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martedì 8 ottobre 2019

La casa si ribella

Risultati immagini per presa elettrica
dal web

La mia casa si sta ribellando. Non so cosa sia, se 'o monaciello o the others, fatto sta che tutto si rompe o quanto meno ha dei malfunzionamenti e maledizione, pretende di essere curato e rimesso in ordine. Tanto per non farvi un elenco esagerato, ho almeno quattro problemi elettrici di difficile soluzione, lampadari che non si accendono, punti luce che scoppiettano, prese divelte che non funzionano; un pensile della cucina è precipitato fragorosamente al suolo trascinando con sé decine e decine di bicchieri risalenti addirittura al pacchetto doni di nozze e fracassandoli quasi tutti, tranne quelli di misero valore; antine di legno che si sono malamente divelte e non vogliono più saperne di chiudersi; tapparelle che rimangono a metà e ringhiere arrugginite che reclamano disperatamente una mano di colore; lo sciacquone che va a modo suo; carta da pararti che si stacca a larghe falde come la neve e queste sono solo la punta degli iceberg che col riscaldamento globale si stanno sciogliendo. La realtà è che tutto questo lavoro manutentivo, gioia dei bricoleur casalinghi, mi ripugna profondamente. Sono uomo di lettere, si sa e solo avvicinarmi al parcheggio di Brico o similari magazzini, mi dà un senso di nausea unito ad eruzioni cutanee di allergia prodromo di certo shock anafilattico. Senza contare che qualunque tentativo di soluzione a grane anche minime, mi provoca accessi di ira che lasciano interdetta la mia consorte oltre a procurarmi quasi di default danni fisici irreparabili, come ferite, spelature e contusioni varie oltre all'innalzamento della pressione. 

Certo mi sento un leggerissimo senso di colpa , ma molto leggero, eh, nel vedere la mia gentile signora che guarda con invidia a quelle il cui marito discute con competenza di brugole e chiavi a stella, dichiarando, come i miei amico Loris e Pierangelo: - Non ci sono problemi irrisolvibili se si ha l'attrezzo adatto - , poi tirano fuori la chiave del 13 e zac tutto va a posto in un attimo. No a casa mia tutto rimane pendente per giorni e settimane, nella beata speranza che la cosa si risolva per intervento divino, ignorando, con l'uso del famoso udito selettivo dei mariti, le battute del tipo: - eh, certo che prima o poi bisogna metterla a posto 'sta cosa! - . Il solo tentativo di cercare di acquistare un pensile dell'Ikea succedaneo a quello sbriciolato, mi ha provocato un inizio di esaurimento; la visione delle istruzioni di montaggio dello stesso, 14 pagine,  mi ha chiaramente fatto capire come solo la Svezia abbia potuto produrre il fenomeno Greta. La casa lo sa e siccome probabilmente ce l'ha con me perché pensa che io non la ami e le voglia stare lontano, confondendo il mio affannato desiderio di vedere quello che c'è dietro la collina, almeno fino a che ce la faccio, con la sensazione che non le voglia bene e che soffra a stare tra le sue calde coccole, si vendica rompendosi. Non venitemi a dire che dopo quasi quaranta anni, le cose si rompono e bisogna sistemarle, no no qui ci leggi proprio la volontà, la malevolenza vendicativa di farmi un dispetto, di darmi ulteriori problemi e costringermi a dannarmi, oltretutto istigato dalla mia povera consorte che, anche se cerca di risolvere tutto lei, dal chiodo del quadro in su, a fare certe cose non ce la può fare. Basta, bisogna andare via al più presto, allontanarsi dal maleficio, con la larvata, ma purtroppo inutile speranza che al mio ritorno le cose si siano miracolosamente aggiustate da sole.


giovedì 10 settembre 2015

Mission (compiuta) impossible

La ringhiera

Fatto. Concluso. Finito. Pensavate che non ce l'avrei mai fatta, eh? Invece no. E' stata dura lo riconosco, ma alla fine il risultato è arrivato, bello e definitivo. Intanto mi sono accorto che la macchina infernale che il mio gentilissimo vicino mi ha prestato, era pressoché inutile, in quanto molto adatta a superfici piane liscie e invece di difficile se non impossibile applicazione nel mio caso, una serie di bacchette a superficie cilindrica. Ma tutto questo è emerso solo con la dura pratica, dopo che per ore ed ore avevo cercato di girare attorno alle bacchette tenendo in mano i dieci chili circa di macchinario vibrante, cosa che mi ha completamente messo fuori uso le mie già scarse e provate masse muscolari, poverissime di fibre lunghe nonostante sia caranivoro confesso. Ho dovuto così interrompere il lavoro per subire una serie consistente di amorevoli massaggi che quanto meno mi rimettessero in grado di opporre i pollici e controllare gli avambracci tremuli e privi di forza premente. Dotatomi dunque di fogli di robusta carta vetro, sono passato all'attacco manuale diretto della ringhiera demoniaca che non ne voleva sapere a nessun costo di arrendersi ai miei attacchi portati in forme a volte lenta e decisa, altre in maniera avvolgente e con scatti violenti, per farle capire insomma che non avrei desistito fino a che ogni forma di granulo rugginoso fosse rimasto attaccato con pervicacia malevola all'antico ferro. Alla fine ha dovuto capitolare, anche se la notte è  stata poi dura da passare, ma al mattino successivo le dita rosate dell'alba, illuminavano una superficie liscia e pelata come il culetto di un neonato, absit iniuria verbis. Era venuto il momento di mettere in gioco finalmente l'artista che giace in fondo (molto in fondo) a me. Scelto il pennello tra i diversi che la mia sposa ha messo a disposizione, tagliato di misura il cartone da porre sotto l'area di combattimento al fine di evitare dolorosi sgocciolamenti sulle macchine sottostanti parcheggiate, e si sa che i francesi sono particolarmente sensibili a queste finezze, infatti ogni inquilino che passava, un occhio in su lo buttava con una certa preoccupazione, ho finalmente aperto, con un minimo di difficoltà,  ma alla fine anche questa superata senza rovesciare il tutto, il barattolo del colore. Dopo aver rimestato a lungo la zuppa, finalmente è venuto il momento di intingere per la prima volta il pennello, raccogliere la giusta quantità di pittura, controllarne lo sgocciolamento ed infine, con cura e buon animo, cominciare la stesura del quadro. Finalmente ho capito il piacere che il grande artista prova quando la punta del pennello tocca il quadro e il colore si stende come per magia sulla superficie della tela. Come nello zen e il tiro con l'arco, la freccia va da sola verso il bersaglio sapendo a priori che è lì che deve trovare la sua unione definitiva, senza che la volontà dell'arciere influisca nella mistica dello sposalizio, così  le setole morbide si congiungono col ferro che le accoglie con lo stesso piacere di un sacramento compiuto. Il velo si stende da solo, il dolce movimento di va e vieni viene agevolato da entrambi i partecipanti alla festa, solo accellera un poco quando si capisce che stai arrivando al termine del magnifico gioco. Non conta che durante l'azione tu ti accorga di aver sbagliato verso, che non puoi sporgerti più di tanto per non ricoprirti il petto e il crine di tracce sicuramente indelebili che denunceranno a tutti quello che hai fatto nel segreto dei tuoi spazi, tutto è superato in quell'ansia di arrivare ala fine, che finalmente arriva gioiosa ed appagante. Riponi dunque l'attrezzo e contempli l'opera terminata con la soddisfazione dell'artista che ha portato a termine il suo capolavoro. Stasera devo invitare il vicino per un aperò e per restituire il maltolto, tanto presumo che vorrà controllare l'operazione. Quasi quasi domani ne do un'altra mano.

lunedì 7 settembre 2015

Quasi a metà dell'opera

Ieri come avrete notato mi sono preso una intera giornata di riposo, anche perché il completamento dell'operazione gratta (la ruggine) e vinci (la possibilità di pitturare il balcone), era ormai portata a termine per uno dei due purgatori e in conseguenza dell'operazione, ho riportato conseguenze forse irreparabili e permanenti alla mano e braccio destri, ma un po' anche al sinistro e alle gambe, nonché al mio fragilissimo sistema nervoso, per cui credo che, se mi riprenderò,  avrò necessità di un viaggio di purificazone in terre meditative come quelle indiane entro breve termine, ragion per cui amici fidati hanno già provveduto ad iniziare le pratiche per la richiesta del visto, cosa sempre più complicata, non si sa come mai. Comunque oggi , fisico permettendo, tenterò  di rifinire anche l'altra parte della grattata, poi mi metterò definitivamente nell'ordine di idee di completare le operazioni pittoriche, cosa che, essendo lavoro di pennello, potrebbero essermi più congeniali, considerato il mo lato artistico. Nel frattempo cercherò concentrazione sulla spiaggia, modo sempre faticoso di iniziare la settimana, ma sopportabile. Anzi vado subito. Guarda un po' se queste sono ferie! A domani.

sabato 5 settembre 2015

Lavori in corso

Quando ti ci trovi in mezzo è tardi, la situazione è ormai incancrenita e non riesci più a risolverla in quattro e quattrotto come blaterano i commentatori da bar. In tutti i casi, sia che il debito pubblico abbia debordato fuori controllo, sia che i barconi arrivino a decine, il problema arriva da lontano e dovevi pensarci prima, inutile piangere adesso o fare proclami, sudore e sangue, non c'è altra soluzione. Così eccomi qua, mi trovo un po' come nei panni di Tsipras. Adesso ho ottenuto il prestito forzoso, forse non bisognava chiederlo, o perlomeno accettarlo, ma adesso è tardi, ce l'hai e devi ballare. Non puoi più tirarti indietro, le riforme se pur dolorose le devi fare ed anche in fretta e non puoi neanche dimetterti, son tutti lì che aspettano le tue mosse e quindi à la guerre comme à  la guerre, ragazzi, tocca a me. 

Vi ho già relazionato ieri, e alcuni di voi, ho capito  dai commenti, mi sono molto vicini, del fatto che i miei due balconi giacciono in una colpevole incuria da anni e la malefica ruggine marina ha aggredito con sagacia ogni parte ferrosa visibile, tanto che i vicini, passando gettavano uno sguardo di commiserazione che fingevo di non vedere, anche se penso che nei loro commenti a mezza voce, saltasse fuori il classico: "Ah, les italiens!". Continuavo anche a fare orecchie da mercante alle malcelate frasi lasciate a mezzo anche dalla mia dolce sposa, quelle, insomma che devi capire da solo, ma accidenti vengo quaggiù pochi giorni all'anno per ridare forza al mio animo depresso e tendente alla melanconia, devo proprio dannarmi in tutti i modi? 

Non so ditemi voi cosa deve fare un povero diavolo, che non chiede altro vhe di essere lasciato tranquillo di fronte al mare a sistemare il prossimo libro da pubblicare o al più a cercare di terminare un sudoku antialzheimer? Così  avevo lasciato andare le cose per il loro verso naturale, seguendo i consigli del mo mentore, il rag. Filiberto, che suggeriva sempre di mettere le carte dei problemi di difficile soluzione in una cartella a parte e riaprirla dopo una settimana, scoprendo che la maggior parte di essi si era già risolta da sola. Invece, forse per forzare la mano, come vi ho relazionato, la mia dolce metà, carta vetrata dello zero tra le tenere dita, ha voluto forzare la mano ed è  accaduto l'irreparabile, il vicino, preso a pietà  dall'incongruo gratgrat che veniva dal balcone, è arrivato con l'apposito attrezzo scartavetratore in mano con tanto di 20 metri di prolunga. 

Il famoso prestito che che non si può rifiutare e che richiede un intervento deciso ed inderogabile. Insomma, le riforme vanno fatte a tutti i costi ed in fretta anche. Così  ieri, invece di fare le mie importantissime cose, avuto l'assenso imperativo di tutta l'assemblea popolare, ho iniziato i lavori. Voi non avete idea in che grana mi sono messo. Intanto l'attrezzo pesa mezza tonnellata e le mie anziane braccia non erano pronte a questi impegni, per cui dopo pochi minuti i bicipiti ancorché possenti, mi dolevano come se avessi sollevato per ore mezzene e quarti di bue. Inoltre la mano che reggeva il marchingegno, per stimolo indotto era presa da un tremito irefrenabile, tipico dei parkinsoniani. 

Mi ero bardato da guerra; pantaloncini da casa, ma con l'elastico molle che il tremore faceva via via scendere fino a mezza chiappa per maggiore divertimento degli spettatori non paganti, torso nudo e panza in resta incurante del sole maligno, occhiale da vista, bavaglio fatto con un vecchio foulard della moglie e capelluccio da ciclista del Consorzio Agrario, per evitare di avere in pochi minuti bocca e capelli ricoperti di venefiche polveri sottili, tipo reduci dell'11 settembre. Ma la mia ringhiera, capendo che non la amavo,  ha cominciato a congiurare contro di me. Intanto le bacchette sono rotonde, per cui è difficilissimo abraderle con una superficie piana per forza di cose tangente alla bacchetta stessa, inoltre la parte esterna, la più difficile da raggiungere è ovviamente quella più corrosa dal male. 

La fatica si è rivelata subito immane, la schiena, sporta pericolosamente nel vuoto, ha cominciato a dolere in maniera insopportabile a causa delle posizioni incongrue che anche la mancanza di esperienza, sono uomo di lettere io, mi imponeva. Il metacarpo ha iniziato ad avere problemi di tenuta, facendo correre il pericolo che l'attrezzo pesantissimo, cadesse da un momento all'altro sulle macchine sottostanti parcheggiate dai vicini che ogni tanto, attirati dai decibel dell'erosione, buttavano un occhio preoccupato, temendo la perdita della presa o peggio la caduta rovinosa dell'operatore stesso, cosa paventata quindi non solo da me, che tuttavia avrebbe messo fine alla mia tortura. 

Perfortuna siamo in terra libertaria e giacobina, per cui le imprecazioni che, rotonde e feroci, salivano al cielo, non hanno offeso od impressionato nessuno. Quando anche i piedi hanno cominciato a dolere più  di tutta l'altra muscolatura, ho ceduto di schianto. Dopo due ore di fatica disumana,  coperto dalla testa ai piedi di polverino verde untuoso che, mescolatosi ad una copiosa sudorazione, si era ormai trasformato in una sorta di venefica guacamole, ho ceduto di schianto. Sono a metà  del lavoro. Dopo una notte d'inferno, trascosa tra incubi di precipitare dal terzo piano o di affondare nelle sabbie mobili di pasta rugginosa o di perdere definitivamente l'uso delle braccia,  mi sono risvegliato in un bagno di sudore, mentre mia moglie garrula, mi richiamava all'ordine. 

Bisognava andare di corsa al regno del bricoleur, qui davanti ad acquistare la vernice apposita, in modo che non si possa più tornare indietro. Ormai, bruciati i ponti alle mie spalle, bisogna conquistare la fortezza o morire. Dotato di coperchietto col giusto colore, i gentili addetti dopo lunga consultazone hanno messo in moto il tintometro e prodotto la miscela della corretta tonalità. L'ultima mazzata me l'hanno data alla cassa , 55 euro, capirà,  siamo sulla Cote..  Stasera mi rimetteranno al remo, scusate gli errori di battitura, ma le dita non rispondono più  tanto bene. Adesso vado a buttarmi nell'acqua, anche se il beneficio di questi primi giorni di talassoterapia, se n'è  già bello che andato. Vi farò  sapere come andrà a finire. Come ti capisco Tsipras. Una prece.

venerdì 4 settembre 2015

La recherche du temps jadis (pour bricoler)

Eccomi qui dunque nuovamente ad arrabattarmi su 'sto tablet benedetto che coi miei ditoni, tocco sempre nel punto sbagliato e sparisce tutto e devo ricominciare da capo. Accidenti che fatica e poi questi francesi che la fanno così difficile per farmi connettere senza pagare. Lo so che sono pretenzioso, ma l'anziano è incline alla lamentosità e quindi, abbiate pazienza e lasciatemi fare. Avrete certamente capito che oggi sto cercando di allungare il brodo e anche piuttosto velocemente perché la spiaggia mi aspetta e oltretutto oggi pomeriggio dovrei anche raschiare la ruggine della ringhiera prima di dare il colore. Ma non credo che sia come la Giovanna della pubblicità  di Saratoga che si diverte e in più non raschia neanche. Comunque prometto che quando, vivaddio, avrò finito, me ne andrò  via sculettando, anche se credo che l'effetto non sarà lo stesso. D'altra parte l'operazione non è più procrastinabile. L'ho capito non appena ho vosto mia moglie che, senza profferire parola, sono tre anni che continua a far notare, parlando in terza persona, che bisognerebbe dare una mano al balcone, ha preso in mano un pezzo di carta vetrata e ha cominciato a grattare la ringhiera del balcone con foga, mentre io, imperturbabilmente, facendo finta di non sentire il grat-grat, tentavo, disperato, di concentrarmi per finire un sudoku 16x16. Messaggio subliminale? Fatto sta che il gentilissimo vicino del piano di sopra, che si è preso a pietà, spinto dalla moglie, evidentemente solidale, è subito corso giù per prestarmi l'apposita machinetta vibrante raschiatutto. Lui è un bricoleur coi fiocchi, come il mio amico Pierangelo e ha a disposizione qualunque strumento per qualsiasi lavoro. Solo che adesso che mi ha dato il marchingegno, il lavoro tocca farlo davvero. Vuol dire che al ritorno dalla spiaggia, invece di andare a comprare la baguette e il camembert, andrò a procurarmi

domenica 21 luglio 2013

Applicare l'applique.

Quando arrivi nella casa abbandonata da mesi, oltre allo sconforto ed alla desolazione del rudere ricoperto di polvere che appare come una tomba etrusca appena scoperchiata, nasce subito il problema delle cose da fare o da ripristinare. Questa situazione è nota anche come sindrome del bricoleur. Ci sono persone infatti a cui non solo questo incubo, dà piacere ed eccitazione, ma si capisce subito che se  non ci fosse se lo andrebbe a cercare, tanto gli friggono le mani per mettersi subito a lavorare alacremente, aggiustando, sistemando, rimettendo in funzione. Compaiono subito attrezzi di ogni tipo che il nostro ammirevole uomo di casa, si porta sempre con sé, casomai ne sorgesse la bisogna, che so io, per  una porta che si chiude male o una spina pendula  ed ecco saltar fuori da borse segrete,  cacciaviti e arnesi multitasking per affrontare la necessità del momento. Forse non si è capito ma io non sono mai stato accettato in quel club. Mettere le mani in qualsivoglia meccanismo o lavoro che rimetta in grado qualunque cosa di funzionare, è superiore alle mie forze, alla mia comprensione, di più mi ripugna applicarmici e cerco di sfuggire come un cane rabbioso alla vista dell’acqua, quando questo obbligo diventa imprescindibile. Già vi ho detto della messa in funzione della stufa, ma stamane, anche se ho cercato di defilarmi con una manovra di aggiramento degna di miglior causa, sono stato bloccato sulla soglia di casa e portato di peso davanti a una cosetta che nella scorsa stagione era stata messa da parte il giorno prima della partenza dicendo, ci penseremo un altro anno. Un punto luce, assolutamente indispensabile che dà vita alla cucina, aveva cessato di funzionare irrimediabilmente e a nulla era valso un primo contatto ispettivo, né il tentativo di sostituire semplicemente la lampada al neon aveva prodotto risultati. 

Quindi eccomi davanti al problema. Uno, avesse almeno una schiera di assistenti che, a richiesta, gli fornisse gli strumenti necessari, che so io, bisturi, forcipe, garza, ecc, sarebbe un piacere, il chirurgo potrebbe operare con tranquillità e profitto, invece l’infermiera di sala è al livello del dottore e le cose si fanno subito difficili. Il primo problema è smontare la vecchia applique. Semplice direte voi, ma se serve il cacciavite a stella, voi quale pensate io abbia in dotazione? Naturalmente quello a taglio. Quindi già questa prima operazione si è rivelata complicata, riverso col collo piegato in maniera innaturale verso l’alto, mentre le cervicali chiedono aiuto, le braccia sembrano di cemento, il cacciavite non caccia le viti, frammenti di soffitto si sbriciolano e ti finiscono negli occhi. Un inferno.  I tasselli sembrano fusi nel mattone, insensibili a qualsiasi richiamo e non si muovono, quando le prime urla belluine cominciano la scalata verso il cielo. In un modo o nell’altro qualche cosa si smuove, poi d’un tratto tutto crolla, per fortuna l’assistente lo acchiappa al volo prima che si infranga al suolo, il grosso rimane appeso ai fili al soffitto. Bisognerebbe staccare tutto e riattaccare il nuovo appena acquistato al Fai da te, che il Signore se lo portasse via chi lo ha inventato. Via le valvole, almeno fin lì ci arrivo, poi cominciamo le operazioni. Naturalmente mancano le forbici, il nastro adesivo e quanto altro serve all’elettricista. Subito un veloce messo viene mandato ad acquistare il dovuto, poi tra cristi e madonne si taglia, o meglio si strappa via tutto con rabbia. Poi il compito più arduo, bisogna leggere le istruzioni della nuova applique da appendere. 

Un romanzo di fantascienza, da cui è impossibile sviscerare se i fili 1 e 2 vanno inseriti nei punti 3 o 4, poi bisogna trovare i punti per inserire il filo della terra , ma ahimè la terra non c’è data la vetustà del sistema. Alla fine è chiaro che bisognerà andare per tentativi. Quando viene il momento della presa delle decisioni e quando rimangono solo i duri, ecco l’inghippo insormontabile, i buchi preesistenti sono come ovvio, in punti diversi e non combacianti, quindi l’applicazione diventa impossibile, sono necessari nuovi tasselli, trapano per i buchi, volontà di osare e soprattutto tanta tanta pazienza. Tutto è perduto, vista l’impossibilità di procedere, giocoforza si deve abbandonare il campo lasciando a terra morti e feriti, dopo avere sommariamente avvolto i fili col nastro appena ricevuto in dotazione, lasciandoli poi mestamente penzolanti dal soffitto martirizzato in pieno nulla di fatto. Tutto il vecchio accantonato a lato, il nuovo, lì a terra in attesa di essere ripreso in considerazione. Si vedrà, in seguito. Per intanto le truppe che orgogliose avevano disceso la valle, si ritirano in rotta risalendo l’antico cammino. Un tavolino del Bar della Rosa Rossa, immortalato dal De Amicis in Alle porte d’Italia, attende, porto sicuro il soldato sconfitto per ristorarlo con un marocchino e brioche al cioccolato.


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giovedì 24 novembre 2011

La storia di Fatma e le calebasses.

Calebasse - foto dal web
Non c'è niente da fare. Aveva ragione la mia zia Blanche di Parigi, quando diceva di avere les deux mains gauches pour faire le menage. C'è chi come me nasce, con un rigetto fisico-psicologico per tutto quanto riguarda le cosette da mettere a posto in casa, aggiustare, sistemare e così via, cose che per altri sono invece un piacere e un divertimento.  Il fatto è che le mogli a questa battuta non ci stanno, non capiscono che se uno è un artista, anche solo come atteggiamento psichico, è ovvio, non ce la fa, è più forte di lui. Come Fatma, una bella ragazza che ho conosciuto a Mbour (prometto che poi col Senegal chiudiamo). Ha sposato Abdu, per amore; gli ha fatto in sequenza sei bellissimi bambini, che riescono ad andare a scuola solo con l'aiuto di qualche amico italiano; adesso sono nell'indigenza più nera. Per forza, lui è un artista. Intaglia calebasses, le grandi zucche gialle senegalesi, con bei disegni geometrici tradizionali africani, mirabili intrecci senza fine, da vendere ai turisti. Ma ultimamente se ne vendono poche. Così, nella baracca spoglia dove stanno, i soldi che che Fatma riesce a far su con le collanine sulla spiaggia bastano appena per pagare l'affitto e un po' di riso. Se gli ordini un lavoro, deve farsi anticipare i soldi per comprare la zucca. 

Gli si era mandato dei semi per cominciare un orto familiare, in un terreno incolto fuori dal paese, ma la terra è bassa anche in Senegal e l'acqua così lontana, che se non andava a prenderla Fatma, seccava subito tutto, mentre lui rimaneva con gli occhi pensosi in aria a immaginare complessi arabeschi colorati. Occhi sognanti e ciglia lunghe, forse proprio quelli che avevano fatto innamorare Fatma, ma adesso che ogni giorno tutte quelle bocche pretendono di essere sfamate, l'amore non basta più, anche per non farne arrivare altre. Il suo sguardo dolcissimo si è indurito. Vorrebbe divorziare, ma sarebbe ancora peggio, dove andare con sei figli e senza un lavoro concreto? Così, nel piccolo cortile polveroso, continua il menage triste fatto di sguardi carichi di rimproveri non detti e di una disperazione senza soluzioni. Prima o poi se ne andrà da quella porta, scostando con un gesto secco la tenda sdrucita, prima di consumare questo scampolo di vita nell'attesa che i figli crescano, ma quando? Ma attenzione, che non tutte sono in queste condizioni. Ecco dunque che, dopo circa tre mesi che il pesante quadro del mio ingressino era piombato a terra fragorosamente (ricordate, ve ne avevo parlato qui), causando danni, mi è stato posto un aut aut definitivo. O lo riappendi o saranno guai seri. Ieri dunque, tra mille maledizioni, sono riuscito a mettere insieme un a specie di martello, qualche chiodo disuguale e una scaletta sbilenca che mi reggeva a malapena (anche se non era colpa sua certo). Il tentativo, detta così fa ridere, non è cosa di tutto riposo. 

Tocca salirci sulla scaletta, senza cadere, tenere in bocca i chiodi, come avevo visto fare a mio papà, ma senza ingoiarli; con due mani sollevare il quadro, con l'altra brandire il martello e con la quarta infilare il chiodo in un punto scelto a casaccio, tanto è inutile prendere le misure, che poi il punto lo sbagli comunque e tanto lì non si pianta mai, la prima volta. Ma se il chiodo è corto, non riesci a tenerlo con la quarta mano mentre martelli con la terza, così ti martelli solo le dita e fa anche male e se ti dicono, intanto di non smoccolare troppo forte che i vicini non sono sordi, ti girano anche. Il fatto che il quadro sia pesante, poi, non obbliga certo a mettere tre chiodi, tanto lo sai che sono solo due quelli che tengono su, ma per tranquillità conviene metterli, così ti puoi anche dare una martellata in più e va già bene che non ho rotto niente salendo e scendendo dalla scaletta, perché non c'è niente da fare, la conformazione fisica e l'attitudine mentale del mio corpaccio non sono compatibili con il negozio di cristalli. Avete voluto sposarvi per amore, allora adesso, per favore, non guardate  con occhi sognanti il marito della vostra amica che, quando gli raccontate che lo sportello del mobiletto della cucina è rotto irrimediabilmente e dovrete comprarne uno nuovo, vi guarda con commiserazione dicendo: "Tutto si può aggiustare con gli attrezzi adatti!" 


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