domenica 18 ottobre 2009

Dune 2

Quella di ieri era una minaccia e va mantenuta. Dunque bisognerà descriverlo questo deserto che tanto mi prende, coi suoi colori soprattutto. Già, il colore del deserto che accarezza le dune durante tutte le ore del giorno e accompagna il rumore del motore dell'auto alternandosi in dissolvenze continue negli scatti del contachilometri. Quando il mantello nero di Nut si sfuma in grigio, già in alto si sta combattendo la battaglia tra il rosa dell'aurora e l'arancio destinato a trionfare. Sulle dune più lontane la veste rosa si muta di colpo in giallo cupo, che si rischiara pian piano col passare dei minuti. Mentre il sole si alza, il giallo si illumina sempre di più fino a che le creste delle dune, ora più vicine, formano linee dorate e preziose. Poi, mentre la pista si infila tra le sabbie, il bianco abbacinante copre ormai tutta la landa a perdita d'occhio, scontrandosi all'orizzonte con l'azzurro terso e limpido. Dopo il meriggio, lungo tutto l'arco di caduta del sole, è un alternarsi continuo di tutta la gamma delle ocre. Dapprima tenue e chiarissime, quasi a confondersi col bianco, poi terre gialle che vanno scurendosi col passare delle ore, le sfumature d'ocra dipingono i fianchi dolci dell'erg modellati da un vento sottile ma sempre teso. Infine, mentre le dune circondano la pista alte come montagne, tutto il sangue che il sole perde nella sua voglia di vivere, riempie terra e cielo, impregna la sabbia poco prima che, mescolate al viola ed all'indaco, le lunghe dita nere ricolino giù dai fianchi ripidi e impercorribili. E' proprio tutta una sbrodolata di frasi fatte, ma è proprio così che accade. Però, su tutte le sensazioni che il deserto provoca, quella che più ti prende alla gola è anche la più letteraria di tutte: la paura. Anche se il deserto è vivo, e scorgi qualche traccia di animali qua e là, o cerchi il branco dei cavalli selvaggi nel Namib o vedi dromedari lontani o piccoli insetti che si nascondono nella sabbia, solo la stretta strada asfaltata col suo nastro nero o la pista battuta da antichi passaggi, sono punti di riferimento che rassicurano, anche se da ore non si incontrano altre auto e si cerca ansiosi la prossima balise. Però quando ci si ferma a lato e si percorrono anche solo pochi metri oltre un monticello di sabbia terrosa o ci si inoltra tra due grandi dune, improvvisamente i recettori inviano alla mente una sorta di tarlo inquietante. Ti giri e non vedi più nulla di amico, l'ambiente ti è totalmente alieno e senti che nessuno ti potrà mai aiutare, che sei irrimediabilmente perduto, che non ritroverai mai più la pista, adesso avverti soltanto l'assenza di tutto. Poi, fatti solo pochi passi, salito un mammellone roccioso o il sif tagliente e mobile della duna, ritrovi soltanto poco lontano la strada. Quella tenue striscia battuta diventa subito una cosa conosciuta, che appartiene alla tua cultura; è un punto di riferimento psicologico che rincuora, è il legame tra il tuo pianeta e questo altro mondo sconosciuto, immenso, pericoloso. Poi un giorno ti lasci alle spalle anche l'ultima oasi, alle sabbie si sostituiscono infiniti falso piani stepposi coperti di alfa dura e tagliente; la cultura fondata sul dattero è sostituita a poco a poco da quella dell'ulivo. E' ormai il mediterraneo, una dimensione familiare e amica, quasi monotona.

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