domenica 2 maggio 2010
Lettere dalla Kampuchea 1: il ritorno.
Son tornato. Una ventina di ore fa ero dall'altra parte del mondo, ora son qui che non aspetto altro che di stramazzare nel letto. Vorrei buttar giù torrenti di parole, scaricare nella Usb automaticamente un profluvio di sentimenti che montano dentro di me, che bello sarebbe collegare un filo e cliccare Invio, (chissà dove sarà la presa?) ma ho paura di farmi trascinare dalla foga, dal troppo entusiasmo, come un bimbo che arrivato da scuola vuole raccontar tutto di corsa alla mamma e tra frasi smozzicate e troppe cose da dire, non riesce ad esprimere un pensiero completo. Troppe immagini, troppe sensazioni. Bisogna lasciare scorrere il tempo, lasciare sedimentare almeno un po' il ricordo per ricavarne delle sequenze comprensibili, che abbiano un senso, che definiscano almeno a grandi linee quello che hai visto, che hai sentito, quello che credi di aver capito. E' sempre la solita storia. Come diceva, mi sembra, Biagi, se vai in un posto per una settimana, quando torni ci scrivi un libro, convinto di aver capito tutto, se ci stai un mese, ci scrivi un articolo, con qualche dubbio in più, se ci stai un anno, sì e no ti viene qualche frase piena di perplessità. Io in Cambogia ci sono stato due settimane, ho cercato di capire, di lasciarmi penetrare dal mondo che mi circondava, lasciandomi andare al ritmo lento della vita del posto, senza la furia autodistruttiva del turista che deve seguire un gruppo che ha i suoi ritmi obbligati, e cercherò quindi nei prossimi giorni di fare un reload completo per riversarvi tutto quello che ho sentito. Sospendo quindi ogni altro argomento temporaneamente, anche se ho notato che in questi giorni di mia assenza, benchè vi avessi lasciato nelle mani sicure del mio sostituto, le visite sono drammaticamente calate. Infedeli. Sentivate dunque così pesantemente la mia assenza? Va bene, non voglio indagare. Comunque tanto per lanciare un primo argomento di riflessione, ripeterò un classico luogo comune: niente è mai come ce lo si aspetta o per lo meno le sfumature sono sempre diverse. Infatti, diciamolo forte, non ho visto neanche una zanzara. Ma come, mi sono procurato il meglio Autan, versione speciale rinforzata, che solo a vederlo le avide bestiole fuggono, e non ho dato neanche uno spruzzo; mi sono imbottito di pillole di vitamina B che fanno puzzare a tal punto che l'insetto schifato fugge lontano e loro, neanche si degnano di presentarsi? Avevano paura che le mangiassi? E meno male che non ho preso il Lariam, anche se qualche gufo mi mostrava la cartina affogata nel peggio delle zone malariche. E non ho visto neanche una mina, solo i cartelli che dicevano che quel pezzettino di terra era stato sminato l'anno scorso o due anni fa. Però ho visto un sacco di gente senza gambe o senza braccia. Incidenti sul lavoro? A domani.
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2 commenti:
Sauvée!!!!Le Vent d'Est me souffle à nouveau des récits de voyage, des états d'âme et des tonnes d'humour qui font tellement de bien:un pansement sur la morosité ambiante....
Jackie
Bentornato!!
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