sabato 25 febbraio 2017

Madagascar 36: Tirando le somme.







Passeggiare per le strade in salita di Tana guardando dentro ai negozietti alla ricerca di qualche cosa per smaltire gli ultimi ariary che ti sono rimasti in tasca. E' il segnale che la vacanza è finita, il viaggio è finito, è ora di tirare presuntuosamente le somme. Per la verità è solo il momento di raccogliere le ultime impressioni, di incasellarle bene al loro posto nei cassetti del ricordo, ci sarà tempo a casa, con calma, di sedimentare, evitando di battere il ferro quando è ancora troppo caldo, cosa che dà altri risultati, anche questi però interessanti. Adesso che è ormai passato qualche mese, si può tentare di fare una disamina un poco più distaccata da quando hai ancora nel naso gli odori forti del mercato e negli occhi i colori decisi dei vestiti delle donne dietro i banchi. C'è la parte accattivante dell'immagine complessiva che ti offre il territorio. La terra rossa e unica, delle sfumature dell'altipiano, la foresta primaria e non, in tutti i suoi aspetti, quelli più umidi e quelli secchi con tutte le variazioni intermedie, i piccoli paesi che da lontano sono mattoncini di un Lego gigante, i villaggi di capanne che sfilano ai lati della strada, il mare che circonda quella che tutto sommato rimane un'isola, con le sue spiagge spopolate con corone di palme da cartolina e non aggiungo nulla su tutto quanto sta sotto alla superficie del mare e della barriera, di cui purtroppo, come già detto, non ho la gioia di usufruire. 

Tutto questo di per sé, darebbe da solo la motivazione dle viaggio. Poi c'è la flora rigogliosa ed esotica e soprattutto la fauna nei suoi aspetti unici come accade in tutti gli ecosistemi chiusi, dai lemuri a tutti gli altri piccoli animali, camaleonti, gechi e così via, che rimarresti a guardare per ore. Infine la gente con cui vieni a contatto, che, anche se snaturata dalla tua specificità di turista, rimane comunque una esperienza di grande piacevolezza, in ogni ambiente dove avviene. Siamo, con i dovuti distinguo, in Africa e le sfumature creole, come sempre arricchiscono invece di turbare il profumo del paese. Un paese che tuttavia rimane uno tra i più poveri del mondo, come molti suoi confratelli del vicino continente. Qui siamo a distanze siderali dalle realtà asiatiche rampanti, che negli ultimi decenni, per diversi motivi, hanno, chi più chi meno, fatto il salto di qualità, procedendo anche se a velocità diverse in un loop virtuoso di aumento progressivo del benessere dei suoi abitanti. Qui, per svariati motivi, non si riesce ad avere lo starter per un cammino che conduca verso un miglioramento acclarato e certo, non importa in quanti anni. Tutto questo provoca un malessere di fondo, una sorta di disturbo quasi inavvertibile ma costante, che percorre la società malagasy come un virus latente che rimane sonnacchioso nel corpo del paese e che potrebbe di colpo esplodere in una malattia devastante. 

Se parli con qualcuno della ristretta fascia di popolazione che ha un buon livello di scolarità e cultura, il sentimento che  traspare è sempre lo stesso. Un senso diffuso di frustrazione per la situazione generale, politica ed economica, dalla quale nessuno sa indicare una via di uscita. Si constata l'assenza quasi assoluta, accanto a pochi ricchissimi, di una fascia di classe media che riesca a far decollare il tessuto intermedio del paese. Tutto il resto della popolazione giace in una condizione di mancanza di mezzi quasi totale che impedisce anche a chi potrebbe avere un desiderio imprenditoriale, conoscenze culturali o semplicemente voglia di darsi da fare di creare qualche cosa, di emergere in qualche modo facendo partire la spirale della crescita generale. E' realtà che la quasi totalità della popolazione vive nelle campagne o nelle periferie di baracche delle città, dove la scolarizzazione è bassissima e la mortalità dovuta alle pessime condizioni ambientali elevata, ma anche i pochi che arrivano ad una istruzione media o elevata, non riescono poi a sfruttarla come si converrebbe. In questo modo, la gente è portata a trovare i colpevoli all'esterno. I più semplici ovviamente ricadono nel classico adagiarsi sul mantra dei politici ladri e corrotti che per barbaro destino continueranno a mantenere i loro privilegi. 

Quelli che vogliono spingersi un poco più a fondo vedono i gangli vitali del paese in mano a gruppi impenetrabili. Il commercio controllato dalle etnie indopachistane, le materie prime sfruttate fino all'osso da cinesi, dagli americani e da altri gruppi, visti non certo come occasioni di sviluppo, ma come predatori di ricchezza di cui nulla rimane al paese, se non qualche briciola per mantenere il potere; un moderno neocolonialismo di cui i francesi avevano a suo tempo tracciato la strada. La globalizzazione, che per l'Asia è stata la via dell'affrancamento dal sottosviluppo e dalla miseria endemica, viene qui avverita solo nei suoi aspetti negativi, sfruttamento dall'esterno, imposizione di schemi e prodotti alieni, non utili, spesso dannosi per il popolo. C'è insomma una sorta di risentimento verso l'esterno al paese, da cui arrivano in generale solo cose negative. Questo accresce la parte più negativa del sentire nazionalista convogliandolo verso un antimondialismo generico. Lo stesso sentimento di fondo è rivolto alle tante Onlus che operano a vario titolo nel paese. A queste viene rinviata in generale la critica di non fare nulla di realmente utile per lo sviluppo a lungo termine, ma solo operazioni di aiuti immediati e a breve respiro, destinati inevitabilmente al loro cessare, a lasciare tutto come prima, mentre la maggior parte delle somme investite sono utilizzate soprattutto per la gestione interna delle stesse organizzazioni. 

Insomma un senso di scontentezza diffuso a diversi livelli che non esplode solo grazie all'indole tranquilla e non troppo bellicosa di questo popolo gentile. Difficile giudicare quanto o se tutto questo risponde esattamente alla realtà, di certo bisogna sottolineare che gli investimenti esterni hanno sempre una logica predatoria evidente e come questa tendenza logicamente naturale, abbia pochi freni da parte delle istituzioni che questa tendenza dovrebbe moderare, tentando di carpirne la parte positiva, sfruttandone le ricadute migliori. La povertà è presente in maniera innegabile, il miglioramento da questo stato, non avvertibile, tranne nelle zone più squisitamente a vocazione turistica, aspetto che tuttavia non può diventare portante e primario per risollevare l'intero paese. Insomma una situazione non facile da definire, men che meno da etichettare con ipotetiche soluzioni. Purtroppo non esistono i politici santi che dedicano la vita al benessere del popolo e non basta, dovrebbero anche avere la capacità di trovare le soluzioni giuste per ottenerlo e di capitare nelle situazioni ideali per poterle sviluppare. Il mondo procede per tentativi ed errori, in alcuni casi scoppiail disastro, in altri prende una strada virtuosa che fa stare meglio la gente, ma senza che ci siano meriti specifici. Comunque, tirando per l'ultima volta le somme, il Madagascar rimane un paese bellissimo inchiodato ai suoi problemi endemici, che non risolverà a breve tanto facilmente. Insomma un invito alla visita, perché ne vale assolutamente la pena, anche se avrete trovato qualche altro paese africano, come il Sud Africa o la Tanzania, più interessanti. Una esperienza molto gradevole e senza problemi, facile da organizzare e anche abbastanza economica, comparata al resto dell'Africa. Buon viaggio allora.


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