La competitività è sempre stata materia su cui ho avuto pochi dubbi. Mi è sempre apparsa come una delle maledizioni che accompagnano l'uomo in questa valle di lacrime. Se da un lato è certo che rappresenti uno dei motivi di successo della specie che, diventando sempre più aggressiva e feroce, conquista posizioni e a cascata la stessa cosa accade a popoli, paesi e gruppi sociali intesi come insiemi che grazie a questo metodo in cui il più bravo, il più dotato, il più determinato prende il sopravvento sul più debole, diventano dominanti e in un certo modo determinano una crescita di benessere in tutta la collettività, in realtà per il singolo, tutto questo è fonte di totale ed assoluta di infelicità. Si tratta di un motore perverso che genera e alimenta sempre i peggiori istinti, dall'invidia alla cattiveria, unita al desiderio di prevaricare con ogni mezzo per raggiungere un fine quale che esso sia. I deboli, i meno dotati, gli ignoranti, vengono travolti da questo sistema, e mentre da un lato la società si rafforza, dall'altro si lascia alle spalle un cimitero di vittime incolpevole. Inoltre bisogna ragionare sul fatto che questo sistema generatore assoluto di infelicità e di ansia, agisce comunque su tutti gli appartenenti al gruppo. Infatti quello che risulta vincitore nella corsa è sempre uno solo e tutti gli altri, non solo gli ultimi che avrebbero ragione di dolersi, ma addirittura anche chi arriva secondo si roderà ancor di più per il successo che era quasi a portata di mano e che invece si è irrimediabilmente perduto.
Colui che è arrivato primo e che è l'unico a gioire, in effetti sarà lo sconfitto di domani, quando un nuovo e più forte o solo più determinato avversario inevitabilmente lo supererà. La gioia del suo successo e quindi soltanto effimera e destinata a durare lo spazio di un mattino, gettandolo in una depressione ancor peggiore di coloro che aveva orgogliosamente vinto, perché non c'è peggiore sconfitta di quello che abituato alla vittoria, si trova improvvisamente superato da un nuovo entrato più forte o più giovane. Quanti grandissimi campioni hanno terminato la loro vita nella depressione più nera, le loro imprese ormai dimenticate da tutti, con ancora nelle orecchie l'urlo osannante della folla ormai perduto, a cercare pace nel fondo di un bicchiere o nelle tenebre della solitudine. Questa attitudine è decisamente condannata da alcune religioni orientali come il buddhismo o il taoismo che vedono proprio in questo competere la negazione dell'animo umano, ritenendo preferibile una perdita di benessere materiale e fisico a vantaggio di una gioia interiore e una serenità diffusa. Io abbraccio in toto questa visione e penso che non ci possa essere pace nel competere come categoria morale. Poi però dalla linea teorica si passa alla realtà e qui, vi assicuro che di fronte alla minima sfida a pari o dispari, a qualunque tipo di gioco o di gara, nel momento stesso in cui parte l'agone, vengo attratto in lizza morbosamente come un drogato completo, mi getto subito nella lotta e mi trasformo in un serpente disposto a tutto pur di arrivare primo. E' così, non ce la faccio proprio a resistere.
Subito, se il gioco è nuovo per me, cerco di carpirne i meccanismi che lo dominano, di indagare la psicologia dell'avversario, per prevalere senza pietà. La sfida mi inebria, voglio solo vincere, vincere, anzi diciamo la verità, sconfiggere tutti gli avversari. Tutti i giochi mi appassionano, ne ho praticati tanti e sempre in maniera ossessiva e maniacale, mettendoli sempre allo stesso pari, perché evidentemente non era quel gioco a prendermi, ma la voglia di arrivare il più avanti possibile in senso assoluto, di battere il nemico. Che cedimento morale e psicologico! Il trionfo dell'Es, la trasformazione accettata in Mister Hide, il sopravanzare dell'istinto sulla ragione. Così quando è scattata la gara di Webit, subito mi sono appassionato, vi ho chiesto di votarmi (cosa di cui vi ringrazio di cuore, perché lo avete fatto in maniera assolutamente generosa tanto che ho avuto 1000 voti) e ogni giorno ho consultato compulsivamente la mia posizione in classifica, esacerbato dalla delusione di essere stato superato da amici all'ultimo giorno, precipitando dal sesto all'ottavo posto. Bene, ci crederete se vi assicuro che non ho neanche ben capito che tipo di gara fosse e a che cosa servisse, so solo che non potevo vincere nulla. Non ho neanche avuto voglia di andare a leggere motivazioni e regolamenti che forse lo avrebbero spiegato. Niente, solo la cieca furia competitiva. Che vi devo dire, siamo fatti così, condannati all'infelicità. Bisogna meditare per cambiare, per migliorarci. Adesso vi saluto, non ho molto tempo neppure per la meditazione, devo rivedere alcuni sviluppi della apertura spagnola degli scacchi, perché ieri, mio suocero, mi ha battuto malamente e questo non posso proprio sopportarlo e questa sera ho la rivincita.
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3 commenti:
Bisogna dire che né tu né altri vi siete dati un granché da fare a pubblicizzare la cosa, io stessa l'ho saputo solo negli ultimi giorni, per cui ho potuto votarti poche volte!
Vabbè, non credo che tu abbia perso molto, comunque! e, come dici, l'importante è l'emozione della gara.
Devastante la competitività e il desiderio spasmodico di superare tutti gli altri.
E' davvero la condanna moderna dell'homo sapiens.
@Bruna - Tutta adrenalina , è di quello ormai che abbiamo bisogno e senza pillole!
@Ambra - Secondo me non solo moderna, è la maledizione dell'uomo.
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