sabato 14 agosto 2010

Cajëtte e patate salà.

Mamma mia che giornata cupa oggi; pioggerellina fitta e nebbia bassa, l’ideale per alimentare la depressione a chi è appassionato del mare e avverte la montagna come un confino. Anche il verde fitto dei boschi si ingrigisce, senti solo il picchiettare dell’acqua sulle lose dei tetti; il paese sembra morto, tutti rintanati a mangiare polenta e cervo in civet. Noi, che si era deciso fin da ieri per la scampagnata montana, siamo partiti di primo mattino (verso le nove e mezza) verso una valle solitaria e selvatica, laterale alla Val Germanasca, che conduce fino a Rodoretto e poi su una vera e propria mulattiera, su cui la Pandina degli amici si è arrampicata cigolando fino alla Balma, un gruppetto di poche baite circondate da un ambiente naturale di grande suggestione. La pioggia rendeva il verde degli alberi, lucido e splendente; le nuvole basse che calavano a sbuffi come il fumo d’inverno dai camini di pietra, scendevano lungo i fianchi delle montagne creando quinte successive in continuo movimento, a rendere i filari di conifere sui crinali, tremolanti figure che apparivano e scomparivano alla vista come in un rotolo di pitture cinesi.

Dalla terra bagnata, sentori di muschio e corteccia infracidita; una solitudine dolce e mansueta sulle piccole radure assediate dal bosco fitto. Ti vien voglia di pensare come sarebbe, stare qui un paio di settimane con una pila di libri, straiato al sole (se mai ci fosse) in quel belvedere sulla pianura, così lontana da apparire estranea, quasi ostile. Come è facile sentire questo ambiente come un rifugio protettivo, un luogo nascosto dove ripararsi, come i Valdesi un tempo, dalla ferocia assassina dell’integralismo cattolico, oggi magari dal disgusto di alloggi regalati, di affaristi predatori, di corruttori e puttanieri.

Ma la nebbia cala senza cuore e la speranza di un raggio di sole, viene, almeno oggi negata. Necessita quindi, per risollevare il morale, una sosta al bellissimo Museo Etnografico di Rodoretto, messo insieme in una antica casa a tre piani, dove con affetto e competenza sono disposti arredi ed oggetti che raccontano la storia della vita nella valle (dare un’occhiata qui) accompagnati dai curatori, volontari della frazione, dai cui racconti traspare l’amore per le proprie origini e la propria terra. Una sosta che non rimpiangerete. Intanto sarà venuta ora di pranzo e proprio gli stessi anfitrioni che vi hanno illustrato la storia della valle, saranno ben lieti, e voi con loro, di farvi gustare gli antichi piatti della tradizione locale, dalle cajette alle patate salà. Non si vive di solo pane, di certo, quindi, eventualmente provate anche il Ramie, un vinotto che si riesce ad ottenere su queste vigne scoscese, rubate ai fianchi della montagna poco più a valle.


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2 commenti:

il monticiano ha detto...

Enri', che bello 'sto post. Piacevole e interesante nello stesso tempo.
Anche il museo. Qualche tempo fa vidi una puntata della trasmissiome di RaiTre "Geo&Geo" e mi sembra che parlavano di questo o di un museo simile dove erano esposti antichi attrezzi, insomma cose del passato.
Non posso afermare che era quello di cui parli, ma a me piacque molto.

Enrico Bo ha detto...

Ce ne sono molti di questo tipo in giro, ma questo mi ha colpito, sia per il posto, che per la cura con cui sono esposti gli oggetti, ma soprattutto per l'accoglienza di chi se prende cura.

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