giovedì 1 febbraio 2018

Usa 36 - Grand Ole Opry


Al Wildhorse Saloon



Il ponte e la ferrovia
Siamo ormai alla fine dell'intermezzo country che ci ha dato tre giorni pieni di musica e di ambientazione come non speravamo neppure lontanamente. Seduti su una panchina davanti al fiume puoi ragionare sul gigantismo americano ed alle sue contraddizioni. Davanti il gigantesco stadio dei Titans e le chiatte che scivolano verso valle; sul ponte che attraversa il fiume passa un treno, conto i primi cento vagoni, poi questo esercizio lo perdo definitivamente; le chiappe colossali ondeggiano lungo i sentieri del parco, davanti ai barboni neri coricati nel prato. Non è facile interpretare questo mondo, anche risolverlo semplicisticamente con le sensazioni, le cose sono sempre più complicate di quanto appaiano a prima vista. Ci rimane però un'ultima sera per approfittare del sound di Nashville e per partecipare alla più famosa attrazione che offre la città, il Grand Ole Opry, uno show che si ripete ininterrottamente ogni sera da ben 90 anni. Si tratta del tipico show all'americana col bravo presentatore che porta alla ribalta gli ospiti della serata, alternando un po' di chiacchiera e addirittura facendo lo spot dello sponsor ad ogni numero, tanto per capirci una assicurazione medica che ti garantisce di non essere lasciato fuori dall'ospedale se hai la carta di credito scarica. 

Mele stregate
Il venerdì ed il sabato lo spettacolo, amatissimo dal pubblico, viene trasmesso in diretta in televisione con grande successo e tutto questo va avanti da quasi  un secolo. Un tempo, il teatro dove si svolge l'Opry, era circondato da un gigantesco parco dei divertimenti, il classico luna parck alla Coney Island, con gli otto volanti, le giostre e le attrazioni varie, poi circa venticinque anni fa il parco chiuse ed oggi ne rimangono nell'immenso giardino che ne è risultato, gli scheletri arrugginiti. Addirittura in città se ne è persa la memoria. Qualcuno, evidentemente gli ultimi arrivati, interpellati sulla cosa, non ne avevano mai sentito parlare. Oggi attorno al teatro c'è un altrettanto colossale mall e altre attrazioni varie, un acquario, un museo delle cere e altre cose che convincano le famigliole a passare da queste parti una intera giornata prima di andare a vedere lo spettacolo. Tutto è organizzato con cura, dalle lunghe code per accedere, già tutti muniti da tempo di biglietti da prenotarsi online, c'è sempre il tutto esaurito, ai negozi di merchandising sul tema in cui puoi trascorrere il tempo dell'attesa. Una signora di una certa età appena sente che ci scambiamo impressioni, individua la nostra provenienza e attacca bottone avendo vissuto parte della sua vita in Italia. Vuole evidentemente dar prova della sua perizia nella nostra lingua e si chiacchiera un po' con un misto di nostalgia e di ammirazione verso un mondo che forse non è così disgraziato come noi spesso lo pensiamo.

L'Acme bar
Insomma la way of life americana, avrà diversi vantaggi, ma anche la nostra non scherza, per lo meno nell'immaginario collettivo internazionale, per lo meno questa è la mia impressione assorbita durante le mie peregrinazioni per il mondo. Poi arriva l'ora e la fumana entra  nel colossale, tanto per cambiare, teatro, oltre 2000 posti a sedere, tanto per dire e tutti si accomodano in mezzo ad una certa confusione. Per la verità, il macello continua anche durante la serata, un sacco di gente si alza ed esce, va a comprare vettovaglie, pop corn, litri di bevande di tutti i colori, altri entrano, chiacchierano come sembra d'uso in tutti i grandi assembramenti da queste parti. Tutto molto sciolto ed informale insomma. Non c'è quella sacralità che ci piace pensare sopravviva nei luoghi di grande spettacolo europeo o almeno sopravviveva. Intanto sul grande palco si alternano gli ospiti che il Pippo Baudo di turno introduce con grandi panegirici, magnificandone la storia ed i successi. E' di certo tutta gente molto conosciuta, vere e proprie star del mondo country che la folla plaude con frequenti standing ovations. Dall'arcinoto Dustin Lynch con le sue vibrazioni cupe e morbide a Chris Young che ha appena vinto il Grammy award e che chiuderà la serata e che rappresenta il nuovo di questo settore anche se a mio parere è un pochino troppo sdolcinato e melenso. 

Incrocio cittadino
Ho preferito sicuramente la McCoury Band, più tradizionale e dalle sonorità classiche o Cassadee Pope dalla voce dolcissima e potente. Non manca il comico intrattenitore, un monologhista di origine coreane, Henry Cho, che fa letteralmente sbellicare il pubblico sulle tematiche, che devono essere molto gettonate in periodo trumpiano, riguardanti l'immigrazione ed il contrasto con la sua situazione di giovane che evidentemente si considera americano a pieno titolo e di suo padre che non riesce ad integrasi nel nuovo mondo, evidentemente dando luogo a contraddizioni che scatenano l'ilarità del pubblico ad ogni frase. Naturalmente io non capisco assolutamente nulla, dato lo slang strettissimo in cui viene raccontata la storia (ma anche se fosse stato largo, penso che la situazione non sarebbe di certo cambiata, purtroppo la mia conoscenza di questo idioma è assolutamente insufficiente, devo essere sincero). Comunque la serata trascorre veloce tra scenografie fastose e fantasmagorie di luci e di colori. Tanta musica piacevole e la soddisfazione di partecipare ad un rito celebrativo, una messa solenne che fa parte di questo mondo e alla quale una tantum vale la pena di partecipare. 

Il palco del Gran Ole Oprey
Poi la folla sfolla, dopo essersi goduta la serata, lentamente ed ordinatamente alla ricerca del taxi o dell'Uber del caso. Siamo fuori città e prima che tutta la gente smaltisca trascorre un certo tempo. Noi dividiamo con una entusiasta coppia del Michigan, che saluta la nostra provenienza con gridolini di meraviglia. Insomma ultima notte a Nashville. Domattina aereo e rientro a Boston, l'ultima tappa. La città in cui dovremo giocoforza tirare le somme di questo viaggio, dare i voti, trinciare giudizi insulsi, insomma quello che si fa alla fine di ogni esperienza di viaggio. Un altro aeroporto intermedio il JFK di New York, un altro porto di mare dove però non riesci ad avere quella sensazione di nuovo ed efficiente proprio dei giganti orientali dove tutto sembra appena uscito dalla busta di plastica dello scatolone appena sballato. Basta poco per dare la sensazione del sorpassato, della confusione di chi è rimasto anche se di poco indietro. C'è poco da fare il nuovo di pacca sembra sempre più efficiente anche se poi la stessa sorte toccherà a lui, alla prossima uscita. Dunque eccoci qua, stiamo per arrivare nella città più fighetta ed intellettuale degli Stati Uniti, vediamo cosa ne possiamo ricavare.


SURVIVAL KIT

Grand Ole Opry - Uno degli show più famosi degli stati uniti, che si svolge in un apposito teatro fuori città, una ventina di km. Calcolate 16 Euro con Uber, almeno il doppio con taxi. Il biglietto si acquista on line nel sito ufficiale dove sono illustrati i programmi di ogni giorno nell'apposito calendario e quindi puoi scegliere il posto e la serata. Prezzi che variano da un minimo di 40 a 99$. Lo spettacolo dura un paio d'ore e vi si esibiscono a rotazione almeno sei cantanti o gruppi, new entry o anche molto famosi. Io non me lo perderei, sia per l'atmosfera molto americana, sia per l'occasione di ascoltare musicisti di un certo spessore. D'altra parte se tutto va avanti da quasi un secolo qualche merito ce l'avrà non vi pare? Guardatevi con attenzione il ricchissimo sito che illustra tutte le opportunità.



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