martedì 20 ottobre 2009

Due ruote.

Che giornata bigia. Magari tra un po' piove, così tarpa definitivamente le velleità degli sportivi, siano essi runner (ormai in partenza per la grande mela) che ciclisti (vista la fine delle grandi classiche). Che si appendano le biciclette al piolo in cantina. Beh mica tutti lo fanno. Certo Angelo non lo faceva. Chi è della mia città e frequentava il cenacolo (nel senso che era frequentato da un certo Ceni) del Bar Baleta, non può dimenticarselo certo. Da anni, aiutava, se pur già anziano pensionato, il buon Gino nei vari servizi del bar, curando con occhio benevolo le schiere di giovani sfaticati e gli studenti poco diligenti che, marinando le lezioni (che vocabolo di sapore antico!), passavano le mattinate ai biliardi. Ma Angelo aveva una passione smisurata e gli occhi, un po' tristi quando serviva le gazzose, si accendevano improvvisamente di viva luce, quando qualcuno gli allungava una battuta sulle biciclette e il ciclismo. Aveva corso forse un paio di stagioni tra i professionisti in gioventù e la bici e le gare gli erano rimaste nel sangue e in fondo al cuore aveva un grande sogno, forse simile a quello che tutti coltivano quando si appassionano ad uno sport: diventare campione del mondo. Certo detta così suona un po' velleitario e pietistico, ma quell'idea che stava in cima ai suoi pensieri non era poi così folle. Benchè ormai ultrasessantenne, partecipava infatti ogni anno ai campionati del mondo di ciclismo per amatori che si svolgevano in Austria e che erano divisi per categorie di cinque anni in cinque anni. Questa gara mondiale era un appuntamento autunnale a cui dedicava tutto il suo tempo libero nel corso dell'anno. Allenamenti scientifici alle sei di mattino sulle colline intorno a Novi che a suo dire avevano caratteristiche del tutto simili al circuito salisburghese, ore di fatica e sudore per preparare il fisico alla prova annuale. Aveva un grande nemico, un belga fortissimo, di un anno più giovane, che era stato un buon professionista e che tutte le volte lo fregava in volata. Quando lo sollecitavamo sull'argomento, storceva la bocca con un sorriso amaro e diceva: " Sì, sì va forte, ma io lo so che roba prende prima della corsa" e se ne andava borbottando col vassoio dei bicchieri vuoti, meditando contromisure e bombe miracolose per la successiva stagione. Si sa, il doping è sempre stato parte integrante del ciclismo di tutti i tempi ed un aiutino viene giustificato con connivenza negli ambienti delle due ruote e la sua bomba era il Vov di cui faceva grande uso prima di ogni allenamento perchè gli dava a suo dire grande energia. Quell'anno però era diverso. Aveva, credo appena superato i settantacinque e ci raccontò che sarebbe passato nello scaglione di età successiva, lasciando l'arcinemico nella categoria 70-74. Quell'anno ce l'avrebbe fatta sicuramente a diventare campione del mondo. Era il più forte e cominciò già in inverno una preparazione forsennata in un crescendo continuo fino all'estate. Ma il destino aveva mescolato diversamente il mazzo di carte anche quella volta. La discesa che affrontava senza paura, era sempre stata la sua grande forza. Ma un camion o forse da solo, spinto dalla sua sola voglia di vincere, fermò il suo sogno e il suo sorriso amaro lungo le strade amiche della sua fatica, quando al termine di una di quelle velocissime discese, lo trovarono, dopo l'ultima curva, in fondo ad una scarpata. Chissà se qualcuno conserva ancora una foto di Angelo da mandarmi.



Ecco qua, la foto è arrivata, Grazie Gino, anche il nostro Forrest Gump aveva i suoi momenti di gloria.

4 commenti:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Che commovente ricordo! Grazie per le emozioni che hai tramesso.

giovanna ha detto...

Mi associo a Pop,
commuovente post.
ciao Enrico,
g

Unknown ha detto...

Storia tristissima. Ti preferisco più allegro...

Diego ha detto...

diceva sempre, mentre ti passava vicino : "tanti saluti da Angelo".

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