venerdì 8 ottobre 2021

Castagne d'India

foto dal web

Complice il tempo mi sono incarognito nel mio bozzolo, scivolando in una pigrizia preletargica. Lo avrete notato. Scarsa attività, soprattutto intellettiva che era già scarsissima precedentemente e, noto con un certo spavento, sempre di più. Certo, al momento della fine delle vacanze, la cosiddetta rentrée, come dicono i nostri cugini di oltralpe (ma avete visto come giocano al pallone? Saremo pure i campioni d'Europa, ma accidenti, che piacere guardare certe partite), impone di risolvere tutta una serie di compitini sgraditi ed oltremodo fastidiosi. Sicuramente è una palla mostruosa uscire, già svogliatamente perché devi risolvere una decina di commissioni e rientrare alla fine della mattinata, avendone concluse più o meno la metà e avendo fallito le rimanenti. Nei restanti casi ti sei scontrato o con la macchina burocratica o con gli orari o peggio con la dura constatazione che alcune cose non sono risolubili, almeno come le avevi pensate. Quindi il giorno dopo ricominci, altre delusioni, altri giri a vuoto, ma credo che in fondo questa sia la vita ed il suo sale e che si debba accettare così. Ecco perché in una spettacolare giornata di sole, l'aria frizzante e l'assenza completa di nubi che offuscassero i pensieri, ieri sono andato a rifare un salto sulle mie montagne, tanto per controllare l'andamento dei lavori che dovevano essere finiti verso la seconda metà di luglio. Campa cavallo. Ma non serve farsi il sangue amaro, meglio godere di quel pizzicorino sulla pelle che procurano i raggi solari, anche quando la temperatura è attorno ai dieci gradi e stare al sole, per un metereopata come me, è un misto tra il fastidio e il piacere, chissà se una sensazione simile a quella provocata ai seguaci del barone von Sacher-Masoch, che nello stesso nome ripropone questa dicotomia sincretica tra la dolcezza e l'amaritudine. 

Seduto quindi davanti ad una stupenda distesa di boschi che alternavano il verde cupo dei pini, ai gialli ed ai primi rossi vivaci di un foliage che si appresta ad avvolgere la mia valle, ho trovato a terra una minuscola castagna d'India, appena liberatasi dal riccio verde, che spiccava tra il selciato di pietre sconnesse attraversate da un rivolo d'acqua. La buccia marrone era ancora lucidissima, umida, non ancora appannata dall'esposizione all'atmosfera. La piccola tacca chiara superiore faceva l'occhiolino, come per attirare l'attenzione, come a dire, scegli me tra le tante compagne sparse a terra. Un grande ippocastano, padre evidentemente disinteressato all'avvenire delle sue tante figliole disperse qua e là, faceva stormire le sue fronde, lasciando una scia di foglie secche, anche loro inconsapevoli di avere terminato la loro funzione, polmoni avvizziti destinati alla inevitabile marcescenza. Mi è tornato subito alla mente il mio papà, quando mi portava, bambino piccolo, a passeggiare nei bei giardini della stazione. Si girolava sotto gli alberi, fermandosi un poco ad ammirare l'orologio di vasi di fiori o il busto di Andrea Vochieri, che la maestra ci aveva segnalato, una volta si faceva memoria di queste cose, poi, quando trovava a terra una castagna d'India, ma piccola, la più piccola possibile, lucida e fresca, appena caduta, la raccoglieva e dopo averla coccolata un po' se la metteva in tasca. Diceva che lo avrebbe protetto dal raffreddore per tutto l'inverno. Che idee strane, un tempo. Eppure, me lo ricordo benissimo, a mio papà non veniva mai il raffreddore o l'influenza. L'ho raccolta anch'io, la mia castagna e l'ho riposta nella tasca più segreta della mia giacchetta. Chissà, d'altra parte sempre di un coronavirus si tratta e, vaccino a parte, le precauzioni non sono mai troppe.


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