La scorsa settimana se ne andata anche l'ultima (credo) dei professori storici che ho avuto nel mio Liceo Classico. Insegnava matematica, la Professoressa Morato, e non è mai stata molto amata dagli studenti. La sua stessa figura altissima e la sua rigidità anche fisica le conferivano l'immagine di grande severità ed inflessibilità. Non si parlava molto durante le sue lezioni per non essere fulminati dalle sue occhiate algide che promettevano sfracelli nell'interrogazione successiva. Aveva, primo esempio nella mia memoria, istituito il moderno e costituzionale metodo delle giustificazioni programmate, due per trimestre e senza motivazione specifica, includente quindi anche quella che ieri non avevo voglia di studiare e ho cazzeggiato tutto il giorno, terminate le quali, non c'erano santi, nonne morte, madri all'ospedale che tenessero, si veniva interrogati senza pietà. Le annotava con calligrafia minuta su un quadernetto dalla copertina gialla all'inizio di ogni lezione. Alzava la testa, sempre perfettamente curata sopra il lunghissimo collo modiglianesco, e, sirena imperturbabile, lanciava l'irresistibile richiamo: "Chi si giustifica?". Nelle prime lezioni del trimestre avveniva allora una specie di reazione a catena, mentre si alzavano le prime mani, il panico cominciava a serpeggiare tra gli alti banchi di legno scuro intagliati dai graffiti di generazioni, in quanto, diminuendo la base interrogabile, aumentavano proporzionalmente le possibilità di essere pescato (è matematico, appunto). Così l'insicurezza spingeva altre mani ad alzarsi fino a coinvolgere quasi tutta la classe. Rimanevano invariabilmente due o tre interrogabili, i sempre preparati, Marghe, Gianmaria e pochi altri. Presa debitamente nota, chiudeva il quadernetto e annunciava con una piccola vena di sadismo: "Oggi allora non interroghiamo e andiamo avanti col programma." Invariabilmente nelle prime lezioni se ne andavano tutte le giustifiche e eravamo quindi pronti per la macelleria. Il suo grande senso di giustizia le faceva utilizzare, nella scelta degli interrogandi, l'uso della sorte. Apriva infatti a caso la pagina di un libro, sommando le cifre fino ad ottenere un numero corrispondente ad un candidato. Il sistema penalizzava fortemente quelli che come me avevano, data l'iniziale del cognome, un numero basso, che venivamo dunque interrogati più volte di altri. Quindi sempre pronto al cimento, anche se eri stato interrogato il giorno prima. Era stato tentato un correttivo ed il capoclasse fu incaricato di preparare un sacchettino contenente tutti i numeri dei discenti, ma dopo che scoppiò lo scandalo (il capoclasse infatti, non aveva artatamente inserito il suo numero, qualcuno si ricorda se ci fu una punizione oltre all'esposizione al pubblico ludibrio?), si ritornò all'ingiusto metodo tradizionale. Però la matematica l'ho imparata e me l'ha fatta anche piacere evidentemente, se, nonostante il classico ho scelto una facoltà scientifica come molti altri miei compagni. Credo anche che avesse una certa simpatia per me, diversamente avrebbe preso dei provvedimenti in linea con i tempi, quando la cinghia di gomma avvolgilibri, che avevo teso, legandola attorno al banco per trarne vibrazioni sonore come la corda di una cetra, si spezzò e preso il volo, andò a colpire la parete dietro la sua testa schivandola di poco. Roba da mettere subito su Youtube, ma non fecero a tempo a filmare col telefonino, magari solo perchè non immaginavamo ancora che potesse esistere. Forse mi assegnò solo un piccolo penso, tipo un centinaio di esercizi per la lezione successiva, tutta roba utile alla causa. L'ho rivista qualche anno fa, accompagnata, che camminava a fatica; non credo mi avesse riconosciuto, ma, quando le strinsi la mano, nei suoi occhi era brillata subito la luce di soddisfazione di tutti i professori quando vengono avvicinati da ex allievi. Siamo il prodotto della loro fatica, nel bene e nel male. A Roma, la scorsa settimana, come nei raduni di reduci, abbiamo parlato anche di lei, con con una melanconia che veniva da lontano, proprio mentre se ne andava.
giovedì 21 maggio 2009
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5 commenti:
Il fattaccio del numero 28 mancante nel sacchettino delle estrazioni è accaduto con la Prof Falcone per la famosa interrogazione di storia (lunghissima poesia araba) l'ultimo giorni di scuola della 1°liceo.
La Morato non si sarebbe fatta fregare neanche dall'integerrimo capo classe.
Firmato:Un testimone al corrente dei fatti
Acc. è assolutamete vero. Come potete notare, quel tedesco che fa perdere la testa, mi fa confondere i ricordi. Fu la perfida Falcone che mi aveva in uggia, da noi spronata ad istituire in concorrenza con la Morato, non usa a cedere sui principi, ad istituire per poco tempo il sacchettino.
mi spiace, ma evidentemente io ho conosciuto un'altra Morato al Plana, diversi anni dopo di te...Nessuna mitizzazione del personaggio,anche se da allora molta e molta acqua (nonchè alluvioni..) è passata sotto i ponti alessandrini, solo ricordi negativi, di ingiustizie perpetrate ai danni dei più deboli, e senza neanche il conforto di una grande preparazione da parte sua: io la matematica la capivo se me la spiegavano altri, di fisica non voglio neanche parlare, quella mi era proprio ostica, ma lo era anche alla Morato secondo me....Più di una volta era successo che sfogliasse più pagine assieme del libro di fisica, e che continuasse imperterrita a leggere, LEGGERE,non spiegare con parole sue e con esempi, la lezioncina...
No, andrò anche all'inferno, ma la notizia della sua morte mi ha lasciata molto fredda...!
C'è da dire che comunque lei prediligeva il genere maschile (possibilmente col grano) nel discente...e che quindi la sottoscritta, comunque, non avrebbe avuto chances con lei!!
Non ho conosciuto la prof. Morato però sono andato per parecchi anni a scuola con molti insegnanti sui quali noi alunni ci trovavamo ad esprimere giudizi diametralmente opposti. Quindi nessuna meraviglia se Enrico e Mariuccia non hanno provato gli stessi sentimenti.GLM
Gian mi incarica di postare questo:
Caro Enrico,
sono molto rallentato e impegnato in questo periodo, il che ha impedito che potessi manifestarti tutto il mio - anzi il nostro (siamo ancora coppia fissa) - ciclopico apprezzamento per le belle parole che hai scritto sulla Morato (un epitaffio d'autore) e sull'impresa garibaldina di Roma o morte (un Pulitzer di storia, arte e cucina) !!Sei sempre formidabile. E sai rendere alla perfezione le sensazioni e i sentimenti che sentiamo - presenti o assenti che siamo. Presenti e assenti proprio come a scuola, che quando siamo malati o giustificati per un "motivo familiare", ci telefoniamo per i compiti e per sapere cosa è successo di nuovo.Ho usato il presente (siamo malati, telefoniamo) perchè mi sento ancora un liceale - e anche per Margherita è così. E credo che sia così anche per tutti noi degli anni dell'immediato dopoguerra (uè, qualcuno è stato concepito mentre c'erano ancora i bombardamenti ...)..Infatti, quegli anni erano vissuti con una intensità particolare..Ieri sono stato a vedere mio nipote, calciatore in erba (del '99 - ma non un "ragazzo del 99" nel senso dei reduci della grande guerra - ma piuttosto uno degli ultimissimi nati del secondo millennio ... pensa che rarità, da esporre in qualche mostra, o meglio, da soprannominare tra ottant'anni un "ragazzo del 999") … che parentesi lunga.Ricominciamo: ieri sono andato allo stadio "Cattaneo", vicino al cimitero, perchè c'erano le finali di un torneo di calcio. Nella primavera del ’63, esattamente 46 anni fa, noi ragazzi del ’46 (il 46 è un numero magico), cioè noi ragazzi della 1a Liceo giocammo una partita di calcio contro la squadra del “Clan di Celentano”, un gruppo di ragazzi e ragazze che si trovavano in una cantina di Via Isonzo, tappezzata di manifesti di Adriano e del suo Clan, per ascoltare le sue canzoni con i mitici mangiadischi degli anni 60. Io ero il capitano della “1a Liceo” , Gianni Caniggia del “Clan” (entrambi sposeremo più tardi due delle ragazze del Clan). Mi sembra che il risultato finale fosse un pareggio. Io avevo la maglia numero 6 (un treno di maglie azzurre imprestatoci dalla squadra dei Frati, l’Arsenal, di Via San Francesco), giocavo in difesa, ma segnai un gol e ho un nitidissimo ricordo: fu l’unico gol della mia carriera e tutti i miei compagni mi corsero incontro e mi abbracciarono – proprio come nel calcio vero!Ma quello che voglio evidenziare è che quel campo di calcio, il”campo del cimitero”, allora, era aperto, in mezzo alla campagna, con due porte senza reti e con delle linee bianche semicancellate. Ma, soprattutto, era un campo di calcio senza erba: chi cadeva a terra non rimaneva senza segni su braccia e gambe.Si andava a giocare senza prenotare e senza pagare.Oggi è tutto il contrario!In mezzo a condomini e fabbriche si alza un alto muro di cinta, al di là del quale si vede una lunga tribuna coperta, degna dello Stadio Moccagatta.E’ il Campo “Cattaneo” e per entrare a vedere 3 partitine di bambini e bambine, di 10-11 anni, si pagano 3 euro.Ho pagato, ho visto il campo, tutto verde brillante, la tribuna, gli spogliatoi (noi ci cambiavamo dietro i cespugli), l’arbitro, gli allenatori; ho fatto il tifo come a 16 anni.La squadra di mio nipote (il G.S. Orti - maglia azzurra, calzoncini blu: come noi!) ha battuto 5 a 3 la Castelnovese e Pietro ha fatto anche un bel gol di destro. Talis nonnus, tali nepotis.Era tutto diverso da allora (1963) quando giocavamo sulla dura terra battuta, senza arbitro, senza segnalinee e senza linee, ma con lo stesso entusiasmo di quei bambini.Anni 60. Canzoni. Partite. Interrogazioni. Giustificazioni. Morato. Angelino. Garuzzo. Scamuzzi. Le provinciali. Le gite scolastiche. Le vacanze.Tra poco meno di un mese finiscono le scuole, l’11 giugno. Il giorno dopo partiamo per il mare con la nipotina di 6 anni: Laigueglia, Bagni Lido. Da 40 anni. Stessa spiaggia, stesso mare.E la canzone più amata e cantata dai nostri nipoti, in coro con noi, è “Con le pinne, fucile ed occhiali”.Ma come si fa a non essere dei liceali?
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