La coda si è formata, disordinatamente come al solito, anche se tutti sanno che alla fine ormai, ci faranno salire tutti, già che siamo qui. Comunque o ho l'occhio già deformato dalla stanchezza della notte bianca (ma abbiamo ancora l'età per fare 'ste cose?) oppure i tempi cambiano. Tra teste elaborate come è consueto nei costumi africani, treccioline e altre fogge fantasiose e barocche e abbigliamenti fluidi, mi sembra che la percentuale di trans sia insolitamente alta, ma forse sono io che mi confondo, però piedi e pomi d'Adamo di quelle dimensioni di solito non mentono. Qualcuno tenta chissà perché di prendere la fila A con il biglietto che indica chiaramente C e viene respinto ingloriosamente con perdite, anche se avanza proteste e recriminazioni, sentendosi defraudato di un diritto fondamentale nell'uomo (e nella donna), quello di saltare la coda, senza rendersi conto che questa distinzione viene effettuata per facilitare la salita sull'aeromobile, ma tanto alla fine per questi voli che vanno in cxxo ai lupi, come si dice in francese, l'aereo è posizionato su una piazzola secondaria in un angolo perso dell'aeroporto ad un paio di chilometri dal gate e il bus che ti ci porta, vomita poi tutti davanti alla scaletta e il problema dell'ingorgo si ripresenta inevitabile. Va beh alla fine siamo tutti seduti, noi nel penultimo range di sedili, così sono vicino al bagno e tanto l'ultimo rimane vuoto e mi sistemo meglio. Alla fin fine son sempre quasi sette ore di volo e tanto di dormicchiare non se ne parla, io non riesco, Che invidia quelli che appoggiano la testa su una pietra e già ronfano della quarta, eh Pierangelo! Alla fine devo ingurgitare anche quelle porcherie che chiamano pasto e che di norma sono le prime responsabili delle varie maledizioni di Montezuma che colpiscono l'intestino del viaggiatore, non appena arriva in vacanza e della quale incolpa inevitabilmente gli innocentissimi cibi locali.
Comunque il tempo passa, così come la infinita distesa di deserto che sorvoli con un balzo. Che bello sembra una scena di Star wars su Tataouine e poi finalmente l'Oceano, quell'altra infinita distesa, blu questa volta, quella che ha visto caravelle portoghesi che si avventuravano nel nulla sconosciuto in cerca famelica di nuove terre. Le nubi cominciano ad occupare parte di cielo ed ecco un fenomeno che non mi è mai capitato di vedere, un arcobaleno circolare che le sovrasta. Sarà un buon auspicio? Lo spero proprio anche perché ecco subito dopo comparire la macchia verde dell'isola agognata che mi aspetta. si avvicina ogni minuto di più, come l'ombra della sera che arriva allo stesso tempo e qui all'equatore, precipita di colpo trasformando il giorno in notte fonda nell'arco di pochi minuti. La pista sembra più corta del normale, d'altra parte su un'isola così piccina, ogni metro di terra sottratta per ricoprirla di asfalto è un'insulto alla natura, che poi farà di tutto per riprendersela, ma tant'è il colpo del carrello che tocca la striscia ed il rombo dei motori che frenano l'impeto dell'uccello di acciaio che vorrebbe riprendere il volo, segnala che è finita. Siamo arrivati, finalmente si scende a mettere piede sul suolo d'Africa. Materialmente, perché qui siamo in un piccolo aeroporto e la stazione, un minuscolo edificio ampliato da tensiostrutture posticce, si raggiunge a piedi. Qui arrivano certamente meno di dieci aerei al giorno, quindi il movimento è più o meno quello della stazione di Valenza Po nei giorni di mercato. Vediamo un po' come sarà questo confine, pieno di facce scure e severe. Intanto ecco qua che la prima cosa che conta sono le misure antiCovid, alla faccia delle approssimazioni del terzo mondo. Veniamo accolti infatti da personaggi bardati di tutto punto che esaminano i documenti davanti a cartelloni eloquenti sull'importanza delle vaccinazioni e di tutte le misure di cautela, mascherine, distanza e lavaggio mani e misure igieniche varie.
Io, memore della discussione a Malpensa esibisco il green pass della terza, fatto a dicembre, che viene tuttavia traguardato sbadatamente, e misurata la febbre, fatto passare senza ulteriori tentennamenti, a mia moglie, non viene neppure controllato il documento, del bianco evidentemente ci si fida, se dice che ce l'ha ce l'avrà di sicuro e vai allora al controllo passaporti dove di visto neppure si fa cenno, un timbro nuovo sulla prima pagina benvenuto a São Tomé e via a ritirare il bagaglio, che come per miracolo, si materializza sulla malandata cinghia girevole. Il controllo doganale è virtuale, il gigantesco poliziotto e una bardata oversize, se ne stanno accoccolati di lato su trespoli claudicanti, senza intervenire, mentre i passeggeri sfilano verso l'uscita. Eccoci fuori. Questa è davvero terra africana, mentre quella dell'aerostazione, per periferica che sia, ha sempre un ché di internazionale che la fa sembrare parte di quel mondo esterno, inconoscibile e indifferenziato che lo rende simile ad ogni altra parte del mondo. Fuori invece, il marciapiede sconnesso, la pensilina approssimativa, la recinzione mezza sfondata e la piccola folla in attesa al varco di uscita in attesa di parenti e possibili clienti, ti fanno sentire davvero in un mondo diverso. E poi c'è quel soffio di aria calda e umida, quel sentore di profumi (e odori per carità) inusuali ed esotici, quella malia di altro mondo, di utero primigenio, di terra delle origini. Un brodo di coltura dove la vita pullula e si moltiplica disordinatamente, ma con un vigore sconosciuto da altre parti, quelle dove il freddo mortifica tutto e la vita tende ad ibernarla, a rallentarne i battiti. Dove qualunque cosa, che apparentemente la vita dovrebbe devastare e cancellare, guerre, malattie, carestie e miseria, al contrario la moltiplica con una vigoria impensabile ed inarrestabile. Siamo in terra d'Africa, anche se si tratta di un'isoletta sperduta nell'Atlantico, incontrata per sbaglio da navi in cerca di avventura e di razzia, ma questo continente ha dovunque lo stesso marchio e lo stesso imprinting. Giro attorno lo sguardo, ormai sono passate le 18, tra una cosa e l'altra ed è già buio pesto, ma il tizio con in mano il cartello Enrico scritto approssimativamente lo vedo subito e mi avvio in quella direzione. Il turista ha sempre qualcuno che lo aspetta dall'altra parte della cancellata, ci ha pensato prima, il viaggiatore no, è sempre solo davanti al suo cammino.
Arcobaleno anulare |
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