femmina russa media e la siberiana in particolare, le due erano piuttosto anonime, Anja una biondina magra e slavatella e Zvjeta, una burjata bruna e grassoccia che, in corrispondenza alla sua etnia, sembrava avesse sbattuto la faccia contro un camion. Cominciarono subito con il panegirico sull'italianità, mentre noi cercavamo una via per lo sganciamento educato. E' qui che la genialità trova la sua corretta applicazione. Alla domanda legittima su cosa ci facevano tre simpatici italiani nelle profondità delle Russie, il più abile slavofono tra di noi, l'amico Ferox, che di tanto in tanto compare qui con sagaci commenti, cominciò a raccontare la nostra storia. Eravamo alti funzionari di una ditta italo-australiana arrivati ad Irkutsk per creare una grande Joint-venture con la municipalità. Infatti eravamo venuti a conoscenza di un fatto assolutamente rivoluzionario e segreto. Nelle vicinanze del lago e solo lì, luogo unico al mondo, spirara per quasi 250 giorni all'anno il vento da nord, sempre uguale, teso e gelido e sempre nella stessa direzione. Questa particolarità aveva prodotto intere immense foreste di betulle i cui fusti piegavano tutte nello stesso modo con un angolo quasi perfetto di 121 gradi. Esattamente la curvatura del boomerang di cui la nostra azienda era leader mondiale per fabbricazione e commercializzazione. Così era nata l'intenzione di costruire una grande fabbrica di boomerag, ecologicamente compatibile, sulle rive del lago, che ottenendo con facilità un boomerang perfetto da ogni betulla abbattuta, avrebbe dato lavoro ad almeno tremila persone della zona. Le ragazze, che non avevano mai sentito la storia del troncio e dello stuzzicadenti, anche se adattata al luogo, assentivano col capo e con la bocca appena aperta per la meraviglia. Una chiese se il fratello avrebbe potuto fare domanda di assunzione. La mattina prestissimo era prevista l'inspeczia alla foresta più vicina e la firma del kantract. Per questo le lasciammo a consolarsi con la bottiglia dell'Amarjietto, ma mentre ce ne andavamo all'ascensore vedemmo che si dirigevano verso un tavolo di Coreani in cerca di miglior fortuna. La lunga notte siberiana aveva vinto ormai da ore la fioca luce del giorno.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!