sabato 16 ottobre 2021

Baleta 1929

Baleta 1929

Non avevo voglia di uscire questa mattina, anche se un bel sole autunnale e l'aria frizzante incitavano all'impresa; tuttavia c'era in città un appuntamento a cui non volevo mancare. Questa mattina infatti si inaugurava un monumento a ricordo dello storico bar alessandrino Baleta, offerto alla cittadinanza dalla famiglia. Sono passati trenta anni da quando Gino ha tirato giù la serranda per l'ultima voltaesembrava impossibile che mai accadesse, in quella porticina del vicolo Dell'Erba, seminascosta e quasi invisibile a quelli che venivano chiamati i "turisti", eppure a neanche dieci metri dal centro della città, quella piazzetta delle Lega, che ne è decisamente cuore e simbolo. Un locale che, come si dice spesso abusando di una frase fatta, ma è la pura verità, ha segnato un'epoca, aperto nel 1929, dal padre di Gino, Carlo, detto appunto Baleta e che ha rappresentato per generazioni di abitanti di questa città un modo di essere e di pensare, quella alessandrinità così ben raccontata tante volte da Eco. Ci abbiamo passato pomeriggi e sere interminabili in quelle sale, a parlare facendo i cosiddetti inutili discorsi da bar. Lo abbiamo detto tante volte, quel locale era una palestra di vita, una scuola reale, un addestramento al mondo; un club dove si veniva accolti con gradualità e senza fretta, per gradi. Da ragazzotto arrivavi in quella specie di ingresso passaggio dove c'erano i flipper, quasi sopportato e solo dopo alla sala biliardi dove fare la gavetta ascoltando i discorsi degli abitué, dove si imparava quella ironia sarcastica, spesso anche crudele che si dice propria di questa città. 

Solo dopo potevi accedere alle sale dove si giocava a carte, a scacchi a majong (credo unico locale del nord Italia) e sedere ai tavoli dove si chiacchierava, appunto le chiacchiere da bar oppure venivano narrate le storie epiche avvenute nel locale, gli scherzi sanguinosi, le prese in giro più crudeli, i fatti più strani avvenuti che ad ogni ripetizione si arricchivano di particolari sempre più esagerati. Nessun obbligo scritto, ma lo sentivi subito se eri fuori posto. I discorsi cambiavano, si facevano meno sciolti e liberi. Un locale, come ha ben ricordato Carlo Gemme dove o non resistevi cinque minuti o rimanevi legato per tutta la vita. Forse oggi qualcuno inorridirebbe dalla totale mancanza di politicamente corretto dei toni di quei tempi, anzi, parole che oggi farebbero inorridire qualunque benpensante venivano usate con leggerezza e senza enfasi, ma prive in effetti della valenza offensiva con cui verrebbero avvertite oggi. Sentire qualche pistolotto odierno su frasi pronunciate a sproposito su generi o discriminazioni varie, verrebbe tacciato da un'alzata di sopracciglio, al più da un: "ma lasla bùi" pronunciato a mezza bocca da Gino mentre asciugava distrattamente un bicchiere dietro al bancone. 

Certo che oggi in mezzo a quella folla, accidenti quanta gente c'era, avevi l'impressione di stare in mezzo ad un raduno di reduci, girando l'occhio attorno per cercare di riconoscere le facce che i decenni hanno cambiato e quelle che invece hanno mantenuto in pieno quei tratti che le contraddistinguevano, gli stessi nasi per esempio. E mentre i discorsi delle autorità cittadine, la giunta comunale al completo ha voluto pronunciare la necessaria sequenza di discorsi celebrativi, si svolgevano a ritmo sindacale, ti pareva di vedere l'occhio sorridente di Gino, nascosto tra la gente, che di certo, anche se commosso al vedere un suo disegno di cinquanta anni fa, diventato opera monumentale, avrebbe buttato lì qualche battuta corrosiva sull'evento, per lo meno al vederlo eretto al posto del originale vespasiano, che faceva utile prova di sé proprio dietro a quell'angolo. Tanta gente, qualche ciglio umido, qualche risatina trattenuta, tanta voglia di ricordare un passato tenuto al caldo nella tenerezza dei ricordi. Un ripescare battute, fatti, scherzi, risate che il tempo ha fatto diventare piccoli acquarelli della memoria. Tanta gente, tanti vecchi come come me, che si guardavano l'un l'altro, in cerca forse della loro gioventù, a ricordare quei tanti ancor più vecchi che ormai più non ci sono, forse ancora impegnati come allora in qualche luogo, assieme a Gino a discutere animatamente di quanto pesasse un'aquila, il dilemma irrisolvibile che rimarrà tale fino al giudizio universale.


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