venerdì 24 febbraio 2012

Lettere dal Laos 7: Gli elefanti di Kiet Ngong

Gli elefanti di Kiet Ngong.

 Ci sono cose che apparentemente eccitano soltanto la fantasia dei bimbi e alle quali lo scafato viaggiatore dovrebbe guardare con l'occhio commiserevole di chi non si lascia certo accalappiare dalle trappole per turisti. Eppure nella maggior parte di noi, scatta il fanciullino che si entusiasma alla sola possibilità di ripetere esperienze vissute con la fantasia, quando piccoli, si scorrevano avidamente le pagine de I misteri della jungla nera, di salgariana memoria. Io, almeno, in queste cose ci casco sempre a piedi uniti, così eccomi a bordo di un elefante ad esplorare le colline della riserva naturale di Se Pian. Il luogo è ovviamente affascinante, così isolato nella foresta e raggiungibile solo attraverso uno sterrato ondivago di una decina di chilometri che nella stagione delle piogge diventa un fiume di fango ed in quella secca un tunnel di polvere rossa che ricopre come cipria la vegetazione circostante. Alla fine della pista il villaggio di capanne di etnia lao loum  Kiet Ngong dove per tradizione gli abitanti vantano un rapporto con gli elefanti secolare. I pachidermi lavorano nella foresta e oggi sono ben contenti di trasportare in groppa un paio di turisti, anche grassi, in giro per le colline invece di sciropparsi una decina di tronchi di tek da una parte all'altra della strada. Sarà una cosa per fanciulli, ma quell'altalenante movimento lento che ti lascia guardare la foresta da una certa altezza, misurando con un metro diverso la bellezza che ti circonda, è la misura ideale per muoversi in questo ambiente e non può mancare di entusiasmarti. 

Le misteriose colonne di Phu Asa.
Guardi il fluire degli alberi secolari, i grandi tronchi contorti, il fogliame spesso e la punteggiatura coloratissima dei rari fiori che marchiano gli angoli più segreti, le farfalle giganti che non si posano mai e continui a spostare lo sguardo stupito qua e là, non sapendo scegliere quale punto di vista sia il più interessante. Poi quando scende l'adrenalina, ti lasci andare, appunto, come prevede il giusto approccio al paese e godi del lento fluire del tempo. Quando la pista nella foresta arriva verso la cima della collina e il terreno si scopre, ti appare allora uno spettacolo inatteso ed insospettato. Qui, il piccolo e delicato strato di terra della foresta pluviale è stato dilavato dalle piogge e la cima del colle è completamente nuda, mostrando una roccia così nera e corrosa da far apparire il sito in desolato abbandono come dopo un incendio devastante. Sulla sommità ricurva come una testa calva di un gigante maligno, appaiono allora, come formazioni aliene calate da altri mondi, di una serie di grandi pilastri di mattoni di ardesia, soltanto appoggiati gli uni sugli altri, a formare un rettangolo lungo oltre 180 metri, con al centro un antico tempio in rovina semisepolto dalla vegetazione, il Phu Asa. 

Il perimetro del tempio.
Una sorta di Stonehenge asiatica dalle origini incerte e soffocate dalle leggende locali, in cui la lotta tra il predominio della vegetazione e l'opera umana, mostra il suo facile vincitore. Il luogo è misterioso, la vista è splendida e nei giorni di poca foschia  lo sguardo spazia sulla foresta fitta del parco e sulle paludi circostanti ricchissime di vita acquatica. Quasi vorresti allora, che il dondolio del pachiderma che ti riporta a valle, fosse ancor più lento e sonnacchioso e ti lasciasse apprezzare per maggior tempo questo luogo magico, dove ti sei trovato solo a misurare lo scorrere della vita e neanche ti accorgi degli spruzzi che dalla sua proboscide inondano le tua gambe a penzoloni o delle sue flatulenze, dimensionalmente proporzionali. Quando si indaga sui lati profondi dell'essere, queste piccole manifestazioni fisiche passano in secondo ordine e solo una fresca Beer Lao al bar del paese ti richiama sensazioni più terrene, naturalmente dopo aver compensato personalmente con una robusta razione di dolce canna da zucchero, il gran tenerone grigio che ti guarderà andar via con occhio acquoso. 

Ma qui mi corre l'obbligo di una marchetta meritata, in quanto proprio in questo sperduto villaggio, da sei anni potrete fruire del primo eco-lodge laotiano, pochi bungalow in una atmosfera tutto natura, dalla cui veranda osservare gli elefanti al lavoro, gli uccelli delle paludi e l'incombere della jungla alle spalle, che invita alla sua scoperta. In alternativa all'amaca c'è sempre il corso per mahout, di guida di elefanti, di uno o più giorni, che dà una abilitazione che potrebbe sempre servire un domani. Si tratta del Kingfisher Ecolodge (i cui profitti vanno anche al villaggio ed ai suoi abitanti) di cui vi invito a visitare il sito qui, che è, sorpresa, gestito da Massimo, che di tanto in tanto commenta questo blog, il quale, capitato da queste parti per caso, è rimasto fulminato dalla bellezza dei luoghi (oltre che dalla bellezza di una fanciulla che sarebbe poi diventata sua moglie) e si è gettato in questa avventura con grande passione e direi ottimi risultati. Se capitate da quelle parti non mancate di approfittare, sarà una esperienza rara di cui non vi pentirete (tenendo anche conto che nei bungalow più economici una notte vi costerà anche meno di una ventina di euro!).

Uno dei bungalow del Kingfisher ecolodge.

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4 commenti:

Massimo ha detto...

Ciao Enrico,

Sono il Massimo menzionato nel tuo pezzo, mille grazie per averci pensato ed aver trovato lo spazio per parlare del nostro piccolo lodge nel tuo blog.

A tutti i lettori del blog posso garantire che Enrico trova sempre il modo di far uscire in maniera vivida lo spirito dei luoghi che visita e lo fa in maniera veramente convincente, per lo meno quando parla del Laos visto che ci vivo da un po' di anni :)

Salutoni.

Unknown ha detto...

Enrico, leggo tutti i tuoi post, ma non sempre commento, per non ripetermi
Evidentemente sei nato per viaggiare e per far partecipi gli altri dello spirito con cui lo fai e delle emozioni che ti suscitano i vari luoghi.
Io di lodge ricordo quelle dei parchi in Kenia e il silenzio religioso con cui si aspettava che le bestie venissero ad abbeverarsi.
Cristiana

Enrico Bo ha detto...

@Max - La tua è stata una grande idea oltre che una scelta di vita. Ti auguro che sempre più persone possano avere il piacere di vedere e godere del posto straordinario in cui vivi e ovviamente consiglio tutti i miei amici di non perderselo per nulla al mondo.

@Cri - Sarò forse nato per viaggiare ma sono condannato purtroppo a fare il turista. Non c'è dubbio che nei parchi africani si avvertano vibrazioni incredibili. Sono tutti mondi condannati a scomparire ahimé!

Adriano Maini ha detto...

Non so se ammirare di più gli elefanti, che un po' mi riportano a "I misteri della giungla" di salgari, o le testimonianze storiche o Kingfisher Ecolodge!

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