Si sa che la storia la scrivono i vincitori. Quante cose perdute o manipolate magari al contrario per dimostrare il falso con arguzia maligna. Però di tanto in tanto saltano fuori fatterelli finiti nel dimenticatoio, anche perché, in fondo la loro importanza è minimale, inutile a dimostrare alcunché, quindi sono stati giustamente accantonati in quanto non servivano nell'economia della memoria generale. Della mia famiglia, ho poca storia, addirittura non riesco ad andare al di là dei miei nonni; un po' pochino per cercare cose interessanti del passato, centrate su un piccolo sobborgo alessandrino, Valle San Bartolomeo, dove passavo i mesi estivi da bambino. Scioccamente non ho mai indagato con i miei, per avere racconti di episodi di quel tempo paracontadino, perché già i miei nonni si inurbarono.
Faceva l'argentiere, nonno Pietro, che non ricordo, essendo lui morto quando ero piccolo, ed era tornato al paese con la pensione, una delle prime, a stare vicino al fratello cavallante e senza figli. Chissà quanti racconti perduti, quante storie curiose di paese e di una vita diversa. Mia nonna se ne è andata presto. Lei aveva visto Buffalo Bill e questa è l'unica cosa che mi ha raccontato, così proprio io che amo tanto le storie minime, sono rimasto privo di queste fonti inesauribili. Una volta i nonni non si occupavano dei nipotini, altri tempi. E' un po' una lavagna vuota questo tempo per me ed è un peccato. Così, quando qualche tempo fa, amici di allora ritrovati per caso, mi hanno raccontato un fatto che, pare, tutti i vecchi del paese conoscevano, sono rimasto quasi incredulo e ve lo rigiro tal quale. E' una di quelle storie di paese che forse si ripetevano all'infinito sulle panchine della piazza. Dunque sembra che il mio trisnonno, di cui per il resto non si sa nulla, avesse servito in qualità di aiutante o addetto al cavallo di Vittorio Emanuele II.
Alla fine di una vittoriosa battaglia risorgimentale, va a sapere quale è stata, il re e i suoi accompagnatori rimasero sotto un gruppo di alberi dopo la dura giornata, mentre il sole scendeva sul campo di battaglia. Il mio avo aiutò, come suo compito, il re a scendere da cavallo, per riposarsi su un sedile di fortuna. Questa vicinanza era evidentemente consueta, perché il sovrano si rivolse a lui dicendo: - Bo, damm 'na cica.- Lui, che evidentemente stava preparato alla bisogna, estrasse un sigaro dalla saccoccia e lo porse al sovrano:- Pronti, siur re.- Vittorio se lo mise in bocca, masticandone un poco l'estremità, poi sbottò: - Brav Bo. - Questa patente di efficienza, questa icona dell'estote parati, racchiusa in tre battute, venne evidentemente ripetuta all'infinito al paesello, sottolineando la stringatezza delle precise parole della conversazione, di certo allo scopo di rimarcare come la conoscenza diretta del suo nome da parte del re, dimostrasse una sua stretta intimità col sovrano assieme ad una permanente e certificata affidabilità. Chissà se ci è campato per anni su questa medaglia virtuale. Però è l'unica cosa che mi è rimasta, del mio passato, di Unità d'Italia, di cui quindi, il paese mi è un po' debitore, va bene, diciamo in misura minima. Sarà anche un po' poco, in verità, ma si sa, la storia la scrivono i vincitori.
sabato 5 giugno 2010
Unità d'Italia: La mia famiglia ha partecipato!
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2 commenti:
Tutto perfetto meno " sigala". In realtà è :" Bo, dam na cica ! ".Sono molto contenta che tu abbia ricordato questo episodio che mi raccontavano mio nonno ed i miei prozii Panizza con un certo orgoglio di compaesani. Ti dirò che io mi sento ancora vicina a quel mondo contadino molto severo e privo di smancerie ma sicuramente sincero in questo omaggio corale tramandato di generazine in generazione ad imperitura memoria.
Paola
Giusto correggo immediatamente!Mio Dio, anche i compaesani conoscono l'episodio meglio di me!
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