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venerdì 27 maggio 2011

Все нормальнo.

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Era piccolo e grassoccio con un gran testone dai capelli radi ed ingrigiti. Vestito in modo sovieticamente anonimo era arrivato da noi proprio col disfacimento dell'URSS alla ricerca come tanti in quel passaggio, di una nuova collocazione, che il suo fiuto da cane da tartufo gli aveva suggerito come necessaria ed impellente, prima di ritrovarsi alla fine col culo per terra. Ce lo aveva trovato un altro personaggio proveniente dai ministeri, di cui vi parlerò un'altra volta, a cui probabilmente aveva funto da sottopancia per qualche tempo e che lo aveva dipinto come gran lavoratore fedelissimo e dotato di grande autocontrollo, in contrasto con la tipologia media del russo tronfio e bevitore, poco adatto alle nostre necessità, come quelli che di solito si presentavano alla nostra porta di ditta occidentale dispensatrice magica di occasioni. M. si rivelò  subito un personaggio straordinario. Intanto il suo passato era avvolto nel mistero. Aveva certamente fatto parte dell'apparato se pure in qualche posizione di rincalzo, senza mai accedere ai piani alti e di questo trascorso aveva mantenuto lo stile di assoluto riserbo e l'arte di far intendere tante cose senza dirle apertamente, alzando di quando in quando, con sapiente scelta delle pause, il sopracciglio o gli occhi al cielo con lo sguardo appositamente perduto nel vuoto come a volere dire tante cose a lui ben note, ma che era meglio lascare nell'oblio.

Все нормальнo, tutto bene; era la sua risposta tipica per qualunque interrogazione. Si muoveva silenzioso e apparentemente sempre indaffarato a mostrare una continua e di certo produttiva attività di ricerca. Trovava clienti sempre nuovi, di cui, non si sa se convinto dell'utilità o se per abitudine antica, ti riportava subito vita, morte e miracoli prima di passare ad esaminarne le richieste. Pareva, come per abitudine incallita, snocciolare un dossier vero e proprio, come se ogni offerta che dovevamo fare dovesse prima misurare la tipologia del cliente, le sue possibilità e debolezze e soprattutto il suo passato, di cui aveva sempre notizie piuttosto dettagliate. Aggiungeva poi qualche particolare a bassa voce, con fare complice anche se si trattava semplicemente del fatto che il tal presidente era appena reduce da una disintossicazione da eccesso di vodka in qualche sanatory degli Urali. Ogni tanto lo vedevi invece arrivare con la faccia scura e incupita, mentre incavava le rughe sulla fronte per dare maggiore rilevanza al disastro che doveva annunciare. Il tale cliente era stato avvicinato dalla concorrenza e già dal tono, immaginavi scenari di torbide concupiscenze e di modalità che andavano ben oltre alle trattative regolari, con offerte indicibnli ma che non si potevano rifiutare. Nel concorrente vedeva un nemico spietato, nella trattativa una guerra da vincere senza lasciare feriti sul campo. Nei momenti di tranquillità o nei lunghi viaggi in treno attraverso la pianura senza fine della Russia innevata, mostrava una cordialità condiscendente e pronta a mostrare un'attitudine servizievole, che non capivi se innata o sapientemente costruita in decenni di scuola sovietica che si era calato addosso come una incrostazione ormai facente parte indissolubile del suo essere.

Inutile interrogarlo sul suo passato. Lasciava intendere di essere stato qua e là per il mondo, in paesi strani, Angola, Sudest asiatico, per il suo ministero, senza chiarire la precisa attività svolta, forse forniture non meglio precisate e ti lasciava con un sorrisetto ambiguo in modo che tu potessi immaginare una importanza forse millantata o all'opposto inferiore al dovuto. Sempre sotto le righe, con una cautela sapientemente calcolata, forse suggerita dalla lunga militanza nella gerarchia sovietica oppure dal suo essere ebreo in quel mondo così pesantemente razzista. Se ne andava poi dondolandosi nel cappottone liso con una bonomia che non riuscivi mai a interpretare se apparente o reale. Era unico sostegno della sua famiglia che, evidentemente, dipendeva da lui per ogni cosa, suoceri, moglie e figlia, carina e piccola come lui, nota per avere piedi piccolissimi, per la quale tentava disperatamente, ogni volta che veniva in Italia con qualche cliente, di trovare scarpe della misura adatta e che cercava sempre di sponsorizzare senza successo con qualche giovane ingegnere italiano, ogni qual volta se ne presentasse l'occasione, mostrandone una piccola foto consunta. Ma quando arrivavi, nella notte gelida di una Mosca ancora tenebrosa e malamente illuminata dalla tenue luce aranciata dei vecchi lampioni, lo trovavi sempre là ad aspettarti sotto la neve sottile, mentre batteva le suole della scarpacce nere per riscaldarsi, come un'attestato di fedeltà. Subito pronto a caricarsi il valigione dei campioni, subito attento ad informarsi: енрико как ты? и ваша жена? и ваша дочь? Rassicurato sullo stato di salute della mia famiglia al completo, scrolllava il testone contento e mi accompagnava alla macchina seguendomi con sguardo protettivo. Mosca era scura, fredda e puzzolente di carburante di cattiva qualità mal combusto, ma M. aveva occhi buoni.


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domenica 12 luglio 2009

Neve nera.

I primi di novembre del 1991 non erano particolarmente freddi a Mosca e la Moscova non ancora ghiacciata scorreva lenta, quasi oleosa, come invischiata tra i lacciuoli di un sistema morente. Da ogni parte si avvertiva netto il senso del disfacimento, dello sfilacciarsi delle ultime tenute, dell'anarchia che stava per esplodere. La perestroica di Gorbaciov, aveva dato l'ultimo e definitivo colpo a tutte le poche strutture ancora funzionanti ed nel paese c'era netto il senso di sbando totale, in cui nessuno più produceva niente e allo stesso tempo tutti pretendevano quello a cui ritenevano di avere diritto, mentre i più svegli cominciavano a riposizionarsi in attesa del momento giusto. Lunghe code per strada in cui la gente si fermava appena saputo che lì c'era qualcosa da comperare, qualunque cosa fosse, invece di andare a far finta di lavorare. Nel momento in cui tutto stava andando a rotoli, si favoleggiava della disponibilità di mirabolanti tecnologie, militari ovviamente, tenute segrete per anni, che adesso, nel momento della crisi più totale, erano disponibili per chi potesse investire, per chi avesse ambiti dollaroni da spendere, l'unica moneta che facesse aggio. Anche noi pensammo che ci potessero essere opportunità e sfruttando le conoscenze che si avevano del mercato si creò una piccola società di acquisizione e sfruttamento di brevetti scientifici, inserendovi anche un politico che ci evitasse di intraprendere strade non corrette e uno scienziato, che ci spiegasse cosa valesse veramente la pena. Ed eccoci all'occasione; un centro studi voleva cedere un brevetto interessante, si trattava di un sistema di indurimento superficiale degli utensili con un particolare trattamento laser. I furboni, ecco come trasformavano acciai di seconda categoria in materiali di durezza incredibile; un po' la pietra filosofale sovietica. Era buio giallognogno e fumoso come tutti i tardi pomeriggi invernali russi, quando passò a prenderci una grande Volga nera a fari spenti. La guidava un armadio ingiacchettato col muso duro e tesserino KGB stampato sul muso rincagnato. Lo scienziato era seduto davanti armeggiando con un telefono da auto con una cornetta anni trenta in bachelite bianca. Non avevo mai visto fino ad allora un telefono fisso su un auto. Salimmo nel cortile, nascondendoci alla vista dei rari passanti che rientravano in casa con le sportine vuote e la macchina si lanciò a velocità folle nelle strade deserte di una Mosca avvolta nel giallino lattiginoso dei fiochi lampioni. Arrivammo in una delle tante periferie della capitale dirigendoci verso una bassa costruzione che pareva una vecchia stazione di servizio in disuso. Eravamo attesi, perchè un omone avvolto in una gigantesca mimetica aveva già aperto il cancellone sbilenco, dopo aver posato il kalashnikov a terra. Parcheggiammo facendo stridere le gomme e scendemmo in fretta in un clima di sospetto, guardandoci intorno. Entrammo nel basso edificio, sede del centro di ricerche segreto. I primi ambienti sembravano una officina anni 50 col pavimento unto di olio e vecchi torni malandati sparsi a casaccio. Ero ammirato. Con quale astuzia si celavano le ricerche di avanguardia! Nessuno avrebbe potuto sospettare che quella malandata costruzione nascondesse cose di tale importanza, anche se il filo spinato intorno e gli OMON sparsi dovunque indicavano che forse lì non si distribuivano gelati. Comunque pareva di essere in un film; da un momento all'altro un ascensore ci avrebbe portati nelle viscere del centro dove un mondo di fantascienza spio-bondistica ci avrebbe trasportato nel futuro. Invece no. Il centro era proprio quello lì che vedevamo, con le frese mezze rotte e un generatore spompato che faceve tremolare le luci delle lampadine da 25 candele. Lo scienziato ci spiegò che purtroppo da anni, non si poteva avere di più, ma le idee, quelle non hanno bisogno di finanziamenti. Al di là di una tramezza di compensato traballante fummo introdotti nella sala laser, dove troneggiava un baraccone di ferro arrugginito in diversi punti. Consegnammo le punte di trapano di materiale tenero che avevamo portato con noi per testare il trattamento ed un addetto claudicante le inserì negli appositi alloggiamenti, poi tutti ci ritirammo dietro l'apposita paratia. Qui, il tecnico, davanti ad una plancia tentò più volte di avviare la macchina, ma i grossi interruttori marroni, consumati dall'uso non ne volevano sapere. Maledicendo il governo e quanti gli negavano i fondi lo scienziato prese a battere su alcune leve di cui una si ruppe subito, poi il tecnico, utilizzando l'arte di arrangiarsi comune ai due popoli, infilato un grosso cacciavite nell'interruttore renitente riusci a far scattare l'avvio. Il mostro cominciò a ribollire con sordi brontolii di fronte a noi, poi, in un crescendo rossiniano, assai poco tranquillizzante, prese a ronzare sempre più forte fino a che, tra la preoccupazione che ormai si palpava intorno a noi, scaricò con un gran botto tutta la sua potenza e di colpo si tacque. Il bombardamento laser sembrava concluso. Lasciammo quatti il centro con le preziose punte trattate, filando ai cento all' ora nella notte verso l'Hotel Pekin, gelido come una bara. Al test in Italia le punte di trapano trattate si rivelarono molli come banane, così almeno ci relazionò il tecnico che eseguì i test. Al nostro rientro a Mosca, Gorbaciov stava per cadere, lo scienziato disse che forse, il processo andava ancora affinato per poter dare risultati convincenti, ma che aveva utilizzato lo stesso trattamento in Ukraina in un allevamento di maiali, bombardandoli nelle chiappe e pareva che i prosciutti aumentassero del 20% in peso a parità di alimentazione. Un vero business. Lo lasciammo nella Tviershajia che ancora si sbracciava per mostrare la forma delle coscie. Il gelo invernale era ormai sceso implacabile e le strade erano coperte di neve ghiacciata nera come il cielo.

venerdì 17 aprile 2009

Gambitto di re.

Tirato per i capelli da Skakkina, riemerge in me prepotente l'ombra cupa del giocatore di scacchi, certo il gioco più affascinante che l'uomo abbia pensato. Equilibrato e privo di momenti morti, ha una spietatezza che si adatta perfettamente alla torbida mentalità umana. Devi distruggere il tuo avversario senza alcuna pietà, senza dargli tregua, senza un attimo di respiro, basta un minimo vantaggio per prevaricare la sua resistenza fino all'epilogo finale, la sua distruzione fisica e mentale. I pezzi sulla scacchiera sono solo un tramite, una raffigurazione epifanica, è il tuo avversario che deve essere annientato nella realtà. Non si può giocare con la moglie a scacchi, chiaro Ska? Grandi campioni non si sono mai ripresi dopo cocenti sconfitte finendo pazzi o tra i deliri dell'alcool. Mi è sempre piaciuto questo gioco perchè non mente mai, vince sempre e invariabilmente chi è più bravo, senza scuse, senza possibilità di dare la colpa all'arbitro od al tiro di un dado o all'uscita della carta sfortunata. Non c'è quartiere, chi è meno capace viene sterminato. Ed il modo di giocare illustra perfettamente il tipo psicologico che hai davanti; riconosci subito chi è aggressivo, chi ama il rischio, chi preferisce difendersi sempre, attaccando solo quando scorge una piccola falla nelle forze nemiche, chi è timido, chi valuta tutte le possibilità lasciandosi sempre una via di uscita, chi si getta nella mischia senza badare ai pericoli. Non ho avuto la possibilità di misurarmi con molti avversari, quindi non so bene il mio valore scacchistico, ma la Russia era un posto interessante per questo aspetto. Saputo che il buon Zhenjia, giocava a scacchi, approfittavo delle lunghe ore che spesso trascorrevamo in treno traversando i boschi di betulle bianche della Grande Madre. Lui aveva sempre con sè, come tutti i giocatori, una scacchiera portatile, che estraeva con destrezza disponendola sul tavolinetto dello scompartimento coupé. Aduso ad una vita mimetizzata, lui, ebreo, che aveva trascorso una vita sotto un regime duro abituato a colpire chi alzava la testa fuori dal coro, timoroso del potere come non mai e quindi a questo ossequioso al massimo, anche in me, che pure gli ostentavo grande affetto ed amicizia, vedeva comunque il lontano pericolo che giunge dalla posizione gerarchica. Ma gli scacchi sono la verità, non ti puoi nascondere, lì scatta ed esce prorompente la tua vera natura. Avevo scoperto per vie traverse che era molto bravo, un 1° categoria sul limite per diventare Maestro; infatti con una furia ed una rapidità sconvolgente mi stroncava dopo poche mosse approfittando delle mie più piccole distrazioni ed errori. Subito dopo l'apertura, mi trovavo invariabilmente in difficoltà con i pezzi mal disposti e chiusi, mentre lui mi sferrava attacchi micidiali. Quando tentavo qualche maldestro affondo, giungevo subito sfiancato alla meta e con le retrovie scoperte ed rapidamente mi arrivava la stoccata finale. Un sorrisetto trattenuto e poi zac, sheck matt, il re è morto. Ogni tanto però anche lui lasciava il fianco esposto a qualche mio assalto e anche se raramente, ogni tanto riuscivo ad avere la soddisfazione di pareggiare o addirittura vincere. Questo faceva salire di molto la mia autostima, senonchè una volta in cui stavo avendo ragione di lui, grazie ad una sua disattenzione, in una partita bellissima in cui mi aveva circondato quasi completamente, capii tutto. Di tanto in tanto il malefico, sbagliava apposta, timoroso di umiliarmi troppo, per darmi la soddisfazione tronfia del capo che bastona il suo sottopancia. Ero proprio dipiaciuto di vincere anche quella partita così immeritatamente, quando, ad un tratto, mentre stavo per cogliere di malavoglia il frutto rubato, gli salta fuori una bellissima combinazione, di cui naturalmente io non mi ero avveduto ed ecco che il timoroso omino alla costante ricerca di qualcuno da responsabilizzare, sempre in attesa di sentire bussare alla porta il KGB, non seppe resistere e dopo un lungo sospiro, il drago nascosto nelle sue viscere emerse con prepotenza ed in poche mosse annichilì lo schiocco che pensava di avere già in tasca la vittoria. Comprese subito di essersi tradito, ma era stato più forte di lui, gli scacchi non mentono, mettono a nudo la tua psiche senza pietà. Subito si rannicchiò tra le spalle, quasi scusandosi, ma ormai era troppo tardi per nascondersi. Dopo quella volta giocò malvolentieri con me e solo se lo sollecitavo a lungo.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!