venerdì 2 gennaio 2015

Le statue di Bago

Bago Kyaik Pun Paya


Naung Daw Gyi
Uscire da Yangon al mattino presto è un pochino più agevole che nelle ore di punta. Il flusso di traffico è più intenso in entrata, ma, in ogni caso, ci vuole almeno un’oretta per raggiungere la periferia, tra vecchi autobus che perdono le lamiere e baracchini carichi di umanità varia e caschi di banane verdi. Subito sulla strada sulla destra, a Taukkyan, il cimitero di guerra inglese, appare come un corpo di palese extraterritorialità, con i suoi prati perfetti e le file ordinate di più di 6.000 croci bianche. Tutto intorno, la confusione dell’estremo oriente corre verso il suo destino di crescita vorticosa che gli compete, sfiorandolo come una bolla senza tempo. La strada verso Bago invece è piuttosto trafficata. Camioncini carichi di monaci. Macchie rosso mattone che sfrecciano  veloci verso nord. La strada si fa dritta tra boschi e risaie. Contadini isolati camminano sugli arginelli lontani con le zappe di traverso alle spalle. Bago, pur essendo una delle tante antiche capitali, è un grande paesone, affollato di gente, motorette e baracchini che si muovono in tutte le direzioni. I tanti templi sparsi per la città, pur essendo vecchi di secoli, sembrano tutti nuovi di zecca in quanto continuamente restaurati e ridipinti di gialli smaglianti, mentre le parti in bianco riflettono il sole come specchi lucenti.

Naung Daw Gyi
Non siamo abituati a questo aspetto. Per noi il valore dell’antico è dato da quella patina che il tempo lascia anno dopo anno, quel senso di vecchio che dà valore a cose uniche, che non possono essere rifatte,devono rimanere assolutamente intonse, che tolgono a priori il valore alla copia, anzi la declassano immediatamente a cosa di scarto, volgare e pacchiana. Qui è il contrario, il vecchio non dà rispetto al sacro. Nel momento in cui si avverte la patina del tempo e al tropico basta poco, muffa e umidità deteriorano in fretta ogni superficie, bisogna, se è possibile, rinnovare, ricoprire, rendere ancora nuovo e rilucente per maggior gloria della divinità. Così si mostra l’attenzione e la devozione del fedele. Il denaro e i lasciti servono proprio a questo, a rifare di tanto in tanto i monumenti, se possibile rendendoli sempre più grandi e splendidi.

Mahazedi Paya
Ecco dunque il famoso Buddha sdraiato Shwethalyaung riparato dalle intemperie da un tetto sostenuto da tralicci di metallo col suo cuscino di mosaico di una cinquantina d’anni appena, l’enorme Naung Daw Gyi disteso per oltre 75 metri appena ridipinto di giallo dorato, col bordo della veste che risplende di tessere di vetro; i quattro enormi Buddha seduti della Kyaik Pun Paya con il rosso delle labbra e il nero degli occhi appena ripassati, accanto alla sala delle ordinazioni Maha Kalyani Sima con le nuove lastre di marmo bianco o la gigantesca Shwemawdaw Paya, più volte abbattuta dai terremoti e ogni volta ricostruita, più alta e superba nei suoi 113 metri attuali, la Mahazedi Payache ingloba alla sua base una parte di quella in mattoni crollata al suolo nel 1917, anche questa oggetto di devozioni come le mille e mille statue nuove e coloratissime che le circondano, con aureole di tubi al neon lampeggianti in questa Disneyland buddhista a nostro gusto pacchiana ed esagerata, credibile e bellissima invece per le migliaia di fedeli che ogni giorno vi accorrono, pregano, portano offerte, lasciano danaro, accendono incensi e si inginocchiano con fervore ed entusiasmo.

Taukkyan, il cimitero di guerra inglese
Turiste thailandesi squittiscono felici tutto intorno. Qualcuna vuole essere fotografata, qualche altra fotografare te, se sapesse fare funzionare il suo smartphone nuovo. Poi corre ad accendere bastoncini di incenso e si inginocchia compita. Le sue ciocche bionde e mogano scendono innaturali attorno alle orecchie e nascondono la sottile linea di confine tra devozione e superstizione. Lasci Pago un po’ sconcertato, con gli occhi pieni di colori e di luce e le tante statue che apparivano prive di valore e un po’ scontate ed insignificanti dal punto di vista artistico, cominciano a cambiare senso, ad assumere una valenza diversa e più pregnante. La strada da dritta comincia nuovamente a diventare tortuosa e le colline sinuose e ricoperte di foreste dello stato Mon sembrano sempre più vicine. La natura si fa più rigogliosa. Attorno alla strada, capanne ed alberi, banchetti improvvisati che offrono pomeli giganti. Ne compro uno. E’ maturo e perfetto. Stacco la spessa buccia che ne protegge il corpo come un morbido cuscino impenetrabile. Le fette carnose hanno sottili sfumature rosate. Le libero dall’involucro e le addento infine ingordamente, la bocca inondata di gusto lievemente amaro, mentre un bouquet di profumo di sud e di oriente mi riempie le narici. Dolce, amaro, appena acidognolo, fragrante, quante sensazioni in un solo morso! Che buono!

Shwemawdaw Paya

SURVIVAL KIT

Taukkyan – Cimitero di guerra inglese – entrata libera, sulla destra sulla strada principale. Molto  ben curato e suggestivo come tutti questi luoghi simili in ogni parte del mondo

Da Yangon a Bago – Circa 2 ore di auto. Ingresso a tutti i monumenti 10.000K (più ticket per macchina foto 300K). I monumenti ed i templi sembrano tutti nuovi e appena ridipinti e possono apparire deludenti, ma bisogna entrare nell’ordine di idee. I principali sono:

Shwethalyaung –Buddha disteso di 54 metri riparato da una costruzione più moderna, Particolare l’appoggio della testa, ricoperto di mosaici lucenti.

Shwemawdaw Paya-  pagoda dorata di 113 metri, 14 in più di quella di Yangon. Ricostruita l’ultima volta nel 1930. Alla base i resti di quella abbattuta dal terremoto del ‘17. Particolarmente affollata dai fedeli e circondata di banchetti di souvenir.

Kyaik Pun Paya – 4 statue sedute di 30 metri del 1400 che guardano ai 4 punti cardinali. Uno dei quattro  è crollato nel terremoto del 1930 e ricostruito a nuovo, secondo la leggenda che ne prevedeva la caduta nel caso  che una delle 4 sorelle a cui erano dedicati si fosse sposata, come in effetti successe.

Naung Daw Gyi – Buddha sdraiato di 75 metri del 2002, molto popolare per la sua dimensione e le sue proporzioni, circondato da un bel giardino pieno di statue e di tempietti minori.


Mahazedi Paya – Una delle pagode più suggestive della città con una lunga scalinata che conduce fino alla cima dello stupa.


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2 commenti:

Unknown ha detto...

Mi fa quasi paura di una paura che non mi so spiegare, questo movimentato e instancabile immobilismo culturale che, non a caso io credo, non lascia riposare i suoi Budda e non dà loro la pace di invecchiarsi come ogni cosa che assomigli all'uomo; ed i suoi smarts acquisiti che la ripetono — banale ed appropriandosene di un nuovo che non è mai mai nuovo — d'un infinito al portaccasa piccolo da sapiens

Un saluto

Enrico Bo ha detto...

@Paolo - Buddha riposa sazio, immobile con sorriso intonso ed immutabile. Formiche impazzite corrono intorno ebbre di necessità immanente, superstizione fedele, voglia di fare e credo di immanente, sazietà di tradizione antica, dovere innato di massa pecoresca ma atterrita dall'incognito domani.

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