Visualizzazione post con etichetta tartari. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tartari. Mostra tutti i post

lunedì 22 marzo 2010

Il Milione 3: peste e corna.


Beh, il nostro Marco aveva ben chiaro in testa di voler scrivere per tutti quelli che avessero interesse alla conoscenza del mondo, andando oltre le semplificazioni del sentito dire, ben conscio che conoscere gli altri significasse innanzitutto cominciare ad intendersi e ad apprezzarne i lati positivi e comunque portasse ad un arricchimento utile.

Ma proseguiamo nel primo viaggio esplorativo che i due Polo (padre e zio) avevano fatto qualche anno prima, lungo la cosiddetta Via della seta del Nord, quando li avevamo lasciati in Soldania su mar Nero, che corrisponde alla attuale Crimea, dove le repubbliche marinare avevano dei punti commerciali di riferimento. In particolare ancora oggi sono ben visibili le mura di una cittadina nei pressi di Yalta chiamata (in russo) Forteza Genovesa, avamposto dove ben protetti, avvenivano gli scambi con le genti dell'interno. Erano porti franchi dove giungevano genti da lontano a scambiare merci, come oggi al gran mercato di Odessa. Da lì cominciava sempre l' espandersi delle grandi pestilenze endemiche dell'Asia centrale che arrivavano in Europa a seminare la morte. Peste e colera che i marinai trasportavano oltremare. Ero a Sinferopoli una quindicina di anni fa e la città era tappezzata di manifesti che imponevano di bollire l'acqua del rubinetto, mentre gli ospedali erano intasati di casi di colera. Le persone giravano per la strada con pezzuole sul viso e non ti dava la mano. Ma la curiosità ed i racconti di genti incontrate nei mercati che narravano di lontane meraviglie e di grandi regni, li spinge ad andare oltre:

Cap.3

...Quand'è furono dimorati alquanti dì in Soldania, persaron di andare più oltre e missonsi in cammino tanto cavalcarono che pervennero a Bolgara e ad un' altra città la quale ha nome Ontaca alla fine delle Signorie del Ponente sul grande fiume...ed oltrepassatolo andarono per uno diserto lungo diciotto giornate e non trovarono niuna abitazione ma Tarteri che stavano sotto loro tende e viveano di loro bestiame...

E' facile immaginare il senso di straniamento che avranno provato lasciando la costa sicura e popolata per penetrare l'immensa pianura sarmatica da Kazan (Bolgara) fino al Volga per poi percorrere territori sconosciuti fino agli Urali meridionali ed oltre. Ottocento anni dopo, la vista del Volga ghiacciato mi lasciò ugualmente smarrito per le sue dimensioni inusuali e le lunghe giornate trascorse in treno attraverso la Baskiria da Samara a Ufa, circondato da un paesaggio sempre uguale dove l'uomo è assente, mi davano il senso di procedere nel nulla. Si dice in Russia che cento anni non sono tempo e cento chilometri non sono distanza. Ma in quel tempo non si pensava di dover arrivare almeno un' ora prima per il check-in e si poteva procedere secondo ritmi meno stressanti.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/10/passare-le-acque.html
http://ilventodellest.blogspot.com/2009/05/alla-forteza-in-pobieda.html
http://ilventodellest.blogspot.com/2009/12/letargo-glaciale.html


giovedì 22 ottobre 2009

Il treno per il sud.

Forse qualcuno si chiederà il motivo di questo amarcord sovietico che, credo, se siete d'accordo, ci accompagnerà come la lagna monocorde di una trifonia mongola, anche nei prossimi giorni. Il fatto è che ho miracolosamente ritrovato una agenda dell'epoca in cui mi segnavo con cura gli eventi giornalieri, per me così carichi di nuove esperienze. Aggiungete questo all'abitudine di conservare anche una piccola documentazione iconografica e il gioco è fatto. Dunque ci siamo lasciati ieri mentre andavamo verso la Yugovagsal, la stazione del sud, con le gambe un filino malferme in seguito alla cena che avevamo avuto con il presidente di una importante fabbrica di vodka, a cui avevamo venduto una linea di riempimento, con al seguito sottopancia ed amica del cuore. Dato che mancava una quindicina di giorni al suo ricovero annuale in clinica per disintossicare il fegato provato dal suo duro lavoro, ci aveva dato dentro con i campioni appena imbottigliati del suo stesso prodotto, coinvolgendoci nei brindisi ripetuti. D'altra parte, come diceva lui, la sua era una malattia professionale, se fosse stato presidente di una miniera avrebbe avuto la silicosi e sarebbe stato anche peggio. Lo riportarono in albergo sostenuto dall'autista e dal sottopancia, mentre la signora che aveva finito una intera bottiglia di Cinzano rosé, cantava allegra Funiculì funicolà. Comunque la stazione era vicina, ma quando scaricammo le valigie dalla macchina, l'ambiente non era rassicurante, giravano ceffi di ogni genere, alcuni a gruppetti con la faccia di chi si spartisce il bottino dopo la rapina, altri appoggiati agli stipiti come avvoltoi in attesa di preda. Zhenja e G. che ci accompagnava, si guardavano attorno con cautela, resi attenti dall'esperienza che in in quel periodo, in cui si stavano sfaldando le maglie di un regime oppressivo e controllore, raccontava di una Mosca particolarmente pericolosa per gli stranieri. I moscoviti, poi, avevano sempre avuto particolare astio per la gente del Caucaso, i cosiddetti culi neri, furfanti e dediti per costume ed inclinazione naturale al malaffare, responsabili di ogni nefandezza che accadeva a Mosca, come si è ben dimostrato successivamente, nella guerra cecena, che tutti in Russia appoggiavano entusiasticamente. Si sa la gente del sud è tutta mafiosa e al più sono solo dediti a far festa suonando la dambrà (un tipo di mandolino) e a mangiare lepioske (una sorta di pizza). Comunque avevamo, tra campioni, materiali di lavoro e viveri di sussistenza quasi cento chili di valigie in due e si imponeva un facchinaggio. Scendemmo con cautela lungo un tetro sottopasso, dove stazionavano venditori improvvisati di giornali e cibarie varie. Un bel cartello sul muro recitava "Servizio bagagli: 40 rubli", ma la cosca dei tartari che aveva in mano il business e che ci aveva subito individuato e circondato, dopo una lunga trattativa si accontentò di soli 10.000 rubli. Un vero affare, prendere o lasciare, d'altra parte, come ci spiegò bene il loro caporale, di stranieri non ne circolavano quasi e anche loro tenevano famiglia. Ci trascinarono i colli lungo la fetida banchina, fino al treno che partiva a mezzanotte precisa. G. mi abbracciò salutandomi e raccomandò a Zhenja di stare in campana. "Prego la scusa - disse lui - ma vado a cercare il capovagone". Così salimmo per trovare lo scompartimento che avevamo prenotato, tramite un amico che ci aveva raccomandato (i biglietti allora non si compravano alla biglietteria, ma tramite "conoscenti") per averlo (pagando il giusto) tutto per noi. Ci aspettavano 31 ore e 42 minuti di viaggio prima di arrivare alla repubblica Karachiajevo-Cherckieskaja.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!