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martedì 21 giugno 2011

Il Milione 47: Leocorni e alberi del pane.

Prahos nel porto di Surabaya

Adesso basta con le leghe che me lo hanno affettato abbastanza. Però è difficile levarsele dalla testa certe cose, quindi rimaniamo sulle leghe, ma molte e assai distanti da noi, quelle che Marco Polo ha già percorso con la sua flotta di navi sul viaggio di ritorno nella circumnavigazione dell'Asia. Il passaggio obbligato è l'arcipelago indonesiano di cui ci racconta ricchezze e stranezze con dovizia di particolari.

Cap. 159

Frutti della palma da vino
Quando l'uomo si parte da Ciamba (Vietnam) e va a mezzodie ben 1500 miglia, si viene a una grandissima isola ch'à nome Java e dicono che è la maggiore del mondo. Ed è di molto grande ricchezza: qui à pepe e noci moscade e spigo e galinga e cubebe e garofano e tutte le care spezie. Non ànno grano ma riso . E ànno albori che tagliano li rami , gocciolano e quell'acqua che ne cade è vino e àvvine del bianco e del vermiglio. Qui à una grande maraviglia , che ci àn farina d'albori che sono grossi e ànno la buccia sottile e sono pieni dentro di farina (sago)e di quella si fa mangiar di pasta e buona e io più volte ne mangiai. A questa isola viene grande quantità di navi e mercatantie e fannovi grande guadagno. Lo grande Kane no l'à potuta conquistare per lo pericolo del navigare e della via sì lunga , ma li mercanti ne cavano grande tesoro.

Albero del pane
Certo Giava è un'isola che per noi rappesenta l'esotico per eccellenza a partire del nome. Anche io rimasi impressionato dalla enorme presenza nel porto di Surabaya, di navi di tutti i tipi, che si affollavano caricando e scaricando merci in grosse balle avvolte in stoffe e strette da cordami rozzi e all'apparenza primitivi. Imbarcazioni antiche che ti riportavano alla mente i prahos di Sandokan e i pirati della Malesia, ma rappresentazione di una vita commerciale  frenetica e carica di odori di spezie. Gli stessi che trovavi nei piccoli ristoranti del porto, tra spiedini di pollo annegati in montagne di Nasi goreng, il riso fritto con il dolce dell'uva secca, di certo arrivato con i mercanti arabi, i piatti a base di sago o dell'albero del pane. Non ho mai avuto cuore di provare il vino di palma che tanto entusiasmò Marco anche se con il ayram goreng bumbu (pollo fritto speziato di cui Acquaviva mi ricorda la ricetta) ci sarebbe andato a pennello. Ma il suo racconto è come al solito molto dettagliato sia nel raccontare le attitudini religiose che nel chiarire la falsità delle leggende che giravano nel mondo antico, sempre disvelate quando le cose si vedono di prima mano e con i propri occhi.

Cap. 162

I famosi unicorni
Sappiate che li mercanti sarracini che usano in questo reame con lor navi, ànno convertito questa gente alla legge di Maomet... ma si richiamano al Khane ma no li fanno neun trebuto perché son sì a la lunga ma alcune volte presentano d'alcuna strana cosa. Elli ànno unicorni che non son minori di elefanti; e son di pelo bufali, i piedi come di lefanti; nel mezzo de la fronte un corno grosso e nero; lo capo ànno come di cinghiari e la lingua tutta spinosa. E dicovi che portan la testa inchinata verso terra e sta molto volontieri tra lo fango. Ell'è molto laida bestia e non è come si dice di qua, ch'ella si lasci prendere da la pulcella, ma è il contrario.

Certo sull'unicorno, che si credeva creatura bellissima che solo una vergine pura poteva catturare, circolavano leggende ben lontane dalla realtà cruda con cui Marco descrive alla perfezione questo rinoceronte, mentre certifica la presenza mussulmana che i mercanti arabi vi avevano insediato da almeno un secolo in particolare sulle zone costiere di Giava. Caldo, monsoni, profumi di spezie, palme e lungo la spiaggia gruppi di studentesse velate davanti ad un oceano dalle onde maestose. Un ricordo composito che mi è rimasto di questa terra affascinate e ancora segreta per molti aspetti. Marco l'ha soltanto sfiorata, ma anche lui ne è rimasto conquistato. 

Studentesse di una scuola di Surabaya

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lunedì 21 settembre 2009

Bianco argento.


Io ci casco quasi sempre. Sono attratto con una certa morbosità dal lavoro dell'artigiano, di qualunque tipo esso sia, forse per l'invidia che provo verso chi ha capacità manuali, io che ho "les deux mains gauches", come diceva la mia zia Blanche di Parigi, forse per la bellezza dell'opera che nasce e cresce sotto i tuoi occhi, prende forma, ricopre l'idea di materia, sempre diversa, sempre unica anche nella sua ripetitività. Mi piace fermarmi a guardare il lavoro nelle piccole botteghe, spiare le donne turche che annodano un tappeto, i sarti indiani attaccati alle vecchie Singer che pedalano furiosi, gli intagliatori di legno duro di Ceylon che creano le loro piccole statue serene. Ricordo un tardo pomeriggio, in un piccolo vicolo di Surabaya a Giava, mentre il sole insanguinava il cielo dietro i vulcani lontani (porca miseria se sono melenso oggi!), un negozietto stretto e lungo pieno zeppo di lastrine di argentone sbalzate, con tanti scaffali lungo le pareti colme di bicchieri, scatole di ogni dimensione, quadri, da cui nella penombra emergeva il tuttotondo di figurine di dei, guerrieri, fanciulle a cantare di un'epopea antica, di fasti perduti. Con la scusa di guardare la merce mi attardai a lungo, sedendomi infine su un basso sgabello a tre gambe, proprio davanti al piccolo deschetto in fondo al negozio dove un rugoso vecchio picchiettava con un martelletto una lastrina quadrata. Pareva non vedermi e continuò il suo lavoro lento e costante. Dava piccoli colpi con una serie di chiodi dalle punte diverse e sotto le spinte si gonfiava una testina, un torace possente, le strie sinuose di una lunga chioma, due seni voluttuosi di una fanciulla. A poco a poco la lastrina si completò sotto i miei occhi, più volte voltata e rivoltata per precisare i contorni dello sbalzo. Quando giudicò finito il lavoro, alzò gli occhi con un lieve sorriso, guardò il lavoro con soddisfazione e me lo mostrò. Era una scena con il demone Ravana che rapisce Shita. Si poteva apprezzare, pur nelle piccole dimensioni, il viso spaventato della principessa, i muscoli gonfi del feroce assalitore in un equilibrio complessivo che riempiva completamente il piccolo quadrato lucido. Aveva gli occhi contenti il vecchio. Trattai poco, più per onor di firma che per far calare il prezzo. In fondo compravo un lavoro, un progetto, un opera, non un oggetto.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!