mercoledì 13 maggio 2009

Yuán

Se non ricordo male, l'ideogramma Yuán, è l'unità di misura del denaro, l'altro nome del RenMinBin per intenderci, e siccome mi pare che significhi anche anello, cerchio, oso spiegare, ma è una mia interpretazione, che vorrei confermata da qualche fine conoscitore della lingua come Ferox, che questo bisenso sia dovuto al fatto che esistevano un tempo monete circolari con un buco un mezzo per tenerle infilate ad una cordicella, appunto fatte ad anello. Inoltre azzarderei che la grafia del carattere richiami un'altra forma tipica delle monete antiche, in cui venivano coniati i pezzi d'argento. Ma non voglio spingere troppo in là le mie elucubrazioni di semantica sinoetimologica, quanto sottolineare la radicale importanza del denaro e della ricchezza per il cinese tipo. Questa prevalenza, condiziona comportamenti ed etica in generale e cambia anche, come logico, data la distanza tra le culture, anche i comportamenti commerciali. Ricevo infatti da Stefano, che è un esperto del ramo, il seguente decalogo per il mercante che va in Cina.

Ten Golden Rules of China

1.Everything is possible in China.
2.Nothing is easy.
3.Patience is key to success.
4.The answer ‘yes’ is not necessarily an indication of agreement or confirmation.
5.‘You don’t understand China’ means disagreement.
6.‘Provisional regulations’ mean the rules can change at any time – even retroactively.
7.‘Basically no problem’ means a BIG problem.
8.Signing a contract means the beginning of the real negotiation.
9.When you are optimistic, think about rule No. 2.
10.When you are pessimistic, think about rule No. 1.

Mi riconosco perfettamente in questa disamina, che vale per tutti i contratti. In particolare ricordo bene quello che fu uno degli affari più grossi che chiudemmo alla fine degli anni 90 dopo aver pazientato per mesi attorno alle specifiche tecniche come contro un muro di gomma. Ogni volta tutto era OK, e al successivo incontro si ricominciava daccapo. Alle nostre rimostranze, ci veniva sempre ricordato che non conoscevamo abbastanza la Cina ed il suo modo di pensare. Si passavano pomeriggi a discutere di nulla bevendo litri di thè, facendo domande a cui nessuno dava risposte, poi di colpo, si cambiava discorso e si riprendeva un punto che pareva ormai acclarato ed accettato. Ogni volta che tutti i problemi sembravano risolti, spuntava un nuovo ed insormontabile scoglio, messo lì quasi con distrazione.Quando tutto sembrava definitivamente arenarsi in infinite sabbie mobili, veniamo convocati in albergo a Milano per l'ennesima disputa tecnica. Cediamo ancora per sfinimento su alcuni punti secondari, poi, improvvisamente il negoziatore dice che dobbiamo andare su in camera. Lo seguiamo, ormai preparati ad una ulteriore richiesta ed invece troviamo, seduto sul bordo del letto disfatto il Presidente in persona, ciabattato e scatarrante (pare fosse uno dei tipi più ricchi della Cina) a cui la factotum personale in tubino bianco con prorompenti spacchi laterali e viso indecifrabile, fa firmare velocemente le pagine del contratto e ci rimanda a casa attoniti. Naturalmente da quel momento in poi cominciò l'applicazione della Rule No.8.


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