mercoledì 20 gennaio 2016

Gujarat 11: Okha - Il barcone dei dannati

In attesa dio completare l'imbarco


L'imbarco
Dwarka vuol dire "la fine della terra" e questo luogo, inclusa la stretta striscia di terreno che termina dopo una trentina di chilometri nel golfo di Kachch, pur essendo uno dei quattro luoghi più sacri della cosmogonia hindu, è da considerarsi una zona estremamente remota. Difficilmente incrocerete qualche altro viso pallido come voi e sarete quindi perennemente oggetto di curiosità divertente e talvolta addirittura ossessiva. Tuttavia rimane per la popolazione locale un luogo di pellegrinaggio davvero importante e per questo motivo perennemente affollato. Le zone circostanti sono oltremodo desolate, tra saline a perdita d'occhio e file disordinate di pale eoliche che ruotano lente come colossali girandole di bambini troppo grandi e voracemente affamati di energia. Vedi solo pastori vestiti di larghe camiciole bianche con rossi turbanti che conducono le loro greggi tra le spianate arse dal sale. Eppure questa terra è abitata da millenni e qua e là sono state ritrovare evidenze di antiche città portuali della civiltà di Harappa di 4/6000 anni fa. Non stupisce quindi se questo è il regno di lord Krishna, la cui presenza sulla terra si fa appunto risalire a quel periodo. Nella desolazione per arrivare all'ultima propaggine di Okha, un porticciolo di pescatori isolato dal mondo, devi però attraversare una Tata city, agglomerato mostruoso di una delle più grandi raffinerie del mondo, un bubbone oscuro che spunta tra le terre bianche, spurgando di continuo il suo pus infetto da ogni costruzione, ciminiera o deposito. 

Il venditore di thé
Traversi l'agglomerato di baracche che sorge intorno come una crosta crepata di una ferita in continua suppurazione, perennemente nera e unta, circondata da scoli di acqua lurida, con una massa di umanità dolente che comunque qui ci è arrivata apposta per cercare di vivere e ti rendi conto della formidabile capacità di adattamento dell'uomo, che alla fine cresce e si moltiplica anche in luoghi come questo. Non sarà così facile farla estinguere questa specie. E' terribilmente forte ed adattabile, peggio di topi e scarafaggi, si adatta alle condizioni peggiori e più queste appaiono feroci e dannose alla sua vita, più questa si moltiplica con implacabile pervicacia. Vedi decine, centinaia di ragazzini che si crogiolano in un ambiente in cui tu gireresti solo con una pezzuola sul viso e con la sicurezza di andartene al più presto; dove ipotizzi un tasso di mortalità assolutamente abnorme rispetto ai tuoi standard, eppure qui la popolazione vive e cresce come una massa di pasta rimpinzata di lievito, gonfia di continuo fino a scoppiare, con una vitalità capace di sopportare qualunque veleno. Bene, si tratta dunque di superare il più in fretta possibile questo ingorgo di camion e di mezzi di ogni tipo  che circondano l'agglomerato urbano e scorrere gli ultimi chilometri con il mare, una piatta distesa che il caldo rende uniforme ed anonima, che ti circonda dalle due parti.


Uno degli scafisti
Le spiagge intorno al porticciolo sono ricoperte di pesce disteso su graticci che si accartoccia al sole, ma le barche, che della pesca fanno ragione di esistenza non sono molte, ma decisamente malandate, alcune addirittura ridotte a scheletri spiaggiati sulla larga porzione di sabbia lasciata scoperta dal ritirasi della marea. Per vedere la vita ed il turbinare della folla bisogna superare questa zona ed arrivare ad uno spazio aperto dove migliaia di mezzi di ogni tipo si ammucchiano fin di prima mattina, dopo essersi svuotati dei loro trasportati. Di qui in avanti una sbarra blocca l'accesso alle ruote; da qui comincia il pellegrinaggio a piedi che come si addice alle religioni tutte, deve essere condito di sofferente penitenza. Una larga strada sterrata lunga all'incirca un chilometro è completamente presa d'assalto da una folla variopinta e determinata, che, data l'ora presta, si muove solo nella direzione del molo terminale. Tutto il cammino è fiancheggiato dalla solita processione stanziale di fornitori di generi di conforto spirituali e materiali. Una sfilata di friggitorie e distributori di bevande varie, dalle più comode casse di bottiglie di plastica che poi finiscono invariabilmente abbandonate ai lati della strada, a contenitori di alluminio ripieni di bianco e rinfrescante lassi, la rinfrescante miscela di yogurt e acqua, che il sole riscalda a poco a poco, un vero e proprio brodo di coltura con cui sedare l'arsura che la temperatura già torrida al mattino presto provoca nelle gole ormai foderate di polvere gialla. 

Mendicante
Accanto ai venditori di fiori, di arathy, le lampade di terracotta da offrire al tempio, di ghirlande e di  tutte le altre simbologie religiose, ci sono anche grandi tendoni, dove a tempo debito viene distribuito cibo gratuitamente ai bisognosi che si mettono ordinatamente in fila. Il molo è lunghissimo e si perde nelle acque basse del golfo. La sagoma dell'isoletta di Bet, lontana tre chilometri si scorge appena tremolare sull'acqua. In mezzo vedi spuntare la sagoma della shikhara del tempio dedicato a Krishna, meta finale per tutta l'enorme massa umana che si assiepa disordinatamente sul lungo molo. Al termine di questo, dove riesci ad accedere fortunatamente solo attraverso un percorso a senso unico pedonale, arrivi, portato dalla folla, ad una serie di scale di cemento che conducono ad uno delle decine di barconi che stazionano attorno in attesa di caricare il loro gruppo di dannati. Su ognuno di questi, due o tre trafficanti di carne umana fanno salire sulla tolda la gente attraverso una assicella pencolante. Quando tutto sembra pieno, cassero e tettuccio dell'unica cabinetta di guida compresi e, appena contenuti da basse murate di legni cigolanti, saremo un centinaio, tutti chiedono a gran voce che si parta finalmente, ma gli scafisti implacabili continuano a far salire gente che oramai si lancia dai gradini di cemento per saltare sul barcone che per il peso ha ormai la linea di galleggiamento di molto discesa.



L'imbarco
Ormai siamo un cumulo di gente assiepata in piedi ad occupare completamente ogni spazio libero disponibile ma, gli implacabili Caronti fanno salire ancora qualche ultimo disperato e poi finalmente il legno col suo carico tremebondo si stacca dalla riva manovrando con fatica per evitare altre barcacce che tentano di prenderne il posto. Saremo quasi duecento a bordo, abbarbicati ai bordi delle murate o appesi alla meglio ai bastoni che traversano la tolda da poppa a prua, per non cadere ed essere calpestati dagli altri, pressati come aringhe secche e più o meno con lo stesso odore, dato il sole che picchia implacabile sulle zucche imperlando di sudore fronti e ascelle. Le famiglie cercano di sorreggere i più piccoli fuori dalla massa perché possano almeno respirare, tuttavia sulla barca dei dannati, si respira un senso di gioiosa partecipazione, di scampagnata unita alla soddisfazione di un adempimento religioso necessario. Appena lasciato il molo gli scafisti ondeggiando sui bordi tenendosi a cime sparse qua e là passano a riscuotere il soldo della traversata. Intanto altri battelli stracarichi di umanità ci incrociano, ci sorpassano o vengono superati. Lo stretto che ci separa dall'isola è tutto un andirivieni di natanti, un'attività  di certo assai più lucrosa della pesca.

Passeggeri
Per fortuna la traversata dura soltanto una mezz'oretta ed invece di essere abbandonati in mezzo alle onde in attesa di qualche nave di passaggio a cui chiedere soccorso, si arriva direttamente al piccolo molo dell'isola, dove lo sbarco sembra quello del raggiungimento della terra promessa. Una breve corsa in tuktuk per raggiungere il tempio, dove assistere alle consuete manifestazioni di devozione convinta e poi bisogna intraprendere il cammino all'opposto, in tutto e per tutto uguale all'andata, tuttavia sereni per avere adempiuto ad un dovere, oltre ad essere ricoperti da adeguate benedizioni. La fila dei mendicanti sulla via del ritorno ricorda a tutti che la vita è difficile e che l'elemosina dà meriti soprattutto al donatore; diciamo un completamento di un pellegrinaggio fatto come si deve. A mio parere bisogna fare queste esperienze, non tanto per vedere luoghi che di per sé non presentano esagerati meriti artistici, ma soprattutto per asorbire e cercare di comprendere momenti di vita così comuni per milioni di persone e che diversamente puoi solo ipotizzare. Devi respirarla la folla, il caldo, l'odore. Devi guardare in faccia la bambina che ride, la ragazza che si tiene alla barca col il braccio dipinto di henné, l'anziano che sale a fatica sorretto dal figlio, le matrone abbondanti avvolte in sari di seta rossa dorata. Devi farti sorridere dalla famigliola di Mumbai che apprezza che tu sia lì in mezzo a loro e cerca di farti spazio, dove spazio non ce n'è più. Devi assorbirla nel sangue questa India di sensazioni forti, se vuoi amarla davvero.

Il barcone dei dannati

SURVIVAL KIT

Al tempio di Bet
Pellegrinaggio di Okha - Questo è un classico del Gujarat, interessante soprattutto per le condizioni in cui avviene. Da Dwarka in 30 Km, con bus o taxi arrivate a Okha in un'oretta. Cercate di arrivare il più presto possibile, Non eviterete la folla, ma almeno farà un po' più fresco. Difficilmente incontrerete turisti occidentali. Dal parcheggio seguite la folla fino al molo. I barconi partono appena sono pieni, uno ogni cinque minuti circa. Vi verranno chieste 20R per il passaggio che dura 35 minuti circa. Sull'isola potete fermarvi quanto volete, anche andare a piedi al tempio o bighellonare sulle spiagge circostanti. Il tuktuk costa 50 R. All'interno del tempio come al solito niente foto. Calcolate per tutto il giro non meno di una mattinata. Poi potrete ritornare a Dwarka o proseguire per Jamnagar (180 km , circa 3 ore.)

Ristoro


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