domenica 15 dicembre 2019

Cina 18 - Xi Zhou (喜洲)

Ingresso alla moschea

Le vie di Xi Zhou
Il lago è lontano, una sottile linea azzurra che si perde nelle brume della piana. Le montagne ancora più lontane lasciano intravedere soltanto gli scampoli delle cime innevate dei Cang, nascoste tra le nubi, quasi con la pudica degnazione con la quale le concubine dei dipinti Tang nascondevano il viso dietro i ventagli, forse per suscitare ancora di più il desiderio di avvicinarle. Una piccola strada si inoltra tra i campi e le risaie adesso secche per arrivare fino a Xi Zhou (喜洲, l'isolotto felice), adesso solo un piccolo paese, un tempo florida città su quella che era la Tea Horse Road, attiva fin dall'VIII secolo, che raggiungeva il Tibet serpeggiando attraverso quelli che ora sono i confini meridionali cinesi, una barriera di monti e foreste, che invece, come sempre nel mondo, allora rappresentavano un ponte per gli scambi tra le culture, attraverso il quale viaggiavano le idee assieme alle merci. Questo era un caposaldo dell'etnia Bai che ha resistito attraverso i secoli, mantenendo ancora molte delle vecchie case nelle quali puoi distinguere ancora la loro architettura tradizionale, gli antichi templi e le strade che ne raccontano la storia. La sua posizione, al centro della piccola e fertile pianura di fondo valle ne faceva un importante caposaldo nel nascente regno Nanzhao e successivamente mantenne la sua prosperità anche con l'arrivo degli Yuan e poi successivamente con i Ming. 

Etnia Bai
Nella storia recente succeduta alla dinastia Qin, durante la seconda guerra mondiale, qui si svolse la vicenda delle Flying tigers, l'unione avvenuta tra gli eserciti americano e cinese per opporsi all'invasione giapponese, grazie ad una stazione radio e ad un piccolo aeroporto che consentiva l'atterraggio degli aerei da combattimenti, raccontata anche in un famoso film patriottico che ne racconta l'epopea. Qui sei lontano dalla folla invadente di Dali e camminare lungo le stradine del paese tra vecchie case e piazzette lastricate di pietra, mostra scorci antichi di grande piacevolezza. La piccola moschea appare come un tempio confuciano e si confonderebbe tra gli altri se non osservassi con attenzione gli anziani coi cappellini mussulmani che arrivano per la preghiera; sono della minoranza Hui di fede islamica portata fin quaggiù con l'arrivo dei mongoli Yuan, al tempo di Marco Polo e qui rimasti fino ad ora. La moschea funge chiaramente anche da centro sociale; sotto il portico un gruppetto di anziani gioca a scacchi, altri riposano. Un signore dal viso segnato dal tempo, si aggiusta la papalina bianca e mi si avvicina sorridente, mi vuole accompagnare all'interno della sala di preghiera, facendomi capire di essere molto lieto che stranieri che arrivano da lontano vogliano visitare il loro tempio. 

Frontoni
Anche qui l'interno è spoglio e il pavimento coperto di tappeti, ma per il resto, le grandi porte di legno intagliate, i frontoni ed i tetti dagli angoli ricurvi verso l'alto, avresti difficoltà ad identificare la costruzione come una moschea. Ti perdi tra i vicoli circostanti semideserti, arrivi ad una piazzetta con un grande albero al centro, costume frequente in questi paesi dove la piazza rappresentava un luogo di incontro e di sosta e poi passeggi tra le case dalle facciate scrostate. Molte mostrano ancora i complessi portali di ingresso sormontati da una grande tavola di legno che reca incisi quattro ideogrammi che ne raccontano l'anima o la storia della famiglia. A destra ed a sinistra sugli stipiti di pietra, strisce di carta o pannelli lignei portano frasi di benvenuto e di augurio a chi arriva in visita. Poi, oltre la porta, il dedalo di cortiletti interni che si alternano i piccoli patii che danno sulle camere. Qui, nella struttura stessa della casa, leggi una storia di secoli che racconta di quando una famiglia importante ed evidentemente ricca la occupava, poi, quando dopo la rivoluzione i proprietari terrieri sono stati cacciati o uccisi, puoi vedere la distribuzione delle parti alle diverse famiglie che l'hanno abitata successivamente, anche una decina, che si sono divise alla meglio lo spazio disponibile.

Il white wall
Hanno via via rifatto, ampliando, creandosi spazi alternativi che ne hanno sgorbiato la struttura che tuttavia ancora intravedi, assieme alle scritte inneggianti alla rivoluzione ed al grande timoniere, che il tempo non riesce a cancellare come quelle che nei nostri paesi inneggiavano al ventennio, qui rosse invece che nere. Anziane donne siedono sulle soglie e alzano sguardi interrogativi verso i pochi visitatori. Nella corte principale vedi ancora il tipico grande muro bianco rivolto a sud che raccoglie come un grande specchio la luce del sole e la riflette intorno rischiarando gli spazi angusti e scuri. Una caratteristica nota dell'architettura Bai, che ritrovate in tutte queste antiche costruzioni, assieme agli intarsi di marmo, materiale comunissimo da queste parti e famoso per le sue venature scure che simulano paesaggi fiabeschi. Rimarresti ore col naso all'insù ad ammirare le complesse ornamentazioni dei sottotetti dei portali, un seguito di piani che alternano serie di vuoti e di pieni, dipinti e scolpiti, con teste di animali fantastici, fenici, dragoni, tigri o ancor più complessi orditi di tralci floreali che si intrecciano fino a ricoprire completamente gli spazi, in una sorta di horror vacui simile a quello dei sarcofaghi della tarda romanità. Superato il delizioso ponticello della luna, arrivi alla piazza centrale più ariosa, dove qualche negozietto offre oggetti  e cibi locali. 

Portale
La nostra Apple, si sente a casa, qui parla la sua lingua con tutti e ci porta qua e là per mostrarci i caratteri più interessanti di questa etnia matriarcale. Sull'angolo c'è un negozio che produce un pane tipico della zona, una specie di pizza farcita piuttosto gustosa, che ci sbocconcelliamo mentre continuiamo a percorrere le strade del paese. Un po' fuori, quasi in mezzo alle risaie, un'ultima grande casa, che forse era una sorta di fattoria di una delle famiglie importanti del paese, è stata completamente restaurata e mostra la struttura antica nella sua purezza. I muri che la circondano e la chiudono alla vista esterna, quasi a renderla una fortezza, i cortili interni con giardinetti curati, i terrazzi sui tetti che danno la vista sulle risaie della piana circostante. Le stanze ed i vari ambienti, che pare dovessero diventare un lussuoso albergo di charme, sono stati trasformati in una sorta di museo, data la loro rispondenza alla tradizione. Mentre risaliamo verso l'ingresso del paese, qualche donna in costume esibendo in bilico sul capo l'ampio cappello multicolore, sguscia tra i vicoli e sparisce dietro gli antichi portali. Qui siamo decisamente lontani da Dali e anche se senti chiaramente l'onda del turismo che sta arrivando, con la sua coda di negozietti, di souvenir e locali di ristoro, respiri ancora un'aria di antico, quella che a noi piace tanto e che ci fa dispiacere se non la trovi o la senti perduta per sempre. 

Cortile interno
Vediamo ancora un paio di piccoli templi buddisti, ma che contengono anche molte delle simbologie del Tao o del Confucianesimo oltre alle evidenze del Ben Zhu (本主), la religione tradizionale Bai. Sono templi semplici da cui però traspare una religiosità diffusa, con molti fedeli che arrivano alla spicciolata, fermandosi a pregare, a portare piccole offerte di fiori o frutta, a piantare bastoncini di incenso nei bracieri disposti davanti agli altari controllati dalle grandi statue colorate dei guardiani che li proteggono dai malintenzionati e dagli spiriti maligni, che come è noto, sono sempre in agguato. Lungo la strada per tornare a Dali invece è tutto un seguito di laboratori di marmo, che del resto rappresentava la ricchezza primaria della zona oltre alla via commerciale. Insisto per fermarci a visitarne uno, quello di una famiglia che da generazioni lavora la pietra di Dali (questo è il nome del marmo nel vocabolario cinese). Adesso è gestita da due fratelli che acquistano i blocchi direttamente dalle cave. Nel grande cortile è tutto un susseguirsi di massi, pietre smozzicate, lastre, tavole e pezzi più piccoli che giacciono alla rinfusa tra polverino e macchine per la lavorazione. 

Un ingresso
La mia curiosità deriva da una mia esperienza passata, nella quale avevo fornito un impianto completo per la lavorazione del marmo in una piccola città degli Urali. Qui le attrezzature sono più piccole e piuttosto spartane, ma riconosco subito una spaccatrice, il taglialastre, i levigatoi e le macchine per il bisello. I fratelli notano questa mia competenza e subito l'approccio diventa di cordiale chiacchierata, anche se non ci si capisce affatto. E' sempre bellissima questa voglia di contatto tra persone che trovano punti di interesse comune, anche senza una lingua da spartire se non quella dei segni, unita a poche parole e alla volontà di intendersi. Si genera subito un feeling che va al di là del contatto sporadico del curioso che entra a dare un'occhiata. Mi mostrano  dunque i loro lavori più belli, le lastre scelte per il disegno delle venature grige e nere che spiccano oppure si sfumano sulla pietra bianca. Vedi paesaggi, animali, boschi di vegetazione confusa tra i monti.

Marmi
Si tagliano dapprima i blocchi e poi, quando viene individuata nella lastra una figura che richiama qualcosa alla mente, questa viene subito scelta, tagliata ad hoc e poi levigata in modo che possa servire a seconda della sua dimensione, ad un intarsio in un mobile, allo schienale di una sedia oppure, se grande, ad essere inserita in una parete o addirittura a diventare un grande quadro in un ambiente più largo. Sono affascinato da queste figure che i cinesi amano moltissimo e che scelgono con cura, apprezzando quello che la natura costruisce spontaneamente a simiglianza di se stessa. Non possiamo venire via senza avere comprato un piccolo frammento di marmo in cui riesci a leggere una deliziosa ombra di nubi tempestose in un cielo bianco. Anche la contrattazione è stata rapida, per la chiara volontà della famiglia di farmi portare a casa un pezzetto del loro lavoro, un modo per ricordarmi della visita. Ci lasciamo con un sacco di salamelecchi nei quali tutti vogliono essere gli ultimi a fare il ringraziamento finale a suggello del piacere di quel contatto. Siamo ormai di nuovo alle porte di Dali e della sua folla rumorosa.

Schienale di sedia

SURVIVAL KIT

Il ponte della luna
XI Zhou - Paesino antico ad una ventina di km da Dali, posto nella pianura alle spalle del Lago Erhai, sede di un importante festival religioso, il Raosanling (绕三灵), di tre giorni durante il quarto mese lunare. Da vedere i templi (misti e dedicati a differenti religioni, un bell'esempio di sincretismo locale), la moschea e diverse antiche case, alcune private visitabili dietro pagamento di un biglietto da 2 Y e la casa museo in fondo al paese. Il paese è piccolo, si gira tutto comodamente a piedi, ma nel caso, ci sono dei trabiccoli elettrici e carrozzini a cavallo che permettono spostamenti interni. L'etnia principale è quella Bai che coesiste con gli Yi e gli Hui mussulmani. Si incontrano ancora molte donne vestite col tradizionale costume Bai e munite di un vistoso copricapo i cui ricami complessi richiamano le quattro bellezze della vallata di Dali: vento, fiori, neve e luna (风花雪月). La cultura Bai prevede contrariamente al resto della Cina una produzione di formaggio che viene stagionato all'interno di grosse canne di bambù. Lungo la strada verso Dali troverete moltissime aziende familiari che lavorano il marmo, altra ricchezza della zona. Un altro prodotto caratteristico della valle è un particolare tipo di batik detto 扎染, zā rǎn (legare e tingere), di colore blu indigo ottenuto con una tecnica particolare, tramandata nei secoli da una famiglia locale.

Un ingresso interno
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