lunedì 21 settembre 2009

Bianco argento.


Io ci casco quasi sempre. Sono attratto con una certa morbosità dal lavoro dell'artigiano, di qualunque tipo esso sia, forse per l'invidia che provo verso chi ha capacità manuali, io che ho "les deux mains gauches", come diceva la mia zia Blanche di Parigi, forse per la bellezza dell'opera che nasce e cresce sotto i tuoi occhi, prende forma, ricopre l'idea di materia, sempre diversa, sempre unica anche nella sua ripetitività. Mi piace fermarmi a guardare il lavoro nelle piccole botteghe, spiare le donne turche che annodano un tappeto, i sarti indiani attaccati alle vecchie Singer che pedalano furiosi, gli intagliatori di legno duro di Ceylon che creano le loro piccole statue serene. Ricordo un tardo pomeriggio, in un piccolo vicolo di Surabaya a Giava, mentre il sole insanguinava il cielo dietro i vulcani lontani (porca miseria se sono melenso oggi!), un negozietto stretto e lungo pieno zeppo di lastrine di argentone sbalzate, con tanti scaffali lungo le pareti colme di bicchieri, scatole di ogni dimensione, quadri, da cui nella penombra emergeva il tuttotondo di figurine di dei, guerrieri, fanciulle a cantare di un'epopea antica, di fasti perduti. Con la scusa di guardare la merce mi attardai a lungo, sedendomi infine su un basso sgabello a tre gambe, proprio davanti al piccolo deschetto in fondo al negozio dove un rugoso vecchio picchiettava con un martelletto una lastrina quadrata. Pareva non vedermi e continuò il suo lavoro lento e costante. Dava piccoli colpi con una serie di chiodi dalle punte diverse e sotto le spinte si gonfiava una testina, un torace possente, le strie sinuose di una lunga chioma, due seni voluttuosi di una fanciulla. A poco a poco la lastrina si completò sotto i miei occhi, più volte voltata e rivoltata per precisare i contorni dello sbalzo. Quando giudicò finito il lavoro, alzò gli occhi con un lieve sorriso, guardò il lavoro con soddisfazione e me lo mostrò. Era una scena con il demone Ravana che rapisce Shita. Si poteva apprezzare, pur nelle piccole dimensioni, il viso spaventato della principessa, i muscoli gonfi del feroce assalitore in un equilibrio complessivo che riempiva completamente il piccolo quadrato lucido. Aveva gli occhi contenti il vecchio. Trattai poco, più per onor di firma che per far calare il prezzo. In fondo compravo un lavoro, un progetto, un opera, non un oggetto.

4 commenti:

Martissima ha detto...

mentre leggo riesco a "vedere" il tuo racconto...complimenti per la tua capacità narrativa, ciao!

Anonimo ha detto...

E' da un po' che leggo nel tuo blog i tuoi resoconti di viaggio ma non ho mai commentato. Ma lo fai per lavoro o per semplice spirito avventuriero? E le tue foto sono meravigliose.
Volevo anche dirti che ammiro molto e persone come te. Da quanto traspare dal tuo blog anche tu come me (ahimè non ho viaggiato quanto te!) consideri il viaggio stesso la meta del tuo peregrinare.

Enrico Bo ha detto...

Il lavoro che avevo mi portava spesso in giro per il mondo e nel tempo libero, tanto per cambiare, cercavo di andare nei posti non potevo arrivare lavorando. Così sono riuscito a vedere un po' di posti qua e là. Sempre troppo pochi per capire. In effetti il viaggio dovrebbe essere lo scopo vero del viaggiare, purtroppo invece di essere viaggiatore ho quasi sempre finito mio malgrado di essere turista.

ParkaDude ha detto...

E' un post suggestivo, Enrico :-)

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