martedì 8 giugno 2010

Il Milione 17: Digiuno in alta quota.

Ormai la carovana sale sempre più in alto verso il tetto del mondo. La strada è pericolosa e difficile e i sentimenti di chi le risale sono di certo uguali ora come allora. Mentre io percorrevo quella che dal Kashmir raggiunge, attraverso il Jammu, gli alti passi del Ladakh, mi giravo spesso a guardare, quasi mille metri più in basso le carcasse arrugginite dei pulmann precipitati in quell'abisso nel corso degli anni e là abbandonati. Forse Marco vedeva scheletri di asini o di altre cavalcature da trasporto, che avevano percorso il nostro comune cammino. Ma l'ansia di vedere, la voglia di conoscere cosa c'è oltre quel crinale, che ancora oggi separa la cultura di Maometto da quella di Buddha, è più forte di ogni cosa e una volta superati i passi, la bellezza delle montagne spoglie ed il cielo indaco con le piccole nuvole bianche che si stagliano come nei dipinti che ornano le pareti scure e coperte di nerofumo dei monasteri, ti toglie ogni altro pensiero. Lui, comunque un occhio alle opportunità lo buttava sempre.
Cap. 46
Quivi nasce le pietre preziose che chiaman balasci (varietà dello spinello simile al rubino), che sono molto care e da altre montagne si cava l'azzurro (i turchesi) e il blu (lapislazuli) il migliore e il più fine del mondo e è pena la testa per chi ne cavasse fuori dal reame, perciò che ve n'à tante che diventerebbero vile. E àvvi montagne dove si cava l'argento.
Intanto qui si chiarisce che i sistemi per mantenere alti i prezzi di mercato alla De Beer erano già ben conosciuti anche allora, ma di questa abbondanza di materiali preziosi, si avverte tuttora la presenza, soprattutto nei ricchi ornamenti femminili, in particolare il perak, una sorta di copricapo in cuoio dove ogni donna espone tutte le pietre (turchesi, coralli fossili e argenti) che costituiscono il suo avere personale, la dote e i lasciti di madri e nonne e che viene esibito nella vita quotidiana e mai abbandonato. I Ladakhi sono una popolazione montanara schiva e abituata a vivere con le poche cose che concede loro il territorio difficile e aspro, che si dipana tra le altissime vette tra Karakorum e Himalaya, alle soglie del Pamir. Un piccolo regno, dove la religione, come nel vicino Tibet è sempre stata il potere preponderante della società, dove i monasteri hanno sempre avuto la meglio sui castelli e sulle povere abitazioni di fango e pietre, in quanto i monaci hanno sempre saputo ammantarsi di un'aura di purezza e di lontananza dalle cose terrene, che hanno contribuito a rendere il clero proprietario di quasi tutte le terre coltivabili a disposizione.
Cap. 48/49
La gente dimora nelle montagne molto alte; adorano idoli e sono molto salvatica gente. Vivono delle bestie che pigliano e loro vestire è di pelli di bestie. E quivi àe molti romitaggi ove fanno grande astinenza, né fanno cosa di peccato, né che sia contro loro fede per amore di loro idoli che sono nelle badie e nei monisteri di loro legge.

Certo è la cosa che colpisce di più in queste popolazioni, che ancora oggi usano spesse giacche di cuoio e si coprono spesso con pelli di animali mal conciate, che conferiscono alla loro vicinanza un sentore particolare, che la scarsità di acqua accentua, probabilmente conferendo le incrostazioni di sporcizia antica a una abitudine indotta, più che ad una inclinazione naturale. Inoltre i monasteri arroccati sulle cime e nei luoghi più misticamente solitari portano il visitatore a stupirsi delle capacità dei monaci a sopportare lunghi mesi di digiuno, da cui tornano più tondi e grassocci di quando si sono ritirati in preghiera meditativa, anche se una corretta informazione porterebbe a constatare che il digiuno viene corroborato da una cinquantina di tazze giornaliere di thé tibetano, che consiste in una miscela al 50% di thé e di burro, la qual cosa rende il tutto più sopportabile e la quantità calorica ingerita addirittura sovrabbondante, ma quello che conta per il fedele credente è l'intenzione. (E se non è il thé, anche il pane al burro va ancora meglio, date un'occhiata a questa ricetta ladakhi di Acquaviva) E con questa amara considerazione vi saluto per un po'. Voglio anch'io meditare sul senso di questo scrivere, scrivere....


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3 commenti:

Angelo azzurro ha detto...

Se provassi io quel genere di digiuno, chissà come finirei!!
Stupende quelle foto!

Enrico Bo ha detto...

Grazie Angy, la foto in alto è l'immissione dello Zanskar nell'Indo e quella sotto L'Annaourna Sud , anno 1974, bei tempi sigh! Quanto al thè tibetano tieni conto che il burro deve tassativamente sapere di rancido, se no rovina il gusto (e attenzione che bisogna dire burro di drin e non di , che è il maschio e viene considerata espressione alquanto scurrile)

acquaviva ha detto...

tè al burro: mooolto interessante! Anche il pane al burro, però... http://acquavivascorre.blogspot.com/2010/06/viaggio-fino-alla-fortezza.html

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