L'inverno russo è un po' un limbo perenne, in cui si passa dal buio poco illuminato della notte ad una penombra lattiginosa che dura poche ore, sempre ovattata dal bianco sporco della neve che attutisce ogni rumore, in particolare allora, quando il traffico era scarso. Anche se tutta la città era servita di teleriscaldamento, quei pochi mezzi circolanti ammorbavano l'aria. Avevi senpre in gola uno sgradevole sentore di cattiva benzina bruciata male. Tutto questo ottundeva alquanto i sensi, creando un certo torpore che leggevi chiaro negli occhi dell'umanità che, nonostante il freddo, affollava i marciapiedi, la mattina per andare sul posto di lavoro. Questo non significava certo andare a lavorare, sono due concetti radicalmente diversi. In quel periodo infatti, era luogo comune dire che lo stato faceva finta di darti uno stipendio e tutti facevano finta di lavorare. Procurarsi qualunque cosa era un po' un percorso ad ostacoli, in cui valevano solo le conoscenze, delle persone giuste e delle giuste modalità. Qualunque tipo di biglietti, sia per i trasporti che per gli spettacoli o l'ottenimento di visti o permessi, prevedeva il contatto con persone misteriose che, pagando il giusto, ti procuravano il tagliando desiderato. Così dovemmo rinunciare al viaggio previsto ad Alma Ata, non avendo in tempi utili, il visto necessario. La notizia ci giunse da Zhenija, che in pratica fungeva da trovarobe, mentre andavamo ad un importante incontro di rappresentanza al ministero del commercio, dove un personaggio di peso ci attendeva in una enorme salone con classica scrivania sovietica a T, tra un andirivieni di ancelle recanti thé e misteriosi fogli dove lui, con noncuranza, dopo aver gettato un'occhiata, vergava uno scarabocchio. Quello era certamente un uomo di peso (almeno 150 kg) in classica grisaglia, che scese dal trono per abbracciare e baciare il tenero Ferox, cercando di metterci a nostro agio. Di certo, l'accreditamento ed i precedenti della nostra azienda, che era una delle pochissime, allora, ad avere un accreditamento ufficiale, aiutava, ma, come mi fece poi notare Ferox, si avvertiva un certo qual cambiamento nella condiscendenza con cui il mammasantissima ci trattava stavolta. Si complimentò per le nostre realizzazioni e mentre si parlava del più e del meno, non perse occasione per far scivolare tra le pieghe del discorso la sua famigliarità con Craxi, De Michelis e compagnia bella. La prendemmo come un cambiamento dei tempi ed in ogni caso ci diede interessanti dritte su nuovi contatti da prendere. Il suo occhio era vivo e attento, a dispetto della mole, come di chi sente il branco di iene che ha ormai circondato la tana del vecchio leone in difficoltà e ha ben compreso che è il momento di cercare nuove piste su cui svicolare per evitare i pericoli e rimanere a galla nella battaglia di potere appena scatenatasi. Ce ne andammo dopo un'oretta. In ufficio ci aspettavano, anche se avevamo cercato di evitarle, altre due iene, i padroni dell'appartamento, una coppia che nella privatisazija, da inquilini ne erano rimasti proprietari con un riscatto nominale. Trasferitisi in una piccola dacia nei dintorni di Mosca, campavano dell'affitto ed ogni mese arrivavano come sanguisughe richiedendo un aumento delle prebende che superavano ormai ampiamente i 2000 dollari. Un vero furto. Sembava una coppietta di tranquilli pensionati dediti alle pratiche dell'orto, invece seduti dietro il tavolo della cucina, non mollavano l'osso, sapendo che ci eravamo ormai impiccati con la nostra stessa corda, avendo completamente ristrutturato a nostre spese i locali. Pretesero altri 200 dollari adducendo inesistenti spese di manutenzione, pena lo sfratto immediato. Temendo l'arrivo dei picciotti, Ferox aderì obtorto collo al taglieggiamento e i due banditi se ne andarono a braccetto, dondolandosi lungo le ampie scale imperiali al buio, essendo rotto l'ascensore e tutte le lampadine rubate. Risolta la pratica andammo all'aereoporto ad accogliere R. che arrivava dall'Italia carico di materiale. Anche qui bisognava conoscere le segrete strade. Trovata infatti una vecchia amica che apprezzò particolarmente la scatola di Rocher Ferrero che avevamo casualmente con noi, ci fu permesso di entrare nelle aree speciali dove facemmo transitare facilmente tutto il materiale, evitando pratiche burocratiche infinite che, nella maggior parte dei casi si traducevano nel sequestro di parte della merce. Ansiosi di saper le ultime notizie italiane arrivammo in ufficio appena in tempo per sentire il ticchettio del telex che batteva due fondamentali notizie. La prima ferale, comunicava che l'affare degli stampi per i rossetti ed i mascara su cui speravamo tanto era sfumato a favore di una ditta coreana, l'altra, che da una finanziaria canadese erano arrivati i soldi per la prima linea di riempimento di acqua minerale e che il contratto poteva partire senza altri indugi. Grandi festeggiamenti; dalla cucina Angela arrivò con una cofana di spaghetti appena scolati, il parmigiano, appena arrivato dall'Italia, come se piovesse e lo stappo di una bottiglia di champagne (bulgaro) segnò il successo dei nosti sforzi. Ma le valigie erano pronte, dopo due ore eravamo già all'aeroporto secondario di Domodiedovo dove un rabberciato Ilijushin ci avrebbe portato prima di sera a Ekaterinburg che, anzi ancora si chiamava Sverdlosk.
venerdì 11 dicembre 2009
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