lunedì 17 maggio 2021

VIP


Ieri sera, guardando una trasmissione televisiva ho notato che in generale è reputata cosa molto divertente e desiderabile conoscere direttamente o almeno farsi ritrarre assieme a personaggi famosi. Quantomeno è considerato un successo personale, un merito da esibire. Ho buttato un occhio indietro ricapitolando rapidamente i fatti della mia vita e al contrario, ho trovato molto poco da mettere in questo calderone. Per la verità non posso negare che conoscere personalmente e, soprattutto avere una frequentazione con qualche personaggio rilevante e comunque noto, possa avere spunti interessanti. Quantomeno chi sia diventato famoso lo deve a qualche caratteristica peculiare, capacità, intelligenza o semplicemente dote, anche del tutto particolare che, in caso di contatto e prolungato scambio di idee potrebbe essere davvero interessante. Chi non sarebbe lieto di chiacchierare ogni tanto con Einstein o Fellini o la Callas. Chissà quante cose avrebbero da dire, meritevoli di essere ascoltate e perché no, magari di utile insegnamento. D'altra parte se uno raggiunge la notorietà, sia pura magari perché ha fatto a fette la famiglia e l'ha nascosta in cantina nel freezer, di certo ha qualche cosa di inusuale da dire e da raccontare. Magari l'interesse è proprio intrinseco nell'individuo e traspare anche se tu non hai la cognizione della sua fama. Alla fine tuttavia qualcosa ne puoi ricavare, non fosse altro il piacere dell'inusuale. Al limite lo puoi raccontare ai tuoi nipoti e agli amici, sempre che tu ne abbia. Oppure lo racconti nei blog, posto che ancora qualcuno li legga. 

Come ho già detto, io invece, sull'argomento ho poco da raccontare, al di là di quando mi capitò di essere ricevuto privatamente dal Re di Maggio a Cascais, una cosa curiosa che credo di avervi già riportato. Ma proprio ieri sera mi è tornata alla mente una curiosità accadutami nel '76 e che vi riporto pari pari. Nel gennaio di quell'anno avevo fatto con mia moglie, un bel percorso himalayano nella valle del Kali Gandaki fino all'Annapurna e al ritorno, contento dell'esperienza condita dalla baldanza giovanile che lo consentiva, con la sicumera del trentenne soddisfatto, me ne tornavo a casa con l'Air India in partenza da Delhi, volo notturno poco costoso, che mi avrebbe portato a Roma nella tarda mattinata. Il volo era quasi vuoto. Allora capitava, i pochi passeggeri sparsi qua e là nell'immensa cabina centrale di un jumbo. Io e mia moglie ci eravamo imbucati sui tre sedili laterali quasi in fondo e masticavamo coi denti alti, un pollo al curry che pareva scarto tritato immerso nella lava fusa, che ustionava le papille cuocendole definitivamente. Nelle tre poltrone davanti a noi stava un tizio, come ne vedevi diversi al tempo, sui voli dell'oriente. Un hippy alto e grosso, con barbaccia e capelli neri lunghi suo collo, molto trasandato, con un camicione che faceva davvero molto figlio dei fiori di ritorno da un'esperienza mistica in qualche ashram di sedicenti santoni. Allora era molto di moda questa botta di vita orientale sulla scia dei Beatles e del beatniks americani. 

Ritirate rapidamente le tristi vaschette di alluminio da fruscianti hostesses in sari colorati, le luci calarono lasciandoci nella penombra che concilia il sonno per le restanti lunghe ore che ci separavano dall'Italia. Il tizio, che parlava un buon inglese ci rivolse qualche frase di circostanza commentando la qualità del cibo, poi, usufruendo dei tre posti vuoti, si coricò per il lungo, dopo uno sguardo di intesa, avvolgendosi  completamente nella coperta di cortesia. Russò pigramente per tutto il resto della notte. Io non ero stato particolarmente colpito dal suo occhio nero e indagatore che forse me lo avrebbero meglio identificato come un irresistibile strappamutande, ma la mia g.s. (gentile signora) notò che il tizio aveva un certo appeal. Nei cieli del rientro verso ovest la notte è breve e dopo poche ore l'aurora incendiò il cielo di arancio sempre più forte e venne il momento della colazione. Il tipo si era svegliato pigramente e mangiò la sua omelette con lentezza consapevole. Poi liberatosi della coperta, si diresse verso il bagno. Ci stette un po' ed infine emerse completamente cambiato. Smessi i panni dell'hippy on the road alla ricerca di se stesso, aveva messo una tunica bianca ricca di fregi dorati. Anche i capelli sembravano bene acconciati e l'aspetto in generale ne aveva di molto guadagnato dandogli un'aria quasi regale. Quegli occhi penetranti guardavano intorno con sicurezza. 

Volse uno sguardo a Tiziana accompagnato da un lieve sorriso ammiccante poi si sedette eretto e regale mentre l'aereo cominciava la sua discesa verso Fiumicino. All'arrivo i passeggeri scesero tutti rapidamente. Noi assonnati e ancora acciaccati per le ore passate sul sedilino della classe bestiame, fummo gli ultimi ad uscire dal portellone in mezzo alla pista. Lui rimase là ancora seduto ad aspettare chissà cosa e ci fece un saluto con la mano e un cenno del capo mentre ce ne andavamo. Le hostesses invece dei soliti saluti, correvano di qua e di là tutte agitate e con gli occhi spiritati. Arrivati sulla scaletta, notammo immediatamente una piccola folla di giornalisti e fotografi che si assembrava nello spiazzo antistante. L'aeroporto ha spazi giganteschi e quel piccolo gruppo di persone spiccava, agitatissimo nel deserto di asfalto delle piste. Appena uscimmo scattarono subito un paio di flash e la cosa mi colpì parecchio tanto che appena sceso, chiesi a uno di quelli che sembravano più scalmanati nel prendere una posizione di prima fila: "Ma chi aspettate?". Certo avevo capito, anche se ancora mezzo addormentato che non aspettavano me ed i lampi scattati erano un errore provocato dalla fretta e dall'entusiasmo dell'attesa. 

Quello mi guarda come se fossi un poveretto e mi fa: "Ma come, nun lo sapete che stamo ad aspettà Sandokan! javete viaggiato 'nsieme". In quel momento dal portellone comparve lui, misteriosamente come avvolto da un'aura luminosa. Il sole era proprio alla sue spalle e lui si fermò un'attimo a salutare la folla plaudente con un cenno della mano, gli occhi al cielo del divo osannato e atteso dalla folla plaudente, lo sguardo perso nell'infinito. Poi fu tutto un: a' Sandokà guarda qua, guard'allà, soridi, facce la faccia truce, ma nun cell'hai 'l kriss? Ce ne andammo verso il bus pieno che aspettava soltanto più noi, mentre i pochi passeggeri commentavano la scena. Lui, allora, con deferenza, concedendosi finalmente ai suoi fans, scese lentamente tra i mortali, mentre barbagli di luce brillavano sui fregi dorati della tunica sfarzosa a cui aveva aggiunto alla vita una fascia vermiglia che scendeva su un fianco, per salire una macchina vip che lo avrebbe accompagnato all'uscita dedicata. Non ricordo più se avesse o meno calzato anche un piccolo turbante rosso. Così venimmo a conoscenza che in quei giorni il fortunato sceneggiato televisivo stava impazzando sullo schermo italiano e lui era venuto appositamente per un tour pubblicitario. Forse allora la RAI disponeva di cachet piuttosto bassi e non aveva potuto fare di più che passare un misero biglietto di classe turistica senza accompagnatori, anche se si trattava del famoso Kabir Bedi.


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